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Su col morale, ragazzi!

La visione dell’oggi

Sono spiacevolmente colpito e addolorato dal vedere come molti giovani di oggi intendono il mondo in generale ed il nostro Paese in particolare; il ritornello più diffuso sembra essere: “E’ tutto uno schifo”, “E’ tutta m….”, “ Siamo in ginocchio”… Tale visione sovente si estende anche ai meno giovani: si dice che ci siano molti depressi, e persino qualcuno che si suicida (o pensa di farlo) per un epocale pessimismo.

No, ragazzi, oggi non è tutto uno schifo, e neppure una m…

Per capirlo avreste forse dovuto provare a vivere con i vostri bisnonni negli anni 1910, quando in Italia di giovani se ne ammazzarono 650.000 in 40 mesi (nel contempo molti milioni furono i coetanei fatti fuori in Europa), e poi arrivò la “spagnola”, che fece altri milioni di morti di tutte le età, e poi si misero all’opera le squadracce nere che ci portarono le inique dittature fasciste e naziste e quelle rosse cha procurarono le stragi staliniane e maoiste.

Oppure forse dovevate provare ad esserci con i nonni negli anni 1940, quando torme di eserciti di diverse nazioni andavano su e giù per la Penisola disseminando cadaveri e gli italiani si ammazzavano tra loro (per chi non se lo ricorda, morirono 450.000 italiani) mentre qualcun’altro in Europa, con il nostro più o meno tacito assenso, si adoprava per far piazza pulita di un’intera stirpe di concittadini innocenti.

E non vado indietro ai vostri avi nella storia dell’Italia e del mondo, per non propinarvi un’enciclopedia di orrori.

Eppure, grazie ai vostri nonni e padri, dopo la guerra arrivarono i settant’anni migliori per l’Europa da quando, venti secoli or sono, Ottaviano Augusto promosse la sua pace sulle spade delle legioni e sulle fatiche degli schiavi; l’Italia, da paese di poveri e bistrattati emigranti, divenne una rispettata potenza economica mondiale; e così migliorò il “terzo mondo” che in pochi decenni sconfisse la maggior parte delle malattie e della fame, a cominciare dal continente cinese dove oggi si affollano un miliardo e mezzo di ex-poveracci.

Quando leggo di tanti nostri tremori per un Paese “in ginocchio” mi viene di ricordare la mia famiglia nel 1944, con la casa al paese bruciata per rappresaglia, mio padre e mia madre presi ostaggi per essere fucilati, mio padre malato in città sotto i bombardamenti, i risparmi di una vita cancellati dal crollo del valore dei buoni del tesoro, tutti a vivere con lo stipendio di mia madre maestra fermo alla cifra svalutata di anteguerra… Eppure né io né i miei compagni uscimmo frustrati dalle scuole elementari che le insegnanti autogestivano nei momenti liberi dalle azioni di guerra nelle cantine delle osterie risparmiate dall’incendio appiccato al paese dai tedeschi. Anzi, ne venimmo fuori tutti con un gran voglia di fare delle cose, appena possibile. (Quanto ai tedeschi cattivi della mia infanzia, fummo vendicati dai tecnici e dai lavoratori delle nostre industrie che li assalirono con valida concorrenza in tutti i mercati del mondo).

E adesso dovremmo – cari giovani – farci mettere sotto da un’epidemia che, a differenza di tutte le altre prima, sappiamo di cosa è fatta e stiamo imparando come combattere.

Gli (involontari?) seminatori di pessimismo

Cari giovani, fate attenzione perché il cosmico pessimismo é quotidianamente alimentato da perfidi contributori sui media e sui social, anche da intellettuali e giornalisti, che, pur animati da buone intenzioni, sono all’opera per descrivervi un mondo in cui vivere è spaventosamente difficile ed infelice. Costoro, per raccontare giustamente le cose che non vanno e devono doverosamente essere messe a posto, usano denigrare il presente per intero, e magari anche chi fa tutto quello che può per il bene comune, e provano a denigrare persino il futuro.

