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The Social Dilemma: tra user e pusher

“The Social Dilemma” è un documentario esclusivo Netflix, che chiarisce, senza possibilità di smentita, il ruolo della Rete e dei Social Network nella realtà in cui viviamo. Si tratta di un documentario bello ed inquietante, da guardare insieme (o almeno far guardare) ai propri figli.

Il docu-film è inequivocabile per la chiarezza dei contenuti, per gli esempi portati, per l’autorevolezza delle fonti. Sono gli stessi creatori della “macchina” a parlare, a confessarne lo scopo per cui è stata costruita ed il suo funzionamento, difficile, se non impossibile, obiettare.

Quello che ne viene fuori è il ritratto di una società contemporanea complessa ed inquietante, in cui il contatto con la realtà si perde, in cui l’immagine del nostro io nel mondo virtuale diviene predominante, creando generazioni isolate nelle proprie “bolle social”.

User e Pusher

Ad un certo punto l’esperto di statistica statunitense Edward Tufte dice: “Ci sono solo due settori in cui il cliente è chiamato user (utente): le droghe illegali ed il software”. Gli “utenti” della Rete nel mondo sono arrivati a 4,5 miliardi. La domanda da porsi a questo punto non è più come venirne fuori, quanto: “Chi è il pusher?”.

Si, chiamiamolo con il suo vero nome, senza paura: pusher. Lo spacciatore che ci dà la dose quotidiana di dopamina, il neurotrasmettitore che controlla la sensazione di piacere, benessere e ricompensa e che, studi di neuromarketing, hanno visto aumentare durante l’utilizzo dei social network.

Secondo Anna Lembke – Dirigente Medico di Medicina delle Dipendenze alla Stanford University – “i social media sono una droga che agisce direttamente sul rilascio di dopamina. L’uomo è un animale sociale, evolutosi in milioni di anni per vivere in comunità, i social non fanno che amplificare questo bisogno fisiologico”.

C’è però una differenza, non trascurabile: la macchina aumenta la sua capacità computazionale (capacità di memorizzare informazioni, elaborarle e trasmetterle) ad una velocità non comparabile con l’evoluzione del cervello umano. Ed iniziano i problemi, tra due “elaboratori” che viaggiano a velocità diverse, creando disorientamento. Su tutti la capacità di discernere (soprattutto tra i giovanissimi) tra mondo virtuale e mondo reale.

Il problema è talmente serio che in UK si parla della necessità di introdurre una legge che vieti la pubblicazione di foto “modificate” sui social, perchè l’idea di perfezione percepita porta a danni incalcolabili sulla psiche degli adolescenti (il tasso di suicidi tra ragazze 10/14 anni in USA negli ultimi 10 anni è salito del 151%, tra 15/19 anni del 70%). Il mondo perfetto, stile Truman Show, non esiste ed è sempre più difficile da accettare.

Tristan Harris – Google Former Design Ethicist – parla di “rinforzo positivo intermittente” quando deve spiegare il meccanismo da lui inventato e che è alla base dello “scroll” (il movimento che facciamo con il dito per aggiornare la pagina Facebook da mobile): muovi il dito verso il basso e rilasci. E’ come puntare alla slot machine: non sai cosa accadrà, cosa visualizzerai, se proverai piacere o no. E’ una scommessa, continua: adrenalina e dopamina.

Non sei ancora convinto? Ed allora pensa ai “…” di WhatsApp. Tre puntini: un’idea fantastica! Si, per tenerti ancora incollato allo schermo, quando avresti potuto essere distratto da altro ed invece… “sta scrivendo”! Attesa febbrile…

Pensi sia esagerato parlare di “dipendenza”? O inizi a capire come funziona la macchina?

The social dilemma, il docu-film Netflix che svela i segreti e descrive il lato oscuro dei social e della rete

Allora procediamo.

