Sul Corriere della Sera di oggi si da conto di una polemica a distanza tra il Presidente della Rai Marcello Foa e Giampaolo Sodano già direttore di Rai 2 dal ’89 al ’93. Riportiamo l’articolo solo affinché si possa avere accesso diretto alle rispettive posizioni di attacco e di difesa della situazione in cui la cultura sia considerata all’interno della programmazione del servizio pubblico nazionale.
Io credo non si tratti di due pareri opposti, ma di due filosofie di approccio diverse. Da una parte il fatto che quella che potrebbe essere la maggiore industria culturale del paese non affonda le proprie armi nel tema cultura e dall’altra chi si difende dicendo che gli spazi esistono. La prima posizione, giusta o sbagliata che sia, si pone in modo moderno di fronte alla immaterialità della produzione: faccio cultura se produco esperienze cognitive attraverso la gestione delle emozioni. Dall’altra il mondo Fordista che si scopre digitale: io faccio programmi e li mando in onda. Un programma, oggi, nella economia della conoscenza, non è un prodotto, ma solo l’utensile per costruire il prodotto che è una emozione.
È difficile da capire, la rivoluzione digitale ci ha cambiato completamente e la fossilizzazione delle antiche pratiche si affaccia prepotentemente per sopravvivere anche a costo di fallire.
Poi nella polemica c’è un altro tema, tutto interno alla pratica di Cicerone, in fondo il primo ad aver inventato la retorica come metodo di convincimento. Tenere sempre in mente la differenza che esista tra emozionare per attivare un percorso di conoscenza interno a chi ascolta e suggestionare: oltrepassare le sfere razionali per installare un convincimento che parta solo dalla pancia. Con la prima pratica si fa cultura, con la seconda audience. Forse il vero scontro è proprio questo.
Nel 1934, prima che Foa e Sodano cominciassero a discutere, John Dewey, uno dei filosofi che più hanno studiato il tema della cultura e della conoscenza in termini pratici scriveva.
D’altra parte, un atteggiamento popolare e convinto dei professionisti della comunicazione spinge a trascurare i contenuti a favore della suggestione, teorizzando mostre con un profilo teorico e intellettuale molto basso per garantire l’apprezzamento e la diffusione, e, inoltre, con poca attenzione all’accuratezza storica e a qualsiasi approccio emotivo molto lontano dal produrre “esperienze cognitive” come John Dewey ha scritto
Che aggiungere altro? Forse continuare a parlarne e a confrontarsi con meno pregiudizi e condizionamenti possibile.
Riportiamo per comodità di lettura il testo integrale dell’intervista di Marco Nese al Direttore Sodano, pubblicata sul Corriere della Sera del 02/04/2020.
“Penso che il presidente della Rai Marcello Foa non guardi i programmi messi in onda”, dice Giampaolo Sodano, ex direttore di Rai-due. Se li guardasse, “si renderebbe conto di come è ridotta la Rai”.
L’altro giorno il regista Pupi Avati ha lanciato un appello, dicendo: almeno in questo periodo di mestizia alziamo il livello culturale del servizio pubblico. Il presidente Foa gli ha risposto. Ma, secondo Sodano, “ha detto che va tutto bene, invece va male, perché assistiamo a trasmissioni frutto di improvvisazioni e piene di volgarità, ci sono per-fino programmi rifiutati dai telespettatori e la Rai è costretta a chiuderli”.
Replica il presidente Foa che due reti dedicate alla cultura già esistono, Rai5 e Rai Storia. Ma cosa offrono? “Vecchi programmi – dice Sodano – visti e rivisti. E quelle poche novità che si cerca di introdurre risultano spesso senza capo né coda”. Non si percepisce affatto quella che il presidente Foa definisce “sensibilità diffusa della Rai per la cultura”. Da osservatore, Sodano nota “insulsi programmi che vengono spacciati per grandi novità solo perché affidati ad un autore o ad un conduttore mai visti prima, in realtà sono prodotti privi di buon gusto, mentre si potrebbe dare un’impronta culturale anche a trasmissioni di intrattenimento”.
Serve un rinnovamento radicale, “non si ci si può limitare, come sembra suggerire il presidente Foa, a semplici modifiche, il servizio pubblico televisivo va ripensato nella sua totalità”. Come prima cosa bisogna riflettere “sulle condizioni fallimentari in cui sono sprofondate istituzioni e imprese culturali del nostro Paese, condizioni che risulteranno sempre più gravi a causa dell’emergenza coronavirus”. Questo comporta la necessità di promuovere iniziative idonee a salvare il nostro patrimonio culturale e le centinaia di migliaia di posti di lavoro del settore. Niente assistenzialismo, però.
“Basta – dice Sodano – con le vecchie pratiche delle sovvenzioni. Tocca alla Rai intervenire. L’azienda vanta un bilancio annuale di 2 miliardi e 500 milioni di euro ricavati dal canone e dagli spot pubblicitari. Io propongo di elaborare uno straordinario contratto di servizio che obblighi la Rai ad utilizzare quei fondi per sostenere il cinema, il teatro, gli enti lirici, le imprese audiovisive, l’editoria, i siti archeologici, la conservazione del patrimonio storico ed artistico. Questa fantastica e meritoria opera di valorizzazione del nostro patrimonio culturale dovrebbe essere basata sulla produzione di programmi e l’acquisto dei diritti di utilizzazione”.
La tv, ritiene Sodano, “non ha bisogno né di santoni né di imbonitori, ma di manager in grado di reinventare il servizio pubblico, che non può limitarsi alla comunicazione istituzionale per giustificare il canone. E i politici, invece di badare alle poltrone, dovrebbero essere attenti ai contenuti”.
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