A quattro anni dalla sua scomparsa improvvisa nel cuneese a Bene Vagienna il 2 giugno 2016, mi preme ricordare Fernando Balestra un amico, un collega ed un compagno socialista già collaboratore di Tognoli nella riforma dei teatri stabili, convinto che sia possibile ripartire dal suo progetto formativo socratico, per favorire una nuova stagione di ricerca creativa e promuovere coesione territoriale attraverso lo spettacolo dal vivo nell’era virtuale dei social network e delle piattaforme crossmediali.
Nato il 25 febbraio 1952 a Paternopoli in provincia di Avellino, un uomo, un organizzatore culturale, un manager, un giornalista d’inchiesta, uno scrittore sia di saggi sia di drammaturgie in prosa e in versi, e quindi anche un artista. Ma soprattutto un educatore, un maestro, un docente in grado di produrre e suscitare nei suoi allievi grande passione e amore per la cultura classica, e in primis per il greco che non considerava affatto una lingua morta. A suo parere come spiegherà nel 2015 in un grande convegno internazionale ad Atene organizzato dal Ministero dell’Educazione ellenico. “E’ Eros la chiave misterica nella formazione del giovane attore che si prepara a far vivere i personaggi della messa in scena tragica”. Il teatro greco nel suo insegnamento va dunque considerato come qualcosa di sempre vivo. Ma non solo. Opere come le Baccanti o l’Antigone rimangono di grande attualità per conoscere i grandi fenomeni contemporanei e quindi per capire anche i lamenti provenienti dalle recenti ahinoi incessanti grandi odissee nello stretto di Sicilia al cuore del Mediterraneo.
Così era Fernando Balestra e rimane per noi che lo abbiamo conosciuto e apprezzato non senza avere scontri dialettici anche forti di fronte ai suoi giudizi taglienti su personaggi pubblici fatti e misfatti quotidiani che però – anche quando rimanevano tra noi profondi dissensi – si trasformavano sempre grazie alle sue indubbie capacità maieutiche, in piacevoli diatribe, dalle quali si usciva con la sensazione di aver imparato sempre qualcosa di nuovo. Che si trattasse delle sue indagini (a suo dire soffocate dal potere) sulla gestione della ricostruzione dopo il terremoto nella sua Irpinia, dei suoi ricordi di personaggi così diversi come Pasolini o Pannella, o dei quotidiani strali – lanciati regolarmente nei corridoi delle redazioni Rai in una sorta di bar dello sport neo socratico contro i potenti di turno – Fernando non ci annoiava mai, neppure quando era decisamente sopra le righe o volutamente politicamente scorretto come lo potevano essere scrittori scandalosi come Louis Ferdinand Céline, se non addirittura ladri e vagabondi come Jean Genet che, nonostante i delitti commessi, secondo Fernando alla stregua di Sartre andavano santificati e – come fece Strehler – riportati sempre alla ribalta. Potremmo dunque, a ragion veduta, considerarlo un “provocatore contro tutti i preconcetti”
Ciononostante l’apocalittico Balestra si voleva non solo formatore dei giovani avvicinandoli alla drammaturgia e alla lirica classica, ma anche riformatore delle istituzioni culturali considerandosi a tutti gli effetti un servitore disinteressato della cosa pubblica. Come aveva ricordato nel 2015 ad Atene dal governo greco, era anche orgoglioso dei risultati conseguiti in qualità di manager investito di questa missione per il bene comune. Conclusasi la stagione come sovrintendente all’INDA di Siracusa e tornato a Roma non si dava per vinto e negli ultimi anni con pervicacia aveva proseguito e moltiplicato i suoi sforzi a favore di quella che Italo Moscati ha definito la sua “ricerca creativa”. In previsione della lettura in anteprima della sua Cassandra O’ Skené a conclusione di un incontro di riflessione sul servizio pubblico da me promosso l’anno precedente, il 20 novembre 2015 a Villa Medici nell’ambito del festival Eurovisioni, Fernando Balestra, in una lunghissima mail del 24 giugno 2015, mi aveva chiarito il senso di quest’opera e della sua proposta:
“Il teatro rimane il luogo di denuncia, irradiante, più adatto a formare, tenere pronta e allenare una coscienza collettiva (il demos hegeliano della tribù di adepti –il coro tragico-, che ha coinciso, in ogni epoca, con l’Eros greco, istinto di conservazione e volontà di potenza dei popoli), fervida e combattiva contro la violenza e la sopraffazione dell’uomo sull’uomo, innanzitutto perché sa chiamare a raccolta, in un sol colpo, gli esercizi di tutte le arti (la musica e il canto in testa per la loro innegabile forza emotiva, conduttori di pathos) finalizzate all’unità della messa in scena e perché, da millenni, indica l’unica attività umana che richiede la presenza congiunta, e contemporanea (garanzia della sua attualità e di conseguenza della sua modernità), di interprete e spettatore, entrambi regolati da rapporti interpersonali, protagonisti di una comunità, una e sovrana per obiettivi condivisi, seppur costituita da membri liberi tra di essi eterogenei.
