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Vacanze intelligenti

Alla fine degli anni 70 il settimanale l’Espresso lanciò la moda delle “vacanze intelligenti”. Formula lessicale assai azzeccata, da vedere se altrettanto lo sia stata la formula fattuale. Le vacanze intelligenti consistevano (o consistono) nel non passare le ferie al mare, in montagna, sprecando tempo nel riposarsi o divertirsi, ma spendendolo per accrescere la propria cultura in musei, siti archeologici, mostre, concerti “alti”.

Solitamente “vacanza intelligente” si sposava – a scelta – con “intellettuale di sinistra”, “alternativo” e “politicamente corretto” . Il giornalista e scrittore Edmondo Berselli si era divertito a disegnarne i profili. Per esempio, la professoressa democratica. Non tutte le professoresse democratiche effettivamente insegnano (molte sì, e in ogni caso sono democratiche), ma tutte condividono la fede cieca nei «totem culturali» (sempre Berselli) ovviamente di sinistra e politicamente corretti. Corrono a vedere quel che si «deve» vedere, perché ne hanno parlato quegli intellettuali su quei giornali.

C’è poi il genitore colto che si stupisce se il pupo sogna Gardaland e non il ritratto della Gioconda. Lo straniero acculturato che si bea nel correggere la guida se poco poco butta lì una imprecisione. E lo snob selettivo, quello che conosce tutto, che tutto ha visto sentito e capito e mai e poi mai si recherebbe (o consiglierebbe) chesò? piazza del Campo a Siena – roba per parvenù culturali. Meglio la chiesetta del paesino a 1800 metri di altitudine per raggiungere il quale si deve andare a dorso di mulo. Una volta dentro, nemmeno uno sguardo alla pala dell’altare ma subito nella cappelletta a sinistra, ben nascosta, per godere del secondo quadro in alto a destra, opera unica di un pittore del 400, sconosciuto ai più ma non al turista veramente snob.

E poi ci sono i signori Proietti Remo e Augusta – protagonisti di un film di Alberto Sordi che prende in giro, appunto, le vacanze intelligenti – che, spediti  dai figli a passare una vacanza intelligente, arrivano alla biennale d’arte di Venezia. La signora Augusta, stremata dalla fatica, si accascia su una sedia vicina ad una palma. Viene scambiata per un’installazione d’artista (“il corpo sembra una sfera che prima sprofonda verso il basso e poi si innalza sospinta dal vento che muove la palma” – sentenzia una professoressa democratica). Viene valutata 18 milioni di lire.

Non bisogna dimenticare, accanto alle vacanze intelligenti, anche le vacanze alternative. Quelle non dei politicamente corretti, né dei democratici di sinistra, ma di quelli alternativi alternativi. I duri e puri, insomma. Non era raro, in quegli anni 70, sentire in una delle tante radio private di sinistra che costellavano l’etere, frasi come: “assicuriamo la presenza militante nei campeggi”. Che sarebbe come dire: andiamo in vacanza pure noi, ma così esplicito non si poteva proprio perché sarebbe stato orrendamente borghese. Non che nei campeggi militanti si facessero cose molto diverse che nei campeggi non militanti: bagno, spaghettate, scopate (chi poteva). Cambiavano le canzoni la sera davanti al falò, rigidamente politiche e di sinistra, i giornali che giravano e i discorsi che si facevano: a settembre riprende la lotta e ai padroni gliela faremo pagare. Intanto tutti al mare.

