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Di Maio torna sulla chiusura dei negozi di domenica e propone i turni

Di Maio torna sulla chiusura dei negozi di domenica e propone i turni

Di Maio è tornato sul tema della chiusura dei negozi di domenica e ha fatto sapere che il governo intende introdurre un meccanismo di turnazione che faccia sì che resti aperto solo un quarto degli esercizi commerciali durante i festivi. «Non dico che sabato e domenica non si fa più la spesa, ci sarà un meccanismo di turnazione: resta aperto solo il 25%, il resto chiude», ha detto il ministro. Dalla Lega, per bocca del ministro del Turismo Centinaio, dicono che comunque le città turistiche rimarranno escluse dalla nuova legge.

La linea che descrive le vendite nei negozi fisici, luglio 2018 su luglio 2017, è perfettamente piatta, cioè non s’è venduto un prodotto in più e in termini di valore (denaro speso) la linea tende anzi al basso. La linea che descrive le vendite on-line mostra invece un incremento del 15%. «Dietro la resistenza della grande distribuzione all’annuncio del governo di voler limitare le aperture domenicali c’è la paura che un limite per le aperture nei giorni festivi finisca per trasformarsi in un’ulteriore spinta al commercio online. Quanto alla turnazione non tutte le domeniche sono uguali: ci sarebbe la corsa ad aprire, ad esempio, quella prima di Natale o di Pasqua e tutti proverebbero a schivare una domenica di metà febbraio, dopo le feste e l’onda lunga dei saldi. Anche la definizione di zona turistica, che dovrebbe salvare i negozi dallo stop alle aperture, sembra un variabile complessa visto che potrebbe essere applicata a tutto il territorio nazionale» [Salvia, CdS].

Giovani

L’Istat mostra che ci sono almeno 437 mila giovani dotati di un titolo di studio superiore a quello richiesto per il lavoro che svolgono. «Si tratta del 18% dei diplomati e del 28% dei laureati: tra i primi la sovraistruzione è più marcata tra gli uomini (riguarda il 24% dei maschi contro il 9% delle femmine), mentre tra i secondi accade il contrario (il 30,5% delle laureate è iperqualificato rispetto al 20,1% dei maschi). Numeri che scontano ancora gli effetti della crisi economica: il “plotone” degli overeducated si è infatti allargato rispetto sia ai 372mila giovani del 2008 sia ai 398mila del 2015». Forte l’incidenza dei cosiddetti «lavoretti» ossia della gig economy, che coinvolge tra i 600 e i 750mila lavoratori in Italia (consegna di cibo a domicilio, baby sitter e badanti, addetti alle pulizie, traduttori di testi): il 18% ha un diploma di liceo, il 10% una laurea triennale, il 14% una magistrale e il 6% un master o addirittura il dottorato di ricerca, secondo la Fondazione Debenedetti [Barbieri, Sole].

Politiche in Svezia, rischio di nuove elezioni

In Svezia, dopo le politiche di domenica scorsa, i tre partiti del centrosinistra hanno 144 seggi, i quattro del centrodestra ne hanno 143, per fare una maggioranza ne servono 175. Impossibile capire come si potrà dar vita a un governo. La prassi dà due mesi e la possibilità di quattro tentativi. Altrimenti, si torna alle elezioni.

«La Svezia, avanguardista e riformista, da un secolo persegue una certa politica. Questa iniziò con lo slogan “Welfare garantito dalla culla alla tomba”, ora le culle sono state svuotate, l’eutanasia di stato incombe sul welfare, che l’ha portata, attraverso un percorso in discesa, ad essere una curiosa costruzione socio-economico-culturale, spacciata per civiltà. Una modalità che ha sedotto pure le felpe di Silicon Valley. In tre giorni si possono visitare le più significative 55 no-go areas (l’equivalente scandinavo delle banlieue francesi, le Zus, zoine urbaine sensible). Sono aree cittadine extraterritoriali dove le ambulanze, i pompieri, il postino (le tre libertà basiche per ogni popolo) possono accedere solo se scortati dalla polizia che, a sua volta, deve contrapporsi a continue guerriglie urbane a base di lancio di pietre, biglie, a volte colpi di pistola. In un rapporto del 2014 (En nationell översikt av kriminella nätwerk med stor päverkan i lokalsamhället) il paese è stato mappato, direi vivisezionato. Finita la lettura avrete la sensazione di un paese in completo dissolvimento etico. Non perdetevi un luogo mito, il quartiere periferico di Stoccolma, Rinkeby (stazione del metro), 16.000 abitanti, appena 800 svedesi, gli altri 15.200 sono di 60 etnie diverse e 40 lingue. Qualche anno fa la polizia l’aveva abbandonato al suo destino. Primo atto: la posta non viene più consegnata, può essere ritirata dalle 7 alle 10 al di fuori dei suoi confini, cioè in Svezia 1 (Rinkeby ormai è Svezia 2)» [Riccardo Ruggeri].

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Giorgio Dell'Arti

Nasce a Catania il 4 settembre 1945. Giornalista dal ’69 a Paese sera. Passa a Repubblica nel ’79: inviato, caposervizio, redattore capo, fondatore e direttore per quattro anni del Venerdì, editore del mensile Wimbledon. Dirige l’edizione del lunedì de Il Foglio, è editorialista de La Stampa e La Gazzetta della sport e scrive per Vanity fair e Il Sole 24 ore. Dell’Arti è uno storico di riconosciuta autorevolezza, specializzato in biografie; ha pubblicato (fra gli altri) L’uomo di fiducia (1999), Il giorno prima del Sessantotto (2008) e l’opera enciclopedica Catalogo dei viventi - 7247 italiani notevoli (2008, riedizione de Catalogo dei viventi - 5062 italiani notevoli, 2006). Tra gli ultimi libri si ricordano: Cavour - Vita dell’uomo che fece l’Italia (2011); Francesco. Non abbiate paura delle tenerezza (2013); I nuovi venuti (2014); Moravia. Sono vivo, sono morto (2015); Bibbia pagana (2016).

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