Troppi sono ancora i vincoli pregiudiziali che si affollano attorno alle “presidenziali” dei primi di febbraio.
La prima pietra di inciampo – Draghi sì o Draghi no – la scioglierà solo lui. E la scioglierà malvolentieri, ma con “spirito repubblicano”. La sua inclinazione sarebbe di togliersi di torno i conflitti che stanno emergendo, tanto nel quadro politico, quanto nel sistema di pressioni attorno all’attuazione degli investimenti europei, prefigurando una tacita transizione alla Repubblica presidenziale, per un po’ non scritta sulla carta, con il suo passaggio “di garanzia” al Quirinale. E quindi una tecnicizzazione un po’ mascherata a Palazzo Chigi, ma regolata dal Quirinale. Così da dare fiato alla ricomposizione della crisi dei partiti, fino al 2023 (e forse oltre). Per aprire poi una seconda fase che scopra le carte anche di un possibile rinnovamento di alcune leadership della politica.
Ma l’Europa, in questi due anni, ha bisogno di un’Italia senza sorprese.
E per l’Europa l’Italia che conta è quella scritta in Costituzione, cioè il Governo. E la condizione di “garanzia” è chiesta a Draghi nella misura in cui è lui in prima persona a regolare scelte e relazioni.
Questo orientamento disorienterà da una parte i partiti e i parlamentari e dall’altra parte metterà quasi tutti nelle condizioni di chiudersi sulle prime a difesa del proprio ruolo. Insomma i candidati di bandiera si sprecheranno alle prime tornate. Ma non fino al punto in cui i mediatori al lavoro saranno in grado di creare il giusto spareggio tra l’Italia politica che tira verso sinistra e quella che tira verso destra.
Pur essendo possibile a questo punto una soluzione “senatoriale” di equilibrio proprio rispetto all’Italia bipolare (pochi i nomi possibili, ma tuttavia esistenti, senza qui aprire una lunga digressione, soprattutto sui tre nomi più rilevanti), prevarrà – con qualche resistenza – l’opzione “donna” per l’esigenza di offrire al Paese un’immagine di grande cambiamento rispetto al pressoché inesistente cambiamento della realtà evolutiva dei partiti stessi.
Ma, arrivati già a un certo numero di chiamate, la natura frammentata del sistema metterà in campo scelte separate. Dunque una sorta di nuovo inizio con candidate di bandiera, ma al femminile.
Una di loro non risulterà bruciata, ma si dovrà passare attraverso l’allungamento dei tempi per formare le aggregazioni.
Il PD – con il sostegno del resto della sinistra parlamentare – candiderà Anna Finocchiaro (22% alla prima votazione); Azione, Più Europa e i socialisti candideranno Emma Bonino (7% alla prima votazione); Forza Italia sarà divisa tra Maria Elisabetta Alberti Casellati e Letizia Moratti, imbarazzo risolto all’ultimo minuto dal ritiro della Moratti che ravvedendo rischi finali, sceglierà di preservarsi (dunque la Casellati, per ora al 10%); Lega e Fratelli d’Italia candideranno Elisabetta Gardini (18% alla prima votazione); Italia Viva, CD e UDC candideranno Marta Cartabia (al 15% alla prima votazione); Coraggio Italia candida Michaela Biancofiore (che la spunta su colleghe di partito senza l’anagrafe adeguata) 5% alla prima votazione; infine M5S, pur indicando virtualmente Virginia Raggi, non candidabile per età, opteranno per Paola Taverna, vicepresidente del Senato e vicepresidente del Movimento (23% in prima votazione).
Tra giovedì 17 e venerdì 18 febbraio si formeranno le aggregazioni, pur con un consistente 18% di dichiarate astensioni (con trasversalità, per le resistenze accennate alla scelta uniformante di una donna), prefigurando il duello finale tra M.E. Alberti Casellati e Marta Cartabia. Sarà l’attuale ministro della Giustizia ed ex presidente della Corte a prevalere, distribuendosi il voto dichiarato restante al 60% e al 40%.
La presidente Cartabia formulerà un discorso di accettazione e insediamento di difesa dell’attualità sociale della Carta Costituzionale, senza troppo inerpicarsi sui temi politico-istituzionali dell’attuazione costituzionale, porrà il tema del consolidamento del processo europeo al cuore dell’intervento e delle sue intenzioni sulla prospettiva strategica del governo italiano e conferirà a Mario Draghi l’incarico di formare il nuovo governo in attento ascolto delle disponibilità dei gruppi parlamentari di portare a esito compiuto la manovra degli investimenti per la rinascita dell’Italia.
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