Cassandra sa, a buon titolo, ergersi a simbolo della disfatta di Troia (e di qualsivoglia altra disfatta), dei dolori, della rabbia, dell’impotenza che tormentano il cuore degli uomini umiliati e vinti, eppure, per quanto vittima ella stessa della ferocia di una guerra mostruosa e inutile (come tutte le guerre), fu/è vittima previgente e partecipe della maledizione divina che funestò/a il ritorno a casa degli Aggressori di tutti i tempi, e degli Atridi in particolare, fin dall’alba della vittoria.
Annunciò e subì le torture che inflissero a lei e ai suoi cari, condivise addirittura con il suo carceriere, che ordinò di legarla e deportarla, un destino davvero triste, il peggiore da quando è in vigore il culto rituale dei morti, privati entrambi della vita, del pianto e della tomba, come se non fossero mai nati e dunque mai vissuti, cancellati per sempre affetti, passioni e desideri, sconfessata la tesi umanista del ‘Mann ist Mann’.
Rappresentare Cassandra o il dramma di Cassandra, secondo la tecnica dell’ “interpretazione a calco”, su cui lavoro da qualche anno, così detta perché trae ispirazione dai calchi di gesso di Pompei, che, per un’intuizione geniale del Capocantiere degli scavi, seppero restituire, milleottocento anni dopo, forme fattezze tessuti espressioni di dolore e di incredulità alle vittime sepolte a seguito dell’eruzione del Vesuvio (79 d.C.), nel momento irripetibile della loro morte“.
In questa lunghissima mail del 24 giugno 2015- dopo aver sapientemente riassunto la trama della sua Cassandra, chiariva il senso “politico” generale della proposta non senza tralasciare precise indicazioni relative al suo allestimento scenico, e non solo:
“Sul palco sguarnito o nell’angolo di una chiesa sconsacrata, davanti all’intonaco sbiadito da colorare, alla maniera del grande fotografo Jan Saudek, per strada o sotto un portico sta seduta, nei pressi di un’ara o di una colonna sotto un cielo rosicchiato dall’incuria, seduta su una sedia comune (a mo’ della scostumata figliastra o di una consumata ballerina del Kabarett o nei panni della Salomè dei sette veli di Jessica Chastain per Al Pacino o incantata dagli esperimenti autodistruttivi di Marina Abramovic o imbrigliata nella bellezza dell’osceno di Sarah Saudek – ò-skenè, fuori della scena secondo Carmelo Bene, nel senso di a lato ma anche di fronte, in platea, sopra e sotto la scena, in compagnia degli dei inferi e superi della tradizione brechtiana- vestali della frenetica modernità), sta davanti a noi, suoi contemporanei, questa giovane donna a filare il suo racconto di testimone oculare, solo in apparenza di ciò che è successo in un ieri ormai lontano. Dice di chiamarsi Cassandra (ha comunque subito e visto gli stessi orrori): lungo il percorso che procede da Omero, Eschilo ed Euripide fino a Pier Paolo Pasolini e a Christa Wolf, diventa la testimone, nostra contemporanea, di qualsiasi sopraffazione, delitti contro l’Umanità, allora come oggi, ogniqualvolta è in pericolo l’Uomo e la sua Storia ( e la Poesia che la salva e la attualizza) , ogniqualvolta si tenta di azzerare le orme o le tappe di un’esistenza, sia essa lunga o breve. Lei rispunta quale Angelo della memoria (anche quella ricevuta in eredità da Cassandra) per non dimenticare i crimini di Troia, nella ex Jugoslavia, in Ucraina, in Siria, in Iraq, in Libia. E’ l’ancella della pietà poetica contro il cinismo della storia.