Tutto ciò mi torna ogni giorno alla mente nel leggere i giornali. Prediamo ad esempio “Il punto del Corriere della Sera”, una ben fatta rassegna quotidiana on-line dei principali articoli del giorno. Nel numero del 2 dicembre:

1.    Nell’articolo di Mercuri “Come sta morendo il giornalismo locale in America”, e perché il fatto ci deve preoccupare, si riferisce l’affermazione di un sito americano: “Quando il giornalismo d’inchiesta diventa una specie in via d’estinzione, è una catastrofe per la democrazia. Ogni volta che un giornale chiude, è un po’ più facile per i politici rubare e per le aziende sfruttare i lavoratori, inquinare l’ambiente e fregare i consumatori”. A molti lettori non frega niente della sorte de The Eureka Sentinel in Nevada, The Mineral Wells Index in Texas o The Morehead News in Kentucky, ma resta in mente il messaggio finale: l’attività primaria dei politici sarebbe rubare e quella delle aziende sfruttare i lavoratori, inquinare l’ambiente e fregare i consumatori.

2.    Altro esempio. Il Corriere riporta da Il Sole 24 Ore: Titolo, “Non ci sono ancora le squadre speciali per assistere a casa i malati Covid. Solo in Lombardia ce ne sono meno della metà di quelle richieste.” Poi si legge che in Italia di squadre ne mancano 1286. Sarà, ma ce ne sono già 1204. Si poteva certamente far di meglio dal 4 marzo ad oggi, ma, dai, si potrebbe scrivere “migliaia di italiani lavorano intensamente in 1.204 squadre speciali, di cui prima di marzo non esisteva traccia. Avanti presto con le altre 1286 che ancora mancano!”

3.    Per un tale Daniele Rielli, come riferisceil giornalista Luca Angeliniquella italiana è “una democrazia traballante e avvitata su se stessa” e Milano “incensata per anni come avamposto del futuro in un Paese altrimenti condannato, <…> si è rivelata, almeno sotto il profilo sanitario e politico, il ventre molle di una nazione in ginocchio.”
Ebbene, Sig. Rielli, non credo che il nostro Paese sia condannato (a che?). E la città di Milano è stata “incensata” con piena ragione: me la ricordo bene, avendoci vissuto dodici anni dal 1962 in avanti, quando più che un avamposto, era un dinamico insieme di popolo che viveva un’epopea proiettata verso il futuro ove, grazie al proprio lavoro, operai tecnici e professionisti, avrebbero raggiunto il benessere per sé e per i discendenti. E credo che Milano quel suo ruolo ce l’abbia ancora: sarò ottimista, ma non riesco proprio a figurarmi una Milano “ventre molle”.
Quanto alla democrazia io preferisco ancora la nostra (traballante e avvitata?) a quelle di Trump, Putin, Xi Jinping e Kim Il Sung (e forse anche a quelle di Angela Merkel e di Boris Johnson). In fondo, da noi un giovane venditore di gazzose può in un attimo divenire ministro degli esteri, e un professore travet può ricevere una chiamata a fare il primo ministro da un partito che sino a pochi mesi prima non esisteva; e senza brogli, né veri né presunti. Mirabili esempi di “mobilità sociale”.

Ma lasciamo stare Rielli, del quale non mi è venuta alcuna voglia di leggere il recente romanzo dal promettente titolo “Odio”.

Allora, come si fa?