“Durante i primi 50 anni della Silicon Valley l’industria creava e vendeva prodotti: hardware e software. Negli ultimi 10 anni le grandi aziende vendono utenti!”. Partiamo da questa affermazione di Roger McNamee (Facebook Early Investor Venture Capital) ed argomentiamo. C’è un nuovo prodotto sul mercato? La risposta è si! Ed è il “prodotto” che sta rivoluzionando le economie del mondo: SIAMO NOI.

Ed allora, se il prodotto siamo noi, occorre conoscerlo a fondo questo prodotto per poterlo vendere. Cosa c’è di meglio di uno smartphone, sempre connesso, sempre con noi, con installate delle belle APP “gratuite” che ci aiutano a ritrovare amici o conoscerne di nuovi, a trovare amori, che ci assistono nel traffico, che ci danno accesso a tutta la musica del pianeta o ad una infinità di video? Da piccolo ti davano il ciuccio per tenerti buono? Gli smartphone sono ciucci digitali. E funzionano anche con gli adulti!

Tempo ed attenzione

Ma non basta un incontro furtivo. Lo sai, ci si può pure innamorare al primo incontro, ma per conoscersi bene ci vuole tempo! Ecco, il tempo appunto.

Il nostro tempo è la materia prima che muove questa nuova industria. Ottenere il nostro tempo, catturare l’attenzione e mantenerla più a lungo possibile. Questo fanno gli algoritmi delle APP che utilizziamo quotidianamente. Mai come oggi “il tempo è denaro”. Su questo argomento ha scritto un libro (L’industria dei sensi) l’amico Sergio Bellucci, e più volte ne ha discusso su questo giornale: “vendiamo il nostro tempo, solo che nessuno ce lo paga”.

Tutti i servizi “gratuiti” sono pagati per noi dagli inserzionisti, in cambio gli diciamo chi siamo, cosa facciamo, cosa vogliamo, persino cosa sogniamo di fare o di essere. Pensaci un attimo: non è mai esistito un luogo, nel mondo reale, in cui un’azienda potesse avere la certezza di conoscere ogni abitante. “Poi è arrivata la Rete, il mondo virtuale, il posto in cui ogni azienda può avere la certezza di recuperare quanto investe” (Justin Rosenstein – Facebook e Google Former Engineer).  

La rete è il paese di Bengodi, il paradiso sognato dalle grandi aziende! Investire sulla Rete significa aumentare la conoscenza del prodotto più venduto del secolo.

Così, mentre un tempo in borsa si “scommetteva” acquistando future su merci (impegno ad acquistare alla scadenza ed al prezzo prefissato l’attività sottostante, che può essere sia un’attività reale, ad esempio una commodity (grano, oro, metalli, caffè, ecc.), sia un’attività finanziaria), oggi si acquistano “Future sull’essere Umano”: come saremo, cosa ci servirà, cosa desidereremo? Sul tema ha scritto Shoshana Zuboff – Professore emerito Harward Business School ed autrice de “Il Capitalismo della Sorveglianza“.

Ma c’è una profonda differenza tra comprare future su merci e future su esseri umani: chi vende i future sugli esseri umani ha la possibilità di manipolare le nostre vite e, quindi, di “garantire” il realizzarsi di quelle previsioni! Sono future quasi a rischio zero. Chi non ne comprerebbe? Ed infatti le prime 5 aziende del mondo sono quelle che ci “conoscono” meglio.

Ultima considerazione: tra le motivazioni principali che spingono gli uomini alla guerra ci sono sempre state quelle economiche. Oggi chi controlla la Rete controlla l’economia, i Paesi non si conquistano più con guerre reali e morti sul campo. Basta prenderne il controllo nel mondo virtuale ed il gioco è fatto.

Apri gli occhi baby!

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Alessandro Angelelli

Innovation & Marketing Manager | Direttore di Moondo | Presidente AssoBlogger | Consigliere AISM - Associazione Italiana Sviluppo Marketing

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