Sta su una sedia, coperta a mala pena da una vestaglia da camera, in mano una bambola di pezza. Una ragazza è sola, sul palco disseminato di oggetti in miniatura, davanti al pubblico. E’ silenziosa, poi cambia due volte la seduta, prima si siede alla destra del pubblico poi alla sinistra, infine è di nuovo nella posizione iniziale, come in posa per una serie di foto segnaletiche. Lacrima muta, mentre arrivano i canti e i rumori dei Troiani che celebrano, incoscienti e gioiosi, dopo dieci anni di duri combattimenti, la fine della guerra, il cui ultimo atto, il più cruento, sta per iniziare. ‘Nella sera d’estate più calda/ il cervo non teme il carnefice/ insieme attendono la tempesta/ se c’è un domani per loro/se c’è un domani con loro./ Il ramo del salice è rigoglioso/ il fiume porta il suo oro al mare/ non so dove brilla la gloria/ il domani non è con noi/il domani è senza di noi/ il fiore non ha più un’ape/ma presto, dice una voce, insorgono, insorgono/ Domani mi appartiene/ domani ti appartiene/ Oh Troia, Troia, sveglia i tuoi figli,/ loro aspettano di sapere/ che mattino sarà domani/ Domani è solo nelle nostre mani.’.
E’ l’inizio della messa in scena e della prova di un’attrice. Cassandra fa risuonare il canto greco originale (i versi 520-560 di Euripide) che racconta la distruzione di Troia sulla modalità dell’esecuzione a cappella“.
Pur essendo il personaggio di Cassandra molto giovane, Fernando – in previsione di una vero e proprio allestimento in teatro – data la complessità del testo riteneva opportuno – per una semplice lettura drammatica di un lungo estratto di quasi un’ora a valle del nostro convegno anche in quel caso come oggi a titolo amichevole – affidarlo ad un’attrice di grande esperienza e soprattutto di suprema bravura nel saper “tenere la scena” anche recitando un monologo, e la scelta non poteva che ricadere su Pamela Villoresi, che egli considerava una fra le migliori allieve di uno fra i più grandi maestri del teatro italiano del secondo Novecento, Giorgio Strehler.
Sino alla fine del mese di ottobre del 2015 aveva proceduto a rivedere minuziosamente il testo e, per parte mia, avevo avuto il piacere di procedere a varie letture ad alta voce nel balconcino del suo ufficio accanto al mio nella sede Rai di Via Montesanto. Non essendo esperto di cultura e mitologia greca, quando non capivo un verso o giudicavo un passo dell’opera troppo oscuro, glielo dicevo e per me era un grande onore svolgere una sorta di funzione da “lettore medio”, e – fra un sigaro e l’altro – imparavo molto da quelle letture e dalle sue preziose esegesi. Fernando viveva allora (nei mesi di quello che sarebbe stato purtroppo il suo ultimo autunno) un momento di entusiasmo perché – nonostante le amarezze conosciute negli ultimi anni una volta conclusasi l’esperienza di Sovrintendente dell’Istituto Nazionale del Dramma Antico a Siracusa e malgrado recenti gogne mediatico-giudiziarie ingiustamente subìte (proprio nel mese di luglio del 2015 quando si trovava con noi in vacanza ad Otranto), aveva riannodato, compatibilmente con il suo impegno professionale in Rai, un felice quanto proficuo rapporto con la scuola e con la formazione teatrale ad Altamura – dove nel mese di settembre aveva appena diretto la seconda edizione di una Summer School nel Teatro di Mercadante -. Alla fine della sua citata mail del 24 giugno 2015 di proposta per Cassandra ci aveva ben riassunto la finalità formativa di questo progetto, che sarebbe comunque poi stato destinato ai suoi allievi e si sarebbe iscritto nell’ambito di un più ampio progetto internazionale, il “Progetto Prometeo”, con cui aveva riannodato le fila nell’inverno precedente in occasione di un suo viaggio in Grecia ad Atene su invito del nuovo governo ellenico. Per il Forum sul Teatro Antico.
