La strategia per combattere efficacemente un’epidemia è stata sintetizzata nella “formula delle tre T”: Testare, Tracciare, Trattare. Significa che bisogna individuare, attraverso i test, il maggior numero di contagiati possibile, individuare le persone con cui sono entrati in contatto per verificare tempestivamente se sono state anche esse contagiate (tracciare) e curare coloro che risultano malati e isolare tutti i contagiati in modo che non diffondano ulteriormente l’epidemia (trattare). Questa è la strada seguita da grandi paesi organizzati come la Germania e la Corea che ha consentito di contenere il numero dei decessi senza determinare costi economici e sociali esorbitanti.
La condizione necessaria per praticare questa strategia è la creazione di una consistente capacità di effettuare e processare i cosiddetti “tamponi”, cioè i test maggiormente affidabili per il riconoscimento della presenza del contagio. Non è una cosa semplice ma non è nemmeno impossibile: serve una presenza territoriale per individuare le persone e testarle, laboratori per analizzare i tamponi e reagenti per alimentarli.
I dati che la protezione civile rende pubblici consentono di sapere quanti tamponi vengono processati e dove. Come evidenziato dal grafico il numero di tamponi effettuati settimanalmente in Italia è cresciuto con lentezza e questa crescita si è arrestata nell’ultima settimana a quota 400.000. Inoltre, poiché una quota crescente di tamponi deve essere destinata al controllo delle persone già individuate come positive, il numero degli individui testati per la prima volta (che è la variabile fondamentale) si è addirittura ridotto scendendo dai 275.329 della settimana 20-26 aprile ai 246.272 di quella appena conclusa. Vi sono poi enormi differenze territoriali nella distribuzione dei tamponi effettuati sia che li si consideri in rapporto alla popolazione sia che li si consideri in rapporto al numero dei casi positivi rilevati.
Queste due caratteristiche, la lentezza della crescita e la distribuzione territoriale differenziata, derivano dal fatto che le autorità sanitarie nazionali non hanno mai fatto della crescita della capacità di effettuare tamponi una priorità, affidandone la gestione esclusivamente alle regioni: alcune di esse, come il Veneto, si sono impegnate in tal senso ottenendo significativi risultati in termini di riduzione del contagio e dei decessi, altre non lo hanno fatto. A livello nazionale si è preferito puntare tutto sulle strategie di limitazione della mobilità (e quindi dei contatti) le quali hanno dimostrato di incidere molto lentamente sulla diffusione del contagio e di avere costi sociali ed economici elevatissimi.
Oggi, nel momento in cui si sta procedendo ad attuare una graduale riapertura delle attività, la necessità di mettere in grado tutti i territori di gestire una strategia delle tre T in modo efficace dovrebbe essere avvertita come ancora più urgente e prioritaria.
Eppure non sembra che sia così.
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