Oggi, forse, è considerata una perdita di tempi parlare per linee generali o di concetti ritenuti erroneamente astratti. Vorrei farlo, ma in un modo diverso: ponendo io, sei domande ai miei pochi, ma attenti lettori.
E’ definita la scienza e l’arte di governare la polis. Più dettagliatamente per essa s’intende la teoria e la prassi che ha per oggetto la costituzione, l’organizzazione, l’amministrazione e la direzione della res publica nell’interesse dei cittadini e nella loro difesa da ingerenze esterne di qualsiasi tipo.
Domanda: Non vi sembra troppo ottimistico (e forse semplicistico) ed erroneo affermare che nel Bel Paese (e in altri) si dedichi alla difficile tecnica del governare solo chi abbia maturato conoscenza di cause, leggi, effetti intorno a un determinato ordine di fenomeni (quelli politici, appunto), basata sul metodo, sullo studio e sull’esperienza (secondo la definizione classica di Pietro Bembo) e che chi lo faccia dimostri talento inventivo e capacità espressiva in misura maggiore di altri? O non è, invece, vero proprio il contrario?
E’ la forma di governo in cui la sovranità risiede nel popolo che la esercita per mezzo delle persone e degli organi che elegge a rappresentarlo. In altre parole, per occuparsi di “politica” in un Paese “democratico” si deve, necessariamente, passare attraverso il vaglio degli elettori.
Domanda: Se, però, in Italia, oggi, per scegliere i propri rappresentanti in Parlamento e al Governo del Paese si devono scegliere solo candidati che abbiano superato prima lo screening dei partiti (che non sembra proprio volto ad accertare qualità e pregi ma piuttosto il grado di fedeltà al Capo) si può dire che i nostri diritti politici siano ancora quelli di un paese democratico?
L’Etica (alla greca) concerne la valutazione (positiva o negativa) della conformità della condotta di vita degli esseri umani alla categoria del bene e non a quella del male (scritte usualmente con le due maiuscole). Il termine fu coniato da Cicerone in un tempo in cui una regola unica, per la vita privata (intima e di relazione) come per quella pubblica, si compendiava nel motto: neminem ledere. Con il passare del tempo e soprattutto con l’affermazione del principio e della casistica del “peccato”, entrambi di derivazione giudaico-cristiana, si ritiene che la morale debba essere ricondotta a un ordine esclusivamente spirituale (con tutta l’ambiguità terminologica e concettuale che ne deriva).
Domanda: Non è il caso, allora, di tenere distinti anche nella nostra travagliata vita pubblica gli aspetti politici, che attengono alla difesa degli interessi della polis (e che si sostanziano nel mantenimento di condizioni di civile e ordinata convivenza, economica e sociale), senza indulgere a ipotesi, definite etiche, di integrazioni, sostanzialmente impossibili a causa della presenza prevalente nei Paesi europei di seguaci intolleranti di dottrine assolutistiche che attengono all’utopia di un’uguaglianza universale e di una fratellanza ecumenica di tutto il genere umano?
Unicuique suum, recita il verso latino, intendendo esprimere l’aspirazione umana a un funzionamento esemplare dei rapporti sociali con l’ausilio delle leggi, che regolano la vita collettiva, correttamente applicate dai giudici. La giustizia, anticamente, era considerata una virtù e i Romani, in conseguenza, ne affidavano la gestione a personalità di provata saggezza ed esperienza (come fanno oggi i popoli anglosassoni che introducono anche un vaglio popolare, ritenendolo l’unico idoneo a legittimare l’esercizio di un potere dello Stato). Fu il Re Sole che su suggerimento del suo fido Ministro dell’Interno, J.B. Colbert pensò di affidare l’amministrazione di un compito così delicato a impiegati pubblici, assunti dal potere politico e da esso sostanzialmente dipendenti, a dispetto di ogni contraria affermazione di principio. La situazione in Italia è diventata più aberrante che altrove: è stato creato un Ordine che, nell’esercitare un potere dello Stato, forse il più delicato, non dipende da niente e da nessuno se non dalla legge che esso stesso, peraltro, si ritiene delegato a interpretare insindacabilmente. In conseguenza, secondo molti osservatori, anche le misure un tempo invocate della separazione delle carriere di pubblici accusatori e giudicanti sarebbero pannicelli caldi di nessun rilievo.
Domanda: Non è un’assoluta urgenza sottrarre la vita democratica italiana a quello che viene ormai comunemente definito un “uso politico della giustizia”; eufemismo per dire che a reggere le sorti del governo e a indirizzarne la politica, bene o male, in favore o disfavore della gente non sono più gli eletti in votazioni popolari ma sostanzialmente i vincitori di un concorso per entrare nei ruoli della pubblica amministrazione?
E’ sancita dall’articolo 7 della Costituzione. Ora è comprensibile che le tre religioni monoteistiche nate in Medio Oriente ma propagatesi, anche in virtù della regola del “crescete e moltiplicatevi”, in grande parte del Pianeta, dopo essersi combattute ferocemente tra di loro senza esclusione di colpi, tentino di unificarsi o di riappacificarsi, rinunciando a distruggersi, l’una contro l’altra, a vantaggio di una sola di essa, ma è altrettanto giustificabile che i Paesi del Vecchio Continente e tra essi l’Italia, già divenuti loro preferenziale e privilegiato terreno di coltura nei secoli passati, si difendano per non finire con l’essere l’ulteriore campo di battaglia (o d’incontro, secondo una più ottimistica visione) a scapito della loro indipendenza e sovranità.
Domanda: E’ accettabile la passività degli Stati Membri dell’Unione Europea nell’accettare interferenze nella loro politica riguardo all’immigrazione mussulmana, da parte di prelati e fedeli di religioni “sorelle”? O non è più consono richiamare, con l’autorità di rappresentanti di uno Stato Sovrano, le Autorità religiose all’osservanza rigorosa dei limiti che s’impongono a chi dovrebbe limitarsi alla cura delle anime e non di certo dei concreti problemi della polis; e ciò a fini di pacifica sopravvivenza delle comunità liberamente costituitesi e faticosamente integratesi nel corso dei secoli?
E’ un’organizzazione internazionale, con organi politici e una struttura tecnocratica di carattere sovranazionale che comprende 28 Stati membri, definiti indipendenti e democratici, ma non è certamente la confederazione di Stati che aveva sognato un uomo politico di grande lungimiranza politica, come Winston Churchill, che all’indomani della fine della seconda guerra mondiale aveva parlato di “qualcosa tipo gli Stati Uniti d’Europa”, con il pensiero volto, verosimilmente, al Nord-America.
Domanda: Strutture burocratiche di prevalente origine bancaria, non dirette da organi politici di pregnante rilievo e di determinante incidenza nelle scelte essenziali per la crescita economica, possono perseguire obiettivi che, a detta di molti osservatori, s’identificano sostanzialmente con quelli delle centrali finanziarie di New York e di Londra?
E’ corretto politicamente che con le regole dell’austerity e del pareggio di bilancio s’imponga agli Stati membri di tenere somme pubbliche adeguate sempre a disposizione degli Istituti di credito (per eventuali ripiani di deficit) e delle organizzazioni che curano il traffico di migranti dal cuore dell’Africa (per sostenere le spese): e ciò al fine di mantenere in piedi un’industria claudicante non più in grado di produrre manufatti competivi per l’alto costo raggiunto dal lavoro? E’ giusto che per il mantenimento dei profitti degli Istituti di credito e di “occulte” organizzazioni umanitarie si blocchi la crescita di un intero Continente, condannandolo a vivere solo di capitalismo monetario e non più multi-produttivo?
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