Non abbiamo la sfera di cristallo, né frequentiamo maghi e imbonitori e non abbiamo letto i sondaggi come verità rivelate: quindi non sappiamo, né facciamo dell’inutile gossip su cosa uscirà dalle urne domani sera.
Di quanto sia stata brutta questa campagna elettorale sono state scritte fiumi di parole, ma non sono servite a fermare la valanga di balle che ci sono piovute addosso. Intanto a Cisterna di Latina l’ennesimo omicidio di una donna e delle sue figlie ci dovrebbe spingere ad indagare in profondità quel rapporto tra madre e figlio maschio, forse la culla di quel rapporto malato che gli uomini hanno oggi con le donne nella nostra società.
Ma noi abbiamo altro a cui pensare: un giovanotto incaricato da uno studio professionale di gestire un movimento politico ha mandato una mail al Presidente della Repubblica per comunicargli una lista di persone che Lui, il presidente Sergio Mattarella, dovrà nominare Ministri della Repubblica (quella di Pulcinella?). Oppure una nevicata d’inverno: un evento eccezionale e inatteso, improvviso e drammatico che ferma l’Italia in treno, imbianca prima Roma e poi Napoli cogliendo di sorpresa il sindaco di Napoli e i burocrati di Trenitalia.
Siamo al conto alla rovescia, mancano poche ore al voto: Renzi minaccia “non me ne vado” e se Mentana gli domanda qual è il progetto di società che prospetta alle nuove generazioni glissa e continua a parlare di robot e innovazione, mentre Berlusconi continua a firmare contratti con gli italiani e Gigino di Maio presenta una nuova lista di “cittadini” aspiranti ministri al posto di quelli della lista precedente già dimissionati. I comprimari Salvini, Meloni e Grasso fanno le loro ultime dichiarazioni mentre i fantasmi della diaspora comunista trovano un pasto caldo alla tavola della signora Gruber. Per l’appuntamento, con proiezioni e commenti del voto, bisogna aspettare Porta a Porta di domenica, ore 22 Rai Uno.
Mi è tornato alla mente l’intervento di Bettino Craxi di fronte alla commissione bicamerale per le riforme istituzionali sul tema della nuova legge elettorale. Era il 12 novembre 1992. Al discorso replicò Mario Segni che condivise con Craxi il convincimento di essere di fronte ad una scelta su cui non erano pensabili soluzioni di compromesso. Entrambi ritenevano che il nodo della scelta tra proporzionale e maggioritario “non è un salame” che si taglia a metà ed entrambi su questa materia diffidavano delle mediazioni. Segni affermò che quanti sostenevano un sistema misto facevano “in realtà un’affermazione che è tecnicamente una sciocchezza, che politicamente confonde le acque e che non serve a fare chiarezza di fronte agli elettori”. Sappiamo come andò a finire: il compromesso raggiunto fra De Mita e Occhetto introdusse nella riforma elettorale un sistema misto che il salame lo tagliava a tre quarti: conferma ulteriore di una propensione inarrestabile del sistema italiano all’ingovernabilità, accompagnata dall’incapacità o dalla impossibilità della classe politica di farvi fronte. Ieri come oggi.
È questa ingovernabilità del sistema che all’inizio degli anni 90 ha favorito la crisi del modello di sviluppo su cui si era costruito nel secolo scorso il “miracolo italiano”: una crescita della società determinata dal diretto intervento dello Stato nel processo di industrializzazione e dall’alleanza tra il solidarismo di ispirazione democristiana e il riformismo socialista. Una crisi che ha messo in moto un processo di dissoluzione: le grandi imprese dello Stato sono state svendute, è saltato l’equilibrio dei poteri, la classe politica è stata liquidata ma soprattutto sono state diffuse nella coscienza pubblica le teorie dell’antipolitica, del sospetto e della sfiducia. La promessa di Berlusconi di un nuovo miracolo italiano, sulla base di un confuso liberalismo, sembrò la soluzione del problema, ma ben presto il sogno svanì travolto da otto anni di recessione economica.
I governi dell’ultima legislatura hanno avuto il merito di rimettere la barca in rotta, ma senza un progetto politico al quale non poteva non seguire un vuoto di potere politico. Ed è in questa situazione che siamo chiamati a votare. Purtroppo con un sistema di voto che è l’esatto contrario di ciò che serve ossia una sicura e salda governabilità che possa contenere e limitare il potere della burocrazia che ormai da tempo gestisce gli affari del nostro Paese con i risultati che sono sotto gli occhi di tutti da Trenitalia all’Alitalia, tanto per citare i più evidenti disastri di questi signori.
Dobbiamo reintrodurre nel corpo della società un senso di appartenenza a qualcosa più grande di noi, ogni cittadino deve sentire di essere necessario per costruire il bene comune, dobbiamo sapere che il nostro lavoro serve per arrivare a qualcosa di meglio, perché per far progredire la nostra società non basta creare posti di lavoro ma occorre anche un progetto di cui l’aumento dell’occupazione sia un tassello del perseguimento di più grandi obiettivi di sviluppo. Progetto politico vuol dire dare, insieme ad un lavoro, anche uno scopo ai lavoratori, coinvolgendoli per coltivare un loro senso di orgoglio per le cose che si possono fare. L’antipolitica si sconfigge solo con la Politica.
Dobbiamo ritessere la tela che è stata strappata: si è scritto che il male del secolo scorso sono state le ideologie e come spesso accade si è fatto di tutta l’erba un fascio. Si è detto che il mondo è cambiato e che destra e sinistra non esistono più, ma il fallimento di una seconda repubblica mai nata sta a dimostrare che aver buttato insieme all’acqua sporca anche il bambino non è stata una buona idea, malgrado le urla e gli strepitii di comici e sociologi sul nuovo che avanza.
La fine della prima Repubblica, o se si preferisce la grande crisi degli anni 90 del secolo scorso, ha lasciato spazio ad esperimenti di governo che si sono afflosciati come palloncini bucati proprio perché fondati su ipotesi astratte, formulate prescindendo dalla realtà del Paese: vale per il liberismo identitario di Berlusconi come per la democrazia immobile di Prodi o il governo autoreferenziale di Renzi. Occorre prendere atto di tutto questo e recuperare le culture di governo del riformismo cattolico e socialista che avevano fatto grande il nostro Paese.
Nel 1954, al congresso della democrazia cristiana di Napoli Alcide de Gasperi affermò che “la coscienza nazionale si alimenta delle tradizioni ed attinge continuamente al suo patrimonio culturale e civile”. De Gasperi aveva ragione: radici culturali e memoria non servono soltanto a costruire il futuro ma possono rivelarsi necessarie per governare il presente. Un popolo è tale solo quando trova in se stesso la forza per superare situazioni sfavorevoli non inseguendo l’ultimo imbonitore ma riprendendosi il proprio “patrimonio culturale e civile” per dare vita ad una nuova stagione politica in cui le vere idee nuove sono quelle che nascono dai primi 40 anni della vita repubblicana.
Sono riflessioni che vanno al di là del risultato delle elezioni di domenica per guardare al prossimo futuro di un Paese che deve ritrovare se stesso. E’ bello coltivare sogni, avere ideali. Così si conquista il buon governo (e la felicità).
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