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Vaccini: quer pasticciaccio brutto di Bruxelles

Quando, alla fine dell’estate, Ursula von der Leyen annunciò che la Ue aveva deciso di procedere unitariamente all’acquisto dei vaccini anti-Covid, che poi da Bruxelles sarebbero stati distribuiti ai diversi paesi, molti salutarono l’iniziativa come il grande riscatto della Comunità europea in campo sanitario.

Nella prima fase della pandemia, infatti, il coordinamento della Ue in questo settore era stato il grande assente e tutti i principali paesi europei si erano mossi in autonomia con provvedimenti diversi e scatenando una corsa all’accaparramento dei presidi sanitari necessari a combattere il Covid.

Alcuni ordinativi, ad esempio, furono per giorni bloccati in altri paesi in nome della necessità urgente e dell’interesse nazionale, mentre ciascuno si modellava il lock down in base alle proprie priorità ed esigenze interne

Insomma, il piano acquisti della Ue sembrava l’occasione di dimostrare l’unità di intenti europea, al pari del maxi piano economico ribattezzato Next generation Eu.

Ma, come sempre a Bruxelles, il piano di acquisti annunciato a settembre risultò, agli osservatori piu’ esperti, il frutto di un compromesso tra le pressioni dei paesi piu’ influenti, Germania e Francia in testa.

Nel momento in cui la corsa al vaccino era ancora aperta, Bruxelles aveva infatti siglato accordi con numerose case farmaceutiche per un totale di 1,3 miliardi di dosi potenziali, riservando pero le opzioni più consistenti a Pfizer-Biontech (Usa e Germania) e alla francese Sanofi. per un totale di 300 milioni di dosi ciascuna.

A dicembre, però, le carte in tavola si sono rimescolate: Pfizer-Biontech era gia’ pronta, mentre Sanofi doveva ammettere i gravi ritardi del proprio vaccino che dovrebbe vedere la luce verso la fine del 2021.

A quel punto, in Germania, dove la seconda ondata della pandemia ha fatto molti piu’ danni della prima, portando il numero dei morti a circa 900 al giorno, e’ scoppiata la polemica , fortissima, contro la Ue e contro il Governo Merkel perche’ le dosi in arrivo erano troppo poche rispetto all’urgenza delle vaccinazioni.

“La Germania per troppo tempo si è affidata all’Ue sui vaccini”, ha scritto la Bild, il giornale più letto del Paese ed ora “fino a giugno” il vaccino rimarrebbe “merce rara, persino per i gruppi a rischio”.

Ancora piu’ duro è stato il settimanale tedesco Spiegel affermando che la Commissione europea avrebbe rallentato e limitato l’acquisto delle dosi di vaccino anti-Covid prodotto da Biontech e Pfizer poiché non voleva danneggiare il gruppo francese Sanofi.

È un fatto, sottolineava il settimanale tedesco, che al momento soltanto una piccola parte delle dosi dei vaccini ordinati sono certe di essere consegnate: 300 milioni della versione Biontech-Pfizer e 80 milioni (con una opzione di altri 80 milioni) di quella americana Moderna.

Di quelle Biontech-Pfizer, sulla base del meccanismo di distribuzione europeo, la Germania avrà diritto a 55,8 milioni di dosi. Ma poiché sono necessarie due dosi per persona -calcolava lo Spiegel- ne occorrerebbero 140 milioni per raggiungere l’immunità di gregge nella Repubblica Federale, che ha una popolazione superiore a 80 milioni di persone.

Pressata dalla stampa e dall’opinione pubblica, Angela Merkel e’ subito corsa ai ripari e, con un colpo di scena, annunciava una settimana dopo di aver siglato un accordo bilaterale con Biontech-Pfizer per una ulteriore fornitura immediata di altre 30 milioni di dosi.

Berlino è andata anche oltre, annunciando che avrebbe intensificato la produzione del vaccino Pfizer-Biontech sul territorio nazionale. Il ministro della Salute tedesco, Jens Spahn, ha infatti spiegato che in Germania aumenteranno i centri di produzione: “Stiamo lavorando insieme alla societa’ affinché ci possano essere degli ulteriori centri di produzione del vaccino a Marburgo e in Assia”.

Insomma, di fronte alle prime difficolta’, il patto europeo sui vaccini e’ saltato e, sebbene senza polemiche esplicite, gli altri paesi hanno accolto la decisione tedesca con grande irritazione anche perchè l’intesa Ue di settembre vietava espressamente ai contraenti di siglare accordi bilaterali per non danneggiare l’unità di intenti continentale.

E’ stato anche un brutto colpo per l’immagine personale di Ursula von der Leyen, visto che a rompere il patto Ue sui vaccini e’ stata la “sua” Germania e per di piu’ il suo sponsor principale, la cancelliera Merkel. Il tutto sulla base di accuse nazionali nei suoi confronti di incapacità e di favoritismi.

Pochi giorni fa, nuovo colpo di scena: la buona notizia- annuncia trionfante Von der Leyen in una conferenza stampa-  è che ora abbiamo concordato di estendere il contratto con Pfizer e ora potremo acquistare fino a 300 milioni di dosi aggiuntive di questo vaccino, così raddoppieremo le dosi del vaccino Pfizer.

Un annuncio che arriva due giorni dopo l’approvazione dell’altro composto, quello di Moderna, da parte dell’Agenzia europea del farmaco (Ema). Con l’autorizzazione all’immissione in commercio per Moderna da parte della Commissione europea sono diventati dunque due i vaccini utilizzabili in Europa, in attesa di altre autorizzazioni. Prossima potrebbe essere quella per il candidato vaccino di Oxford-AstraZeneca- Irbm (societa’ italiana), già in uso in Gran Bretagna ed altri paesi.

Nonostante questo annuncio “riparatore”, le critiche in Germania alla gestione dei vaccini da parte della von der Leyen non si sono ammorbidite visto che il tardivo raddoppio degli ordinativi a Pfizer- Biontech dimostra l’errore iniziale commesso dalla Ue.

E nel resto d’Europa? Ufficialmente nessuno parla. C’è solo un silenzio rassegnato anche perchè l’episodio è solo l’ennesima conferma della tradizionale visione tedesca nei confronti della Ue: unità e consenso europeo vanno bene ma solo fino a che non entrano in conflitto con gli interessi tedeschi. Se si supera questo limite, la Germania, senza avvertire nessuno, va diritta per la sua strada.

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Alessandra Spitz

Dopo aver collaborato come free lance a varie testate, lavora per tre anni all'Agenzia di stampa Asca come giornalista sindacale. Passa poi all'Ansa e per 18 anni fa parte dell'area Economico-finanziaria. Diventa poi responsabile della nuova area Multimedia dell'Agenzia ed infine, assume l'incarico di Capo redattore centrale.

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