“Dopo le esperienze scolastiche di teatro antico, con il Liceo Cagnazzi di Altamura (la collaborazione con il suo ventennale Festival Scolastico Internazionale, la direzione del Laboratorio e della Summer School sull’interprete tragico al Teatro Mercadante, la creazione della Rete dei Licei detta PAIDEIA e sostenuta da ERASMUS), mantenute con assiduità dal 2013, anno della conclusione del mio secondo mandato di Sovrintendente, dopo otto anni consecutivi, presso la Fondazione INDA di Siracusa, dove nel 2009 avevo fondato l’Accademia d’Arte del Dramma Antico, l’allestimento di Cassandra rappresenta il primo tentativo professionale di utilizzare il mio metodo dell’interpretazione “a calco”, studiato per agevolare la relazione fra studente e personaggio tragico in un’idea di teatro totale: nel 2014 gli allievi del Laboratorio Teatrale (con ‘Le Troiane’ di Euripide), da me guidato secondo le regole dell’’interpretazione a calco’, hanno ricevuto premi e riconoscimenti al Festival di Milano, al Festival Europeo di Firenze, alla rassegna Skenè di Bari e sono stati invitati a inaugurare l’area della basilica civile nel sito archeologico di Egnazia, la cui elezione a sito mondiale del teatro scolastico dell’antico è obiettivo primario. La fase sperimentale (che continuerà a settembre – dall’11 al 18 – con la Seconda Edizione della Summer, sempre insieme alla Cacoiyannis Foundation di Atene, all’Università Cattolica di Milano, all’Università di Bari e di Trento, della Sovrintendenza BB.AA. di Egnazia) del metodo interpretativo ‘a calco’ avrà proprio con ‘Cassandra’ la verifica programmatica, perciò risulta quanto mai opportuno legare la performance teatrale a una video sceneggiatura (partitura cross-mediale), per assicurarsi una diretta streaming in rete e per documentare gli step della preparazione e della messa in scena per fini esclusivamente didattici“.
Poco meno di un anno dopo questa mail, il 2 giugno 2016, in pieno attivismo didattico e fervore creativo, alla vigilia di una altrettanto importante iniziativa formativa con alcuni licei piemontesi nel comune natio del nonno di Primo Levi, Bene Vagienna, e dopo aver completato una nuova fatica drammaturgica “Elli e l’altra. Neopathetic Cabaret”, ispirata ad un fatto di cronaca nera durante la Repubblica di Weimar, per due sue giovanissime allieve, Paola Cultrera e Amelia Di Corso, Fernando Balestra ci ha lasciati. Evidentemente si era stufato di inveire quotidianamente contro le malefatte di noi terreni e soprattutto di classi dirigenti che egli giudicava indegne, preferendo direttamente risalire nel cielo e per il nostro bene comune riaffermare ancora una volta che il “Re è nudo”, sottraendo direttamente lo scettro agli dei, pur essendo consapevole che ne avrebbe ancora una volta pagate le conseguenze. Ma, per uno spirito controcorrente come il suo, erede della migliore cultura sessantottina, seguire le orme di Prometeo rimaneva e rimane ancora dopo la morte terrena per lui un’irresistibile tentazione.
Allora come oggi, riproponendo la sua figura ai lettori di Moondo, l’obiettivo di questo nostro contributo rimane lo stesso. Quello di raccogliere il lascito di Fernando, ovvero di formare i giovani facendoli diventare grandi protagonisti di una nuova stagione dello spettacolo dal vivo perché attori o registi non si nasce ma lo si diventa, raccogliere le sue carte e pubblicare con il dovuto rigore filologico i suoi scritti e soprattutto impegnarsi a fondo perché vengano realizzate le sue opere nel loro alveo naturale, il teatro (o il sito archeologico). Ma ciò naturalmente non basta. Fernando – da uomo di televisione attento alla sua missione di servizio pubblico – concludeva la mail riferita all’allestimento di Cassandra insistendo sull’opportunità di legare la performance teatrale a una video sceneggiatura che egli definiva come “partitura crossmediale” per assicurarsi una diretta streaming in rete e come chiariva “per documentare gli step della preparazione e della messa in scena per fini esclusivamente didattici”.
Forse con quest’ultima precisazione voleva cautelarsi dai numerosi problemi relativi alla remunerazione degli autori e degli esecutori che sorgono ogni qualvolta si vuole trasmettere in televisione e oggi anche in rete uno spettacolo dal vivo e che spingono spesso per motivi di budget a rinunciare alla ripresa video se non addirittura a perniciose quanto sterili contrapposizioni fra due mondi, quello del teatro e quello della televisione, che stanno vivendo entrambi un delicato momento di krisis, ovvero nel senso etimologico di trasformazione. Una sfida nella sfida, quella dei diritti e della giusta remunerazione delle opere dell’ingegno e di chi le esegue, che non può essere respinta perché l’industria dello spettacolo non può non fare i conti oggi con le piattaforme “al di sopra della rete” di YouTube, Netflix, Disney+, Peacock, HBOMax e con i nuovi giganti della comunicazione i cosiddetti GAFA Google, Apple, Facebook e Amazon che – quando possono – in nome della libertà di comunicazione cercano naturalmente di sottrarsi dalla remunerazione dei diritti delle opere dell’ingegno in tutte le loro forme.