Cari giovani, (e meno giovani) è giusto e doveroso denunciare le disfunzioni della democrazia e chi non fa il suo dovere; è anche questa continua denuncia che contribuisce a rendere le democrazie più piacevoli da viverci ed anche più efficaci nel lungo termine (la storia insegna che i totalitarismi durano poco e lasciano rovine), ma:

  • non basta criticare, bisogna anche proporre concrete soluzioni alle cose che non vanno;
  • non basta parlare, bisogna contribuire alle soluzioni con il proprio impegno personale e disinteressato, ed anche insegnare ciò che si conosce, senza distorsioni ideologiche o personalistiche, ma per studio approfondito;
  • bisogna ricordare che lo sputare su tutto e su tutti non dà forza agli argomenti, ma diffonde la sfiducia, e quindi l’ignavia: “perché darsi da fare se tutto é m… ?”;
  • bisogna ricordare che l’odio non può essere il collante delle democrazie né tanto meno può dare una prospettiva verso il futuro.

Invito tutti a interpretare le notizie di giornali, TV e social in modo critico per mettere in evidenza i deplorevoli messaggi negativi che vi vengono inseriti, e rifiutarli, magari dilettandosi con l’esercizio che i filologi chiamano “ermeneutica”; tanto più nei prossimi giorni, quando di certo si svilupperà il disfattismo mediatico avverso i vaccini, gli illuminati che li hanno progettati, gli eroi che li hanno sperimentati sul loro stesso corpo, le aziende ed i governi che vi hanno profuso quelle risorse immani che un tempo mobilizzavano soltanto per gli armamenti e le guerre di genocidio e di conquista.

Ragazzi, è arrivato un virus terribile, come è successo tante volte nel passato dell’umanità. Ma, a differenza del passato abbiamo reagito. L’umanità in meno di un anno ha quasi approntato la difesa poderosa, il vaccino, che ha richiesto a uomini e donne eccellenti uno sforzo internazionale mai visto prima e un’introspezione straordinaria nei segreti della microbiologia, una scienza che ha poco più di sessant’anni dai tempi eroici di Crick, Watson e Franklin ed in cui spendono la loro intensa vita migliaia di giovani fantastici ricercatori.

No, ragazzi, non siete – non siamo – “in ginocchio”. Ma ben in piedi.
Alè, datevi da fare!

