di Ugo Leone
“vedi Napoli e poi muoviti” era l’invito contenuto in un grande striscione rivolto ai partecipanti al G20 svoltosi a Napoli il 22 e il 23 luglio dedicato ai temi dell’Ambiente del Clima e dell’Energia. Vedi Napoli. Eh sì perché la scelta di Napoli come sede di questo importante evento non era casuale se si riflette su cosa è stata ed è questa città.
Ne avrà avuto un’idea chi si fosse affacciato dai balconi di Palazzo reale (sede dell’incontro) sulla piazza del Plebiscito così chiamata dopo che il plebiscito del 21 ottobre 1860 decretò l’annessione del Regno delle due Sicilie al Regno d’Italia.
Chi si fosse affacciato aveva di fronte la grande piazza chiusa in fondo dalla chiesa dedicata a san Francesco di Paola che, come è ben chiaro, non è il Francesco d’Assisi, al quale deve il nome Papa Francesco e al quale molto si deve in termini di sensibilità all’ambiente le cui componenti naturali chiamava fratelli e sorelle. Alle spalle di questa chiesa avrebbe potuto intravedere la collina di Pizzofalcone dove, alla fine dell’VIII secolo a.C. nacque l’antica Parthenope (poi Neapolis).
Parthenope, la sirena data ormai per morta. Ma che, in realtà, come ha scritto Matilde Serao, «Non è morta, Parthenope non ha tomba, Ella vive, splendida giovane e bella, da cinquemila anni; corre sui poggi, sulla spiaggia. È lei che rende la nostra città ebbra di luce e folle di colori, è lei che fa brillare le stelle nelle notti serene (…) quando vediamo comparire un’ombra bianca allacciata ad un’altra ombra, è lei col suo amante, quando sentiamo nell’aria un suono di parole innamorate è la sua voce che le pronunzia, quando un rumore di baci indistinto, sommesso, ci fa trasalire, sono i baci suoi, quando un fruscìo di abiti ci fa fremere è il suo peplo che striscia sull’arena, è lei che fa contorcere di passione, languire ed impallidire d’amore la città. Parthenope, la vergine, la donna, non muore, non muore, non ha tomba, è immortale …è l’amore».
Insomma è Napoli dove si sono accumulati tremila anni di storia che hanno lasciato segni indelebili all’ambiente; nel bene e nel male: nella eccezionale bellezza naturale e nei prodotti della cultura materiale.
Ed è in questa città che ai partecipanti al G20 è toccato l’importante compito di tentare di concordare decise azioni capaci di consentire la progressiva realizzazione degli impegni sottoscritti a Parigi nel dicembre del 2015. Vale a dire il contenimento dell’aumento delle temperature terrestri entro 1,5 gradi centigradi il cui incremento è la causa prima del mutamento climatico in corso da anni. E che, non frenato in tempo, provocherà inevitabilmente il progressivo scioglimento dei ghiacciai ai due poli, l’innalzamento del livello di mari e oceani dove le acque andranno a sversarsi, la progressiva sommersione delle aree costiere, l’incremento degli eventi estremi quali bombe d’acqua, incendi, bombe di calore.
È per far fronte a tutto questo prima che sia troppo tardi che non solo ci si riunisce periodicamente (con scarsi risultati, peraltro) in eventi come questo G20, ma si devono affrontare con decisione i problemi intervenendo sulle cause che li hanno provocati. Perché, se non si interviene a riparare i danni di tante diecine di anni di malgoverno della casa comune Terra e se non si interverrà per ribaltare drasticamente e completamente l’andamento che ha provocato tutto questo, ci sarà sempre meno spazio e sempre meno vivibile per i nostri nipoti e pronipoti e generazioni future.
Caso mai non ce ne fossimo accorti è venuta a ricordarcelo la pandemia che, variante dopo variante, sta massacrando milioni di persone e ha radici sicure nella distruzione della biodiversità e dei suoi ecosistemi. E, caso mai la cosa non fosse risultata con la dovuta evidenza, la natura ce lo ha ricordato in Canada con tremende ondate di calore; e, una dopo l’altra, con le alluvioni che nelle ultimissime settimane hanno sconvolto Germania, Belgio, Olanda, Lussemburgo e immediatamente dopo, Cina e India.
Dunque gli sconvolgimenti climatici non guardano in faccia a nessuno: Paesi ricchi e Paesi poveri. In un ambiente, quello terrestre, nel quale vivono otto miliardi di cittadini il cui quotidiano è sempre più a rischio specialmente nelle vaste aree del pianeta la cui fragilità economica e sociale rende ancora più difficile la sopravvivenza.
Per questo si riuniscono periodicamente (ripeto, con scarsi risultati) i Paesi che contano e che nel contare più di altri sono, come si dice, portatori di interessi che rendono più difficile trovare soluzioni che li mettano tutti d’accordo.
Quelli riuniti a Napoli erano i rappresentanti dei 20 paesi del mondo che da soli costituiscono l’80% del Pil mondiale; più dell’80% del consumo energetico mondiale e più dell’80% della CO2 emessa in atmosfera. E si sono incontrati per discutere di tutela di ecosistemi e biodiversità, di clima, energia e decarbonizzazione.
Con quali risultati? L’accordo faticosamente raggiunto dopo ore di trattative è stato definito dal ministro Cingolani, padrone di casa «Il più completo mai concepito». I contenuti non sono ancora noti nei dettagli: sono descritti in un documento di molte pagine che sarà reso noto nei prossimi giorni. Se veramente vi sono le eccezionali novità promesse da Cingolani, si potrebbero ritenere un passaggio di testimone alla Cop26, che è la conferenza delle Nazioni Unite sul clima che si svolgerà a novembre a Glasgow, in partnership con l’Italia.
Al momento una cosa è certa: intanto si è raggiunto l’accordo a “darsi una mossa” in quanto sono stati diluiti i tempi lungo i quali realizzare gli interventi: soprattutto della decarbonizzazione (interesse Cina soprattutto) e della depetrolizzazione (interesse Emirati arabi soprattutto).
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