In questo contesto l’Archivio custodito da Rai Teche può rappresentare un prezioso supporto per rilanciare e promuovere in rete la lunga tradizione dello spettacolo dal vivo, per fornire alle grandi platee internazionali svago e cultura per il tempo libero. Il teatro, il balletto, l’opera lirica hanno storicamente ben rappresentato l’offerta proposta nel corso del Novecento dalla EIAR, poi dalla Rai – soprattutto nella stagione del monopolio – dai grandi concerti sinfonici della radio, al teatro del giovedì della televisione negli anni Cinquanta. Con la dilatazione delle opportunità legate alla televisione in rete (anche sotto forma di abbonamenti season ticket alle stagioni teatrali e musicali o di singoli acquisti in modalità pay-per-view PPV o Subscription Video on Demand SVOD), ma soprattutto l’esplosione in questi ultimi anni delle piattaforme di videostreaming sia a pagamento come Opsys Tv in Francia, sia ad accesso libero fra le quali è bene menzionare l’unica grande significativa innovazione lanciata dal servizio pubblico con Rai Play), la Rai può tornare in prima linea e farsi promotrice del grande spettacolo culturale italiano, a cominciare dai centri di eccellenza milanesi come e il Piccolo Teatro, che possono rilanciare un settore – quello delle industrie culturali deboli – che ha dato grande lustro a compositori, musicisti e commediografi italiani in tutto il mondo. Il Teatro alla Scala, per parte sua, fin dal 1996 ha iniziato a formare il suo archivio digitale e nel corso del 2010, ha potenziato tutti i suoi siti avviandosi sulla strada della condivisione di un grande patrimonio collettivo. Nell’era del tutto digitale e in rete lo spettacolo dal vivo può diventare uno dei pezzi più pregiati delle nuove eidoteche, ovvero dei depositi digitali della televisione “immagazzinata” su nuvole e supporti digitali. Come ha scritto Maria Letizia Compatangelo nel secondo volume de La Maschera e il Video [1] che ho avuto l’onore di pubblicare a conclusione della Collana della Verifica Qualitativa Programmi Trasmessi della Rai, prima di fondare Zone:
“Il teatro nel suo complesso fa parte di quelle che gli economisti chiamano “industrie culturali deboli”, ovvero che hanno bisogno di un contributo statale o degli enti locali, o dei privati, per poter vivere e portare avanti la propria attività e le proprie ricerche ad un alto livello qualitativo. A me sembra una spiacevole definizione, preferisco parlare di plus-valore culturale che è giusto sia garantito e sostenuto dallo Stato, ma in sintesi le cose stanno così. Ora però dovrebbe essere possibile per il servizio pubblico televisivo cominciare a ripensare la realtà del teatro non più soltanto come un onere o un obbligo, ma come un’opportunità, nell’estrema ricchezza e differenziazione che si va delineando nello scenario futuro, dove le tv commerciali e la Rai con il suo canone si ritroveranno fianco a fianco con altre emittenti europee, in un contesto sempre più aperto, ove sarà non solo possibile, ma anche “utile” far di nuovo posto al teatro nel quadro di nuove offerte differenziate, con possibilità di cataloghi, offerte a pagamento, programmazioni nazionali ed internazionali; immaginando ad esempio una stagione invernale impostata sulle produzioni italiane, ed una ribalta internazionale estiva mirata più sui grandi Festival, con abbonamenti a livello europeo e nuovi cataloghi multimediali”.
“Probabilmente – aggiungeva Maria Letizia Compatangelo si parlerà sempre più di traduzioni ovvero di adattamenti di spettacoli teatrali per la tv piuttosto che di riprese da teatri, e ci si orienterà su trasmissioni che dovranno essere ragionate e realizzate tramite un adeguato impiego di mezzi in modo da valorizzare il linguaggio teatrale ripreso dalla televisione. […] Nel variegato panorama attuale, come nel futuro, rimanga comunque importante incentivare la presenza del teatro sulle reti generaliste. Qui la trasmissione di spettacoli teatrali dovrebbe forse essere maggiormente concepita come mezzo di intrattenimento di alto livello, puntando alla godibilità e all’emozione: aderendo alla natura del teatro eppure con il coraggio di staccarsene, se necessario, poiché quando il teatro televisivo è ben realizzato, con la fantasia e i mezzi tecnici ed economici adeguati, lo spettacolo teatrale si trasforma inevitabilmente in un’entità diversa rispetto a ciò che era in palcoscenico. Ma mantiene intatta una delle sue prerogative: la capacità di generare e ri-generare i linguaggi. E poiché il rapporto tra linguaggio e livello culturale ed estetico di una popolazione è direttamente proporzionale, la televisione, soprattutto quella pubblica, dovrebbe – aggiungeva in conclusione – a mio avviso tornare a riflettere su sè stessa e sulla propria funzione formativa anche a questo riguardo”.
