A Napoli, dunque, ci sarà lo Stadio “Maradona” o, peggio, lo Stadio “Diego Armando Maradona”. Invece di eliminare l’orrendo “cappello” metallico che offende una pregevole opera di architettura, si è pensato ad altro: a sostituire dopo sessant’anni l’intestazione “San Paolo”, nonostante il disaccordo dei sacerdoti napoletani che hanno espresso il loro voto contrario all’abbandono del nome del Santo.
«Come se questa grande, generosa, nobilissima e travagliata città non avesse gravi problemi da risolvere, il sindaco de Magistris e l’Assessore alla Toponomastica hanno proposto alla Giunta comunale, che l’ha approvata, la decisione di intitolare a Diego Armando Maradona lo stadio San Paolo» ha tuonato Gerardo Mazziotti, architetto che partecipò alla progettazione di quello Stadio; e così ha continuato: «La motivazione è una perla di retorica e di demagogia che dimostra l’assenza di razionalità negli amministratori della città. Mi auguro che il prossimo sindaco possa annullare questa insensata decisione» conclude Mazziotti, sottolineando anche che Napoli è l’unica città al mondo a intitolare il suo stadio a un giocatore straniero.
Il sindaco de Magistris, per altro, nella sua delibera ha anche sottolineato di aver conferito a Maradona, nel 2017, la cittadinanza onoraria, quale pubblico attestato della profonda ammirazione e riconoscenza da parte della città e che «mai nessuno è riuscito a immedesimarsi in modo così completo nel corpo e nell’anima di Napoli, con la quale el pibe de oro ha condiviso la genialità e l’unicità, ma anche la sregolatezza e i tormenti che lo hanno reso vero figlio della città». E non c’è stata discussione, poiché «è ’o popolo che ’o vo’». Restava soltanto da sperare in un “non intervento” del Prefetto; la norma, infatti, vuole che siano passati almeno dieci anni dalla morte della persona cui s’intende intitolare una strada, una piazza, un monumento, e soltanto al Prefetto è data la possibilità di una deroga. Infine, sarebbe bene che il prefetto non cedesse alla concessione
E invece no, poiché il Prefetto ha bruciato i tempi e, in men che non si dica, in ventiquattro ore, ha concesso la deroga.
Questa storia della “toponomastica fai da te” è emersa in questi ultimi anni con de Magistris che presta sovente il fianco a proposte che, a parte la non conclamata “necessità”, appaiono sempre dimenticare la norma dei dieci anni e la relativa ratio.
«Frenesia isterica appare ormai la storia delle intestazioni di strade o strutture il giorno dopo la scomparsa di un personaggio. – scrive Francesco Bruno, anch’egli noto architetto, e continua – Lungi da essere l’impegno civile e sacrosanto di tramandare ai posteri la memoria, la questione assume la forma di populismo (diverso da volontà popolare) che, bruciando le tappe previste, soddisfa istinti emotivi e partecipativi ai lutti, i quali, invece, meriterebbero analisi appropriate e sociologiche». E lo stesso Francesco Bruno sostiene che, per tramandare la memoria con la toponomastica «ci sono i pareri degli storici, le commissioni preposte, tutt’al più un dibattito politico-culturale che naturalmente dovrebbe tenere in conto la volontà e i desiderata dei cittadini (termine che preferisco a popolo). Poi ci sono le “liste d’attesa”: quanti meritano essere ricordati e che aspettano silenziosamente (i discendenti e gli estimatori per loro) spesso da molto più di dieci anni. Poi… non si cambiano le intestazioni perché sono esse stesse Storia e memoria collettiva. Poi non deve valere la legge del più forte…, che ottiene perché ha discendenti magari potenti o con amici che possono…».
Non è da meno Luigi Vicinanza che, nel suo Controcanto su “la Repubblica” Napoli, lamenta anche l’abbandono totale del nome del Santo «(…) Lo dico con laica convinzione: è un errore cancellare Sn Paolo. Perché sono errori insopportabili tutti i colpi inferti alla memoria collettiva. ‒ e continua ‒ Solo il cinismo situazionista del sindaco de Magistris poteva concepire un cambio di nome così veloce. Ripeto, non è in discussione l’attribuzione a Maradona (…) gli spetta; ma qualsiasi sia il convincimento religioso di ciascuno, rinunciare alle nostre radici per compiacere l’effimera popolarità, è un’operazione che rivela la debolezza culturale delle classi dirigenti».
Le commissioni (il loro parere, c’è da ricordarlo, è soltanto consultivo) andrebbero diversamente formate e dovrebbero, esse, proporre e decidere…, non eseguire le volontà di politici e del popolo emozionato e tifoso…, altrimenti i personaggi rappresentativi ed esperti presenti nella commissione si dimettano, almeno per un segnale!
La Commissione Toponomastica di giorni addietro (convocata essenzialmente per Maradona) avrebbe dovuto anche esprimersi (ma non ce n’è stato il tempo), tra l’altro, anche sulla proposta avanzata dal Cardinale Sepe riguardante l’abolizione dell’odonimo di via Diocleziano, «imperatore romano […] che ha perseguitato i cristiani […] tra questi màrtiri figura anche il nostro patrono: S. Gennaro, da sostituire con uno dei tanti uomini illustri partenopei» si legge nella motivazione della richiesta. E chissà che non si giunga a dire qualcosa anche della via Domiziana, poiché per Domiziano ci sono sospetti in tal senso; speriamo che a Roma non venga in mente a qualcuno di cambiar nome alle Terme di Caracalla!
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