Di Maria Carmela Di Motta
In questi ormai numerosi giorni di quarantena mi sono fermata ad ascoltare cosa ha da dirci il silenzio. Non eravamo di certo abituati a questa situazione “di fermo”. Eravamo tutti presi dalla frenesia delle numerose cose da fare nell’arco di una giornata che ci sembrava passasse in un istante. Ciò che si voleva sfuggire adesso ci inghiotte. Ora che tutto è immobile e le giornate, al contrario, sembrano interminabili, ho colto l’occasione per completare la lettura di un romanzo iniziato tempo fa: “L’insostenibile leggerezza dell’essere” di Milan Kundera.
Uno dei temi affrontati dallo scrittore è quello di cercare di capire il reale significato della leggerezza e della pesantezza. È un romanzo che trasuda filosofia da ogni pagina. In particolare ha suscitato la mia curiosità la teoria dell’eterno ritorno di Nietzsche. Che può valere ritenere che un giorno ogni cosa si ripeterà così come l’abbiamo già vissuta? “Il mito dell’eterno ritorno afferma, per negazione, che la vita che scompare una volta per sempre, che non ritorna, è simile a un’ombra, è priva di peso, è morta già in precedenza, e che, sia stata essa terribile, bella o splendida, quel terrore, quello splendore, quella bellezza non significano nulla”.
L’idea dell’eterno ritorno ci apre quindi una nuova prospettiva attraverso la quale noi intendiamo le cose in maniera diversa, tutto ci appare privo della propria transitorietà, di conseguenza, ogni nostro gesto sentirà il peso della responsabilità. Ma quindi questo significa che ciò che è fugace, effimero non è condannabile? “La luce rossa del tramonto illumina ogni cosa con il fascino della nostalgia: anche la ghigliottina”. Nietzsche identifica l’idea dell’eterno ritorno come il fardello più pesante, ma chi dice che la pesantezza debba per forza essere qualcosa di terribile e la leggerezza invece qualcosa di meraviglioso? Parmenide, ad esempio, vedeva l’intero universo diviso in due coppie di opposizioni: uno dei poli dell’opposizione era per lui positivo mentre l’altro negativo ma il problema rimaneva lo stesso. Che cos’era positivo, la pesantezza o la leggerezza?
A mio parere attuare nella società odierna il mito dell’eterno ritorno rappresenterebbe nient’altro che una condanna a morte della collettività, a vantaggio solo e soltanto del singolo. Perché il COVID-19 come altri numerosi eventi, se non tutti, avvengono una sola volta nella storia e se ciò che è effimero non è condannabile come non sarà condannabile neppure l’atteggiamento di tutte quelle persone che agiscono pensando solo al proprio tornaconto e ignorando il fatto che, in questa situazione di emergenza, le loro azioni influenzano non solo il loro futuro ma anche quello degli altri. Ora forse questo mio punto di vista potrà essere interpretato come pesante ma “davvero la pesantezza è terribile e la leggerezza meravigliosa ?”.
Dalla rubrica Diario di una quarantena:
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