L’era delle comunicazioni cross mediali, caratterizzate dalla centralità delle piattaforme digitali interattive, del socialnetworking e dell’Internet delle Cose e più in generale delle applicazioni per le smart cities e l’intelligenza artificiale consentono invece nuove forme di trasmissione a distanza anche di spettacoli teatrali classici destinati ad essere fruiti negli stessi luoghi collettivi per i quali erano stati originariamente concepiti. Consentono ai teatri e agli auditori se attrezzati di apparati produttivi e trasmissivi in entrata e in uscita di beneficiare di tante caratteristiche storicamente acquisite dalla televisione quali l’universalità e la capillarità della sua penetrazione nel territorio facendo dello spettacolo dal vivo una grande rete sociale di comunicazione e comunicazioni virtuali possono essere la matrice per una rimaterializzazione degli spazi fisici reali, per modalità di fruizione in remoto di eventi live dal vivo. Due radiofrequenze inserite in due oggetti consentono loro di comunicare secondo quanto si sta sperimentando con l’Internet degli oggetti beneficiando anche della miniaturizzazione degli apparati. Su grande scala- ad esempio quella di un’area industriale dismessa – non si possono solo creare spazi espositivi fisici ma aree cross mediali attrezzate dotate di edifici intelligenti connessi fra loro ognuno generante e ricevente informazioni dall’altro a loro volta depositate in una nuvola, nel nuovo deposito digitale della società dell’informazione e della conoscenza. Architetti ed urbanisti – insieme a ingegneri ed artisti, produttori e impresari, sceneggiatori e drammaturghi, pianificatori e regolatori territoriali, creatori e programmatori informatici – possono creare una nuova comunità di missionari del servizio pubblico.
Per noi che vogliamo sperimentare i nuovi confini (o meglio i non confini) della comunicazione in rete (nonché ridefinire la missione del servizio pubblico – non solo informativa ma anche formativa ed educativa e perché no? di svago dei cittadini – favorendo altresì un nuovo compito decisivo, ovvero quello di assicurare loro qualsivoglia modalità di accesso e interconnessione alla rete, in quanto ciò è nel frattempo diventato uno dei diritti primari dell’uomo e della donna per assicurare a tutti senza discriminazioni un pieno sfruttamento di tutte le opportunità offerte dalla società dell’informazione e della conoscenza), rimane da realizzare – ai tempi delle smart cities, dei droni e delle automobili prive di conducente – un grande sogno: quello di riportare lo spettacolo dal vivo anche nei teatri dei piccoli centri che, in un tempo ancora non troppo remoto, conoscevano ancora quella che continuiamo a definire per i teatri delle grandi città come la stagione, e beneficiavano allora di un ricco cartellone grazie all’arrivo in quelle piccole località – sia pure magari per una o poche repliche – di quelle che si chiamavano le compagnie di giro.
Rimane dunque da realizzare una diretta streaming in rete ad altissima qualità audio e video in collegamento da un grande teatro italiano che svolga una funzione di hub e di pivot per un circuito di teatri anche lontani dai grandi centri: una diretta streaming in grado di consentire una fruizione di uno spettacolo come questa Cassandra di Fernando Balestra non solo nel luogo in cui si svolge dal vivo l’evento o da chi vi si trovi collegato attraverso un televisore domestico, un tablet o addirittura un telefonino attraverso Internet. Una diretta in ultra alta definizione in grado anche e soprattutto di assicurare nelle migliori condizioni tecniche una fruizione collettiva ed extradomestica dello spettacolo anche da remoto, in una sorta di tele-contiguità come se ci si ritrovasse spettatori di fronte alla scena in tutti i luoghi e gli spazi collettivi collegati all’hub centrale il cui si svolge dal vivo l’evento.
