Nei Paesi che hanno una base culturale di prevalente natura empiristica, il pragmatismo conseguente rende più scorrevole la vita democratica e più “leggibili” i suoi riti elettorali. I partiti si dividono e si fronteggiano su singole questioni (eminentemente pratiche) e su proposte concrete di soluzione. Si tratta di interventi che interessano la vita della polis, la comunità di cittadini organizzata su un dato territorio e non di fumisterie sul Bene dell’intero Pianeta.
Negli Stati, invece, dove il pensiero dominante è molto ideologizzato, sia in senso religioso sia sotto l’aspetto filosofico, la polemica politica, riguarda Valori Umani inalienabili, Assiomi e Dogmi di natura universalistica e astratta, Principi da attuare a beneficio dell’Ecumene terrestre e via dicendo. Naturalmente, non è agevole raggiungere accordi operativi. La politica che non è più circoscritta alla polis (come suggerirebbe il suo nome) s’impantana in scontri che non hanno il carattere della contingenza territoriale ma della perpetuità universale. La tendenza a sopraffarsi reciprocamente si trasforma spesso in una lotta per la conquista di un potere di carattere assolutistico: teocratico, monarchico, oligarchico, tirannico o, nel migliore dei casi, autoritario.
Privi ab immemorabili, più che orfani recenti, di un pensiero libero, gli abitanti dello Stivale rientrano nei Paesi del secondo gruppo: non hanno mai conosciuto il liberalismo dei padri ideatori, anglosassoni, empiristici e pragmatici (da Cavour a Croce, l'”idealismo” è stato sempre di casa nella dottrina liberale italiana) con le sue proposte concrete.
Ad ogni tornata elettorale hanno sempre assistito al medesimo spettacolo, dove, nella fase pre-elettorale di tutto si parla tranne che dei problemi specifici e peculiari del Paese. Anche questa volta, sempre che non intervenga il solito, italico “Deus ex machina” a irrompere sulla scena, gli Italiani sembrano destinati a ripercorrere la strada della ripetizione tanto ossessiva quanto inutile dei consueti slogan propagandistici che affondano le loro radici nel consueto ideologismo a tre facce: quella cattolica, quella fascista e quella comunista.
Domanda: Che cosa potranno fare i nostri connazionali di fronte al ripetersi delle consuete giaculatorie pronunciate dai leader politici di varia estrazione, per ottenere, invece, la soluzione dei veri problemi sul tappeto? Innanzitutto, seguire il consiglio di Indro Montanelli e turarsi il naso prima di votare, tentando di dare a una forza politica “omogenea” – non i “pieni poteri” (sempre rischiosi per chiunque li conceda) – ma una maggioranza sufficiente a realizzare alcune improcrastinabili iniziative politiche. In altre parole, ogni elettore, reprimendo i conati di vomito derivanti dal fatto che è costretto a votare, comunque, per rappresentanti in Parlamento non selezionati da lui ma (male) dai capi-partito, deve scegliere il movimento politico, che sia pure (purtroppo) a un basso livello di enunciazione lessicale, dica chiaramente dove voglia andare a “parare”.
Il pragmatismo non è nel DNA degli abitanti dello Stivale, ma il crollo, ormai irreversibile, di tutti i miti ideologici del passato potrebbe aiutare a fare una scelta volta finalmente al pragmatismo e non all’ideologismo astratto.
Per consentire all’elettore di fare ciò i politici dovrebbero precisare quale, tra queste alternative di maggior significato, preferiscano adottare. In altre parole, i leader dei partiti in lizza dovrebbero precisare se:
Ecco: queste sono alcune dei nodi che i leader politici che s’apprestano (o s’illudono) di andare a nuove elezioni dovrebbero sciogliere per gli Italiani, che vivono – è vero – da duemila anni senza sapere neppure che cosa sia un pensiero totalmente libero da condizionamenti religiosi o filosofici, ma che sembrano, oggi, finalmente orientati a volerlo scoprire, almeno a livello di giovani generazioni.
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