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Giorgio Garuzzo

Giorgio Garuzzo nasce a Paesana (Cuneo) il 30 novembre 1938. Laureatosi nel 1961 nel primo corso di laurea in Italia per ingegneri elettronici, ha iniziato la sua lunga carriera in industria nel febbraio 1962, lavorando per dodici anni nel centro di ricerca sui grandi calcolatori elettronici fondato da Adriano Olivetti, partecipando allo progettazione degli elaboratori italiani delle serie Elea e GE che negli anni 1960 fortemente contribuirono alla prima informatizzazione dell’industria italiana. Nel libro “quando in Italia si facevano i computer”, pubblicato come e-book nel 2015, racconta la sua giovanile esperienza nell’ambito di quell’avanzata avventura industriale. Tra il 1973 ed il 1976, è stato membro del Comitato Esecutivo di Gilardini, un gruppo quotato in Borsa, in rapida espansione nei settori dei componenti automobilistici ed industriali. Nel maggio del 1976 l’ing. Carlo De Benedetti, presidente di Gilardini, venne nominato Amministratore Delegato di Fiat, e l’ing. Garuzzo lo seguì in Fiat come suo consigliere personale. Tra il 1976 ed il 1978, l'ing. Garuzzo è stato responsabile dell’ufficio Nuove Iniziative del Gruppo Fiat, promuovendo, tra l’altro, la creazione di Comau, complesso nel campo delle macchine utensili e dei sistemi di produzione, nato dall’integrazione di sette aziende pre-esistenti. Tra il 1979 e il 1984 fu Direttore del Settore Componenti Fiat che includeva oltre 50 aziende del comparto componentistico per l’auto e per l’industria, aziende che riunì in nove raggruppamenti, di molti dei quali fu anche presidente o amministratore delegato: Aspera (compressori per refrigerazione e piccoli motori), Borletti (strumenti di bordo, condizionamento), Comind (componenti in plastica e in gomma), Gilardini, IVI (vernici), Fiat Lubrificanti, Magneti Marelli (componenti elettrici ed elettronici), Weber (carburatori e sistemi di iniezione), Sepa (sistemi elettronici); il Settore raggiunse nel 1982 un fatturato aggregato di 2.250 miliardi di lire, con un buon profitto complessivo. Dal 1984 al 1990 l’ing. Garuzzo fu CEO - Chief Executive Officer di Iveco, la società multinazionale del gruppo Fiat produttrice di veicoli industriali. Dopo le forti perdite riscontrate sino ad allora, Iveco raggiunse il punto di pareggio nel 1985; venne successivamente sviluppata anche tramite acquisizioni (Ford Truck e Seddon Atkinson nel Regno Unito, Pegaso in Spagna, Astra in Italia, Ashok Leyland in India), fino a raggiungere nel 1989 un fatturato superiore agli 8.000 miliardi di lire, con una posizione di leadership sul mercato europeo e un ragguardevole profitto. Da tale posizione Iveco condusse un programma di rinnovamento totale della gamma di prodotto e di 22 stabilimenti in 6 paesi d’Europa, con un investimento di oltre 5.000 miliardi di lire, in larga misura autofinanziato. In aggiunta, nel 1989 l’ing. Garuzzo assunse la responsabilità di Fiat Agri e promosse l’acquisto della divisione dei trattori e delle macchine per l’agricoltura di Ford, coordinando la creazione di un gruppo integrato, che, con la denominazione di New Holland e con un fatturato nel 1990 di 5,1 miliardi di dollari, divenne uno dei due leader mondiali nel comparto, giungendo rapidamente ad un ragguardevole profitto, che ne consentì la quotazione in borsa alcuni anni dopo. Tra il 1991 ed il 1996, l'ing. Garuzzo ha ricoperto il ruolo di direttore generale di Fiat, con responsabilità di tutti i settori autoveicolistici, che includevano Fiat Auto (automobili), Iveco (camion ed autobus), New Holland (trattori, macchine agricole e macchine movimento terra), Magneti Marelli (componenti), Teksid (fonderie), Comau (sitemi di produzione), Ceac (batterie elettriche) e Centro Ricerche Fiat. Tale carica comportava la presidenza del Consiglio di Amministrazione di Fiat Auto S.p.A., di Iveco N.V., di New Holland N.V. Nel 1992 la responsabilità dell’ing. Garuzzo fu estesa a tutto il settore industriale, con l'aggiunta di Fiat Ferroviaria (treni ad assetto variabile), Fiat Avio (parti per aerei ed elicotteri, turbine a gas e propulsori spaziali), Snia (bioingegneria, fibre e prodotti chimici). Nel 1991 partecipò alla fondazione di ACEA, l’Associazione Europea dei Costruttori di Automobili, di cui fu presidente negli anni 1994 e 1995. Nel libro pubblicato nel 2006 “Fiat – I segreti di un’epoca” (ed. Fazi, traduzione inglese ed. Springer), racconta gli eventi della sua esperienza in Fiat e delle realizzazioni industriali nel contesto economico e sociale dell’Italia di quel ventennale periodo. Dal 1996 si occupò di investimenti in “private equity”, esperienza che lo indusse nel 2007 a promuovere la fondazione e la quotazione di Mid Industry Capital SpA (da lui presieduta sino al 2015). E’ sposato con Rosalba Avaro ed ha un figlio, Carlo. L’Istituto Garuzzo per le Arti Visive (IGAV) è un’organizzazione “non-profit”, fondata nel 2005 e finanziata in gran parte dalla famiglia Garuzzo, che ha lo scopo di supportare l’arte contemporanea e in particolare ad aiutare i giovani artisti italiani emergenti a farsi conoscere sia in Italia sia, soprattutto, nei contesti internazionali. Ha sinora organizzato 86 mostre in 58 musei di 19 nazioni, e gestisce l’esposizione della Collezione Permanente alla Castiglia di Saluzzo.

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