Come per il cinema, anche per il teatro e più in generale per lo spettacolo dal vivo nell’era dell’Internet delle cose, e quindi degli oggetti, degli edifici e delle città intelligenti, possiamo prefigurare un social network di spazi collettivi interconnessi come TelePalcoNet, ossia un circuito di luoghi collettivi di pubblico interesse (teatri, aule didattiche, auditori e sale da concerto, ma anche piazze, siti archeologici e altri luoghi patrimoni e beni comuni per l’umanità) debitamente attrezzati per una fruizione in remoto come dal vivo di grandi eventi. Non solo esclusivamente a scopi didattici, ma in primis per garantire una coesione sociale. Era questo uno dei progetti della Comunità di Pitagora, ispirata all’esperienza di Adriano Olivetti, ai quali stavo lavorando e su cui avevo cercato di attirare la curiosità di quello straordinario servitore disinteressato della cosa pubblica che è stato e rimane Fernando Balestra. Anche da quest’occasione, solo realizzando progetti e proposte convincenti – sebbene non sempre di facile realizzazione – cioè ricorrendo ad un metodo socratico e maieutico come quello che sapeva trasmetterci, possiamo ricordare Fernando nell’unica forma in cui credo avrebbe accettato di essere ricordato: cercando, come lui, di inseguire per il bene comune Prometeo. Evitando, però di rimanere appesi sulla rupe, perché, caro amico, dovunque Tu sia, credimi: continuare come Prometeo a rodersi il fegato, non ne vale proprio la pena!
Mi sia concesso rilanciare per i lettori di Moondo una proposta che avevo lanciato agli amici di Fernando Balestra e che vorrei riproporre per il 70esimo anniversario dalla sua nascita che cadrà fra due anni il 2 giugno 2022. Fernando Balestra ci ha lasciati improvvisamente quattro anni fa in un giorno che per lui era di vigilia, quando stava inaugurando una nuova importante iniziativa con alcune scuole piemontesi a Bene Vagienna. Per uno scherzo del destino, il nostro caro collega ci ha lasciato alla fine di una giornata di festa, il 2 giugno, giorno della nascita della Repubblica, di cui si era appena festeggiato proprio il 70esimo anniversario. Esprimo dunque l’auspicio che entro il 2 giugno 2022, a sei anni dalla scomparsa di Fernando Balestra, si possa creare non una Repubblica di Platone ma un’Associazione e una Comunità-Laboratorio di missionari del servizio pubblico intitolata a Fernando Balestra. Una nuova Comunità che – sull’onda della lezione di Adriano Olivetti – raccolga il lascito socratico di Fernando e sia in qualche modo la levatrice di una nuova stagione per la Rai, per la scuola, per il teatro e più in generale per il bene comune. Per educare e valorizzare lo spettacolo dal vivo formandone le professioni favorendo un accesso per tutti ai vari mestieri di questa straordinaria “boutique” – per riprendere l’espressione usata nella sua presentazione dalla collega Silvana Palumbieri (vedi Approfondimento 2), e, conseguentemente, ridefinire la missione del servizio pubblico come orchestratore di esperienze, linguaggi, spazi scenici, produzioni di nuovi format sperimentali realizzati nei territori dei nuovi distretti digitali della società dell’informazione e della conoscenza. Gli amici accademici grecisti mi conforteranno o correggeranno questa proposta. Non per fare l’ennesima Apologia di Socrate ma per insistere sulla preziosa funzione levatrice del suo insegnamento la nostra proposta sarebbe quella di intitolare questa Comunità-Laboratorio Maieutiké. Associazione in memoria di Fernando Balestra.
Insieme ad alcuni colleghi della Rai, Luca Archibugi, Francesca Cadin, Laura Demetri e Silvana Palumbieri di Rai Teche – d’intesa con le figlie Flora e Francesca, la sorella Antonietta e i fratelli Giovanni Maria e Renato, e in presenza di alcuni suoi allievi, da Giulia Diomede e Davide Geluardi a Elisa Golino, Laura Piazza e Valentina Rubino, formatisi nel primo corso dell’Accademia d’Arte del Dramma Antico da lui fondata nel 2009, a quattro mesi dalla sua scomparsa, nella splendida cornice dell’Accademia di Francia a Villa Medici, nell’ambito di Eurovisioni, avevamo deciso di ricordare la figura di Fernando in un incontro – moderato da Stefano Rolando – al quale sono intervenuti a titolo amichevole fra gli altri, Pamela Villoresi riproponendo estratti della sua Cassandra O’ Skenè , Anna Foglietta leggendo brani da La Tregua di Primo Levi secondo il progetto ideato da Fernando Balestra per i suoi allievi a Bena Vagienna per il 2017, nonché diversi suoi amici accademici, registi e studiosi del teatro, fra cui Theodoros Angelopoulos, Salvatore Aricò, Giorgio Ieranò, Elisabetta Matelli, Italo Moscati, Giuseppe Piccione, Rosario Salomone e Auretta Sterrantino, nonché il suo maestro Bruno Cagli che sarebbe scomparso due anni dopo.