E poi sono arrivati gli anni 80. Cambio di musica. Anche in senso letterale. Gli italiani avevano voglia di lasciarsi alle spalle gli anni di impegno e di politica. Evviva il ritorno al privato, al proprio riverito ombelico. Nella seconda metà del decennio in Italia c’è il boom della borsa e della crescita economica. Tutti si sentono ricchi o perlomeno vogliono apparirlo. E allora giù con le griffe. Anche sui costumi da bagno, sulle borse, sui teli da mare, sui sandali, sulle sdraio e pure sul secchiello. Non è solo Milano da bere. Vogliamo bere tutti e così cambiano anche le vacanze. La riviera adriatica la lasciamo ai tedeschi. Si incrementano i viaggi in aereo e chi può va alle isole Komodo, già Seychelles e Bahamas sembrano fin banali. Crociere in Grecia sì, ma in isole remotissime, quelle conosciute da una ristretta elite, dove è tanto trendy scendere per l’aperitivo e “pensa, non c’era niente ma niente niente, solo noi che ci siamo dovuti portare i bicchieri dalla barca”. Ma un salto al Forte, all’Argentario e compagnia cantando, meglio farlo sempre perché almeno lì l’aperitivo te lo porta il cameriere. La borghesia più in si ritrova come sempre nei posti deputati, ma vuoi mettere farlo dopo che sei appena tornato dall’isola di Pasqua (dove il bagno non te lo sei fatto proprio).

Non va diversamente negli anni 90. Con la differenza che in questo decennio esplodono i villaggi vacanze. Formula più raffinata della colonia penale, perché nel villaggio vacanze si fatica a bestia. La mattina si comincia con l’aerobica. L’imperativo è essere magri belli e giovani a qualsiasi costo. Non importa se con l’aerobica ti viene l’ictus, molto più importante è avere il body più chic di quella signora di Brescia che se la tira tanto. Si prosegue con il mare, ma niente bagno di sole o semplice nuotata. No: si va in canoa e anche se ti viene l’angina pectoris devi continuare a vogare.

Arriva il momento del pranzo. Uno pensa: almeno non fatico. Sbagliato. Il pranzo è self service, raggiungere i piatti, conquistare il companatico, guadagnare la bevanda è una lotta che la carica dei 600 a Balaklava al confronto… Nel pomeriggio non vuoi farti una partitina a tennis? Meglio il tiro all’arco che fa più glam. E poi c’è l’animazione serale. Spettacolini idioti messi in piedi da estenuati animatori che sognano la laurea in psichiatria per capire perché gli ospiti si facciano massacrare così. Il tutto naturalmente sotto i colpi di una assordante disco-music a palla, che ti costringe ad arrochire le corde vocali per scambiare qualche parola con qualche essere che da umano è diventato umanoide ma non rinuncia all’espressione facciale del “quanto ci stiamo divertendo”. Arriva il momento in cui uno pensa di scappare dal villaggio, più veloce di Speedy Gonzales o di Cenerentola a mezzanotte. Ma non fa in tempo: il capo villaggio proprio oggi ti ha insignito del titolo “ospite del momento” e devi riprendere a ballare e fare il trenino cantando “Meu amigo Charlie Brown”. Niente paura: anche le vacanze finiscono e prima o poi si può tornare al rassicurante tran tran cittadino.

E’ così che alla fine uno rivaluta la vacanza intelligente. Perché forse ti stanchi meno. Devi trottare parecchio per assaporare fino all’ultimo coccio tutti gli scavi di Pompei anche se il sole ti cuoce la testa, ma almeno non hai nell’orecchio il ciunf ciunf della disco-music. Devono averlo pensato in molti perché la vacanza intelligente – ironia della sorte – dopo essere stata fonte di innumerevoli lazzi per decenni, nel terzo millennio è diventata una realtà. Sono almeno venti anni che è esploso il turismo culturale. Le città d’arte – a prescindere dal Covid – sono diventate meta del turismo di massa. Nel 2018 Roma, Milano, Firenze, Venezia, Torino, Napoli, Bologna, Verona, Genova e Pisa (le prime 10 città d’arte) hanno totalizzato 84 milioni di presenze. E il fenomeno si estende ai piccoli borghi, ricchi di storia, cultura, tradizioni, enogastronomia e artigianato che sempre nel 2018 hanno portato a casa una spesa turistica complessiva stimata in circa 8,8 miliardi di euro, di cui il 57,3% imputabile a turisti stranieri. E per quest’anno la previsione è che le attrazioni culturali o naturali determinino la scelta della destinazione della vacanza nel 75,4% dei casi.

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Stefania Conti

Giornalista. Nata a Roma e laureata in sociologia, ha lavorato presso (in ordine cronologico): Adnkronos, Il Messaggero, Tg2.

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