Nel rispetto per un bel discorso programmatico, in cui il progetto “repubblicano” si regge su una idea di Paese attorno al quale lo sguardo è alle riforme da non rimandare (ispirazione cavouriana) e al senso di marcia impresso da un soggetto (l’Europa) che guarda prioritariamente a “consegnare un Paese migliore e più giusto ai figli e ai nipoti”, ebbene inspiegabilmente non c’è nemmeno un accenno ad un terzo di quel Paese oggi, gli anziani di almeno due generazioni, attaccati dal virus, sbrigativamente consegnati da famiglie indebolite alle case di riposo (qui tuttavia con un cenno prezioso a “la casa come principale luogo di cura”), non concepiti (almeno per quella metà utile e valida) ad un’idea di lavoro progressivo, stereotipati – nell’idea corrente validata da un certo giovanilismo coltivato anche dalla politica dell’ultimo trentennio – come “sgualciti”, salvo per coloro che ancora hanno in mente il ritratto di Spencer Tracy e Katharine Hepburn. Ovvero che si tengono cara l’elezione (in tempi durissimi) dell’ottantaduenne Sandro Pertini alla massima responsabilità repubblicana.
Ciò detto, l’attacco alla sterilità della solitudine della cultura sovranista resta, in questo discorso, memorabile.
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