di Ugo Leone
Molti tra quanti si sono compiaciuti del riconoscimento di Procida quale capitale della cultura in Italia per il 2022 hanno ricordato che l’isola ha anche una preziosa “appendice” che è l’isolotto di Vivara. Isolotto, ma raggiungibile anche a piedi considerando che è collegato all’isola madre con un ponte.
Vivara fu riconosciuta “Oasi di protezione e rifugio per la fauna stanziale e migratoria” da un Decreto del Presidente della Giunta Regionale della Regione Campania il 10 maggio 1974. Poi, dal 2002, è un’area naturale protetta. Da quando, cioè, un Decreto Ministeriale del 24 giugno la dichiarò Riserva Naturale Statale. Riconoscimento doveroso perché la quantità di caratteristiche floro-faunistiche che vi sono presenti ne impongono una rigorosa tutela caso mai qualcuno (appartenente alla categoria di quei figli la cui madre è sempre incinta) volesse togliersi lo sfizio di qualche estirpazione di piante e/o di qualche colpo di fucile. Non solo, ma anche perché, esistono in questi 32 ettari valori storici, antropologici e architettonici poco noti e generalmente ignorati ma di eccezionale importanza pur essendo, tra l’altro, sede di importanti ritrovamenti archeologici di origine micenea
Buona parte del merito dei ritrovamenti delle origini “storiche” di Vivara sin dall’età del bronzo va all’archeologo tedesco Giorgio Buchner, noto soprattutto per i suoi studi sul popolamento preistorico di Ischia e sulla fondazione delle colonie della Magna Grecia in quella che all’epoca si chiamava Pithecusa.
Si tratta di risultati importanti perché hanno permesso di stabilire due momenti della storia di Vivara: il suo ruolo di collegamento anche commerciale e la sua reale maggiore estensione superficiale che si è poi ridotta sino alle attuali dimensioni in seguito alle dinamiche bradisismiche proprie dell’area flegrea.
Non essendoci poi stata continuità nel tempo i ritrovamenti hanno consentito di accertare la scomparsa di vita stabile sull’isola almeno per un paio di migliaia di anni. Per cui i segnali più recenti di presenze sono riconducibili alla metà del Settecento quando re Carlo di Borbone ne fece una riserva di caccia e, per essere sicuro di riempirne i carnieri, ne fece anche oggetto di ripopolamento con fagiani, conigli e caprioli.
Negli anni e secoli successivi Vivara ha vissuto una situazione di degrado causato dall’incuria e dall’opera di vandali e bracconieri. Sino a quando la famiglia Scotto La Chianca, proprietaria dell’isola, decise di chiudere i varchi abusivi e instaurò una proficua collaborazione con il servizio di vigilanza volontaria della LIPU (Lega Italiana Protezione Uccelli).
Dopo varie vicissitudini ora il compito è affidato a un Commissario Straordinario, Gennaro Esposito, che è persona ben informata dei fatti essendo stato, fra l’altro, direttore del Parco nazionale del Vesuvio.
Oggi della storia sono rimaste solo le radici. Invece, malgrado tutto, sopravvive la natura e la sua ricchezza floro-faunistica ne fa un importante motivo di attrazione. Tanto più importante in considerazione del fatto che tra un anno la madre Procida nello svolgimento del suo ruolo di capitale della cultura, potrà e dovrà tenerla nel dovuto conto esaltandone le caratteristiche di figlia privilegiata che nel suo pur limitato spazio racchiude le caratteristiche geomorfologiche, vulcanologiche, botaniche e faunistiche rappresentative dell’ambiente insulare mediterraneo.
Insomma costituisce un’importante attrattiva per studiosi e per gruppi di turisti “intelligenti”. Dico “gruppi” perché, come tutte le aree con queste caratteristiche, ha una capacità di carico che deve essere rigorosamente rispettata. E dico “intelligenti” perché mi riferisco a quanti non pensano di andare a Vivara a farsi un bel bagno nelle sue acque. Già, perché l’Isola ha appena tre chilometri di coste e non ha arenili. Insomma quanti vorranno godere questa meraviglia dovranno servirsi della lunga rampa di gradini costruita apposta per la visita della principessa Maria Jose.
Tanto meglio se il tutto avverrà in una bella giornata di cieli tersi e limpidi perché, come mi hanno detto, «Alla fine del pianoro, nella parte alta, è possibile godere la vista di uno spettacolo straordinario sull’intero golfo di Napoli che s’inarca, per circa 300 gradi, dalle isole Pontine fino alle Mainarde negli Appennini, passando per Ischia, Capri, la costiera sorrentina e il Vesuvio».
Anche questo è turismo e anche questa è cultura per Procida 2022.
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