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Biden-Harris: congetture future

Di Dom Serafini

Recentemente abbiamo avuto occasione di scrivere che il prossimo capo dello stato americano potrebbe essere, e per la prima volta, donna. Ora vediamo il possibile scenario per arrivare a questo traguardo storico, che é già stato raggiunto (anche a livello di capo di governo) in molti Paesi (Argentina, Brasile, Germania, Gran Bretagna, India, Israele, Nuova Zelanda, Pakistan, ed altri 100 e più Paesi), ma non negli Usa, e nemmeno in Italia.

            Se al termine del secondo e massimo possibile mandato di Biden (assumendo che ne vinca un secondo), l’attuale vice presidente Kamala Harris volesse candidarsi, questa dovrebbe competere con altri candidati del suo stesso Partito Democratico. Un esempio potrebbe essere quando il repubblicano Richard Nixon, vice presidente di Dwight Eisenhower, si candidó alla presidenza nel 1960 dopo i due mandati di Eisenhower (Nixon perse contro il democratico John F. Kennedy, ma vinse nel 1968 contro Hubert Humphrey). Un altro esempio potrebbe essere quando il democratico Al Gore, vice presidente di Bill Clinton, si candidó alla presidenza dopo i due mandati di Clinton. Elezioni poi vinte a tavolino dallo sfidante repubblicano George W. Bush .

            Nel 1968, dentro il Partito Repubblicano, Nixon dovette affrontare alle primarie Ronald Reagan, George W. Romney, e Nelson Rockefeller.

            Nel 2000, per ottenere la candidatura del Partito Democratico, Al Gore dovette affrontare alle primarie un solo sfidante, il senatore federale Bill Bradley del New Jersey.

            Nella storia moderna, solamente un vice presidente ha vinto le elezioni ed é succeduto al presidente sotto cui serviva: George H. Bush, dopo la presidenza di Reagan. Inoltre, dal 1920, cinque vice presidenti non hanno nemmeno ottenuto la candidatura (nomination).

            Un modo per Harris di evitare le primarie (alle primarie del 2020 del Partito Democratico si sono presentati in 29) sarebbe se il presidente Biden desse le dimissioni prima della fine del suo mandato, in prossimità delle nuove elezioni presidenziali del novembre 2024. In questo modo Harris diventerebbe presidente, si sceglierebbe un vice presidente uomo (in modo da bilanciare il “ticket”), e quindi si procederebbe alla campagna per la presidenza contro lo sfidante (o la sfidante) del Partito Repubblicano.

            In questo caso, Biden potrebbe essere accusato di aver “manipolato” le elezioni. Accusa che potrebbe ricadere su Harris, a meno che la salute di Biden non si deteriori veramente. Inoltre, la ricandidatura di un presidente in carica potrebbe essere impugnata (“primaried” nel linguaggio politico), ma questo avviene raramente. Nella storia presidenziale americana solamente tre presidenti in carica sono stati sfidati alle primarie (John Tyler 1841-1845, Andre Johnson 1865-1869, e Chester A. Arthur 1881-1885). Per evitare sfidanti per la ricandidatura dell’allora presidente Donald Trump, alcuni stati avevano addirittura eliminato le primarie nei loro stati.

            La motivazione per le dimissioni di Biden potrebbe essere la precaria salute dovuta all’etá avanzata. Alla scadenza del suo primo mandato come presidente, Biden avrá 82 anni, il che lo renderá il piú vecchio presidente della storia americana.

            Affrontare una campagna elettorale a quell’età porterebbe ad una sicura sconfitta, considerando le energie necessarie per affrontarla in modo efficace. D’altro canto, passando le redini ad Harris (che nel 2024 avrà 60 anni) e con un “ticket” centrista si moltiplicherebbero le possibilità che i democratici rimangano alla Casa Bianca (se non saranno tenuti in ostaggio dall’ala sinistra del partito), e Biden passerebbe alla storia non come il presidente a mandato singolo, ma come colui che ha portato la prima donna alla presidenza negli Usa. Da ricordare che storicamente, dal 1900, cinque dei sei presidenti che hanno vinto un solo mandato sono repubblicani: William H. Taft (1909-1913), Hebert Hoover (1929-1933), Gerald R. Ford (1974-1977), Jimmy Carter (1977-1981), George H. Bush (1989-1993) e Donald Trump (2016-2020). Carter é stato l’unico democratico.

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Dom Serafini

Domenico (Dom) Serafini, di Giulianova risiede a New York City ed è
il fondatore, editore e direttore del mensile “VideoAge” e del quotidiano fieristico VideoAge Daily", rivolti ai principali mercati televisivi e cinematografici internazionali. Dopo il diploma di perito industriale, a 18 anni va a continuare gli studi negli Usa e, per finanziarsi, dal 1968 al ’78 ha lavorato come freelance per una decina di riviste in Italia e negli Usa; ottenuta la licenza Fcc di operatore radio, lavora come dj per tre stazioni radio e produce programmi televisivi nel Long Island, NY. Nel 1979 viene nominato direttore della rivista “Television/Radio Age International” di New York City e nell’81 fonda il mensile “VideoAge”. Negli anni successivi crea altre riviste in Spagna, Francia e Italia. Dal ’94 e per 10 anni scrive di televisione su “Il Sole 24 Ore”, poi su “Il Corriere Adriatico” e riviste di settore come “Pubblicità Italia”, “Cinema &Video” e “Millecanali”. Attualmente collabora con “Il Messaggero” di Roma, con “L’Italo-Americano” di Los Angeles”, “Il Cittadino Canadese” di Montreal ed é opinionista del quotidiano “AmericaOggi” di New York. Ha pubblicato numerosi volumi principalmente sui temi dei media e delle comunicazioni, tra cui “La Televisione via Internet” nel 1999. Dal 2002 al 2005, è stato consulente del Ministro delle Comunicazioni italiano nel settore audiovisivo e televisivo internazionale.

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