Breve commento di Stefano Rolando moderatore dell’evento
“Confesso di avere accolto con prudenza la proposta di introdurre e moderare questa sera a Villa Medici a Roma, nella parte conclusiva di “Eurovisioni”, un memorial per l’inaspettata scomparsa a giugno di un operatore culturale italiano (televisione, teatro, università, educazione, scrittura, eccetera) a me relativamente noto, pur se entrato in Rai quando sono entrato io (1977) e con affinità di vario genere. Ma in realtà la mancanza di aneddotica personale rischiava di rendere fredda la conduzione e quindi “difficile” la presentazione. Ma trattandosi di “Eurovisioni” non potevo eludere il mio ruolo di vice-presidente (e anni fa di presidente), con l’attuale presidente francese Michel Boyon in difficoltà a trattare una storia molto italo-italiana. E così eccoci alle 18 ad aprire un affollato programma, in un’affollata sala, dedicato a Fernando Balestra. Laurea in lettere classiche, passione per il teatro, ingresso in Rai, programmista e autore, poi in espansione come esperto di teatro classico antico e per anni rigeneratore dell’INDA di Siracusa e uno dei più vulcanici “operatori culturali” in senso novecentesco attorno al fascino (e alla filologia) del teatro greco. Un mondo di relazioni, di amicizie, di creatività, di progetti. Esplosi in una serata stipata da Bruno Somalvico che ci ha fatto uscire da Villa Medici quasi alle 22. Le mie foto sono furtive e da cellulare. La prima è lui che appare in un video, la seconda sono suoi allievi dell’Accademia di arte drammatica e del Conservatorio (io sono dietro causa conduzione e li fotografo di spalle) che cantano in greco antico (una pazzesca suggestione). Pagine sue lette da Pamela Villoresi in modo struggente, giovani attori e attrici coinvolti in modo “etico”, l’ex preside del Visconti a Roma il prof. Rosario Salamone che ha raccontato una meravigliosa storia di amicizia nata conflittualmente, il maestro Bruno Cagli (che quarantenne era stato oggetto della tesa di laurea di Balestra, diventato così amicissimo), Italo Moscati che ha paragonato la sua scomparsa a quella di Ronconi e di Carmelo Bene. Un incredibile crescendo. La sue due figlie, Flora e Francesca, nel finale, in una tenerissima fierezza. Ho concluso facendomi venire in mente le parole di Charles Trenet nella “Ame de poetes”. Tanti anni fa Gigi Mattucci (citazione non casuale) – in un suo raro programma per Rai2 – mise quelle parole ad apertura di una indagine sulla fine che avevano fatto gli intellettuali. “Longtemps, longtemps, longtemps après que les poetes ont disparu…”. Magari non è vero che sono scomparsi – ho detto – magari sono tra di noi, la società li riconosce e li consacra. Dobbiamo fare molta attenzione a considerare le speranze spacciate“.
Programmista, giornalista, regista, saggista, autore, dai lavori di Fernando Balestra emerge il ritratto di una personalità straordinaria. Dal 1978 nella grande bottega Rai porta il suo estro creativo e la formazione allo spettacolo. E’ votato al mestiere di rappresentare, senza preclusioni di genere. Allaccia le diverse forme, le accorda, ne segue l’influenza reciproca. Da un format all’altro documentari, rubriche, programmi: Donne al bivio dossier storie, Bell’Italia, Caffè italiano, Linea verde, Tutto benessere, Confronti, Profondo giallo. Sente che quello che succede nel mondo – le minime cose, gli stati d’animo più comuni – è pieno di una reale sofferenza, di una vera angoscia. Poi va in giro con passione a far cronache televisive per l’Italia. Svolge indagini su calamità naturali diventate catastrofi per l’imprevidenza dei governanti. E raccoglie le cronache delle diverse forme dello spettacolo e della cultura teatro, cinema, danza e arte: Memorie di Giorgio Albertazzi, INDA Tragedie senza crisi, Teatro greco, Alle porte dell’inverno, Progetto Summer School teatro Mercadante, Concerto organistico, Prima Sinopoli, Billy Preston, Giornata Mondiale teatro, Quadriennale d’arte di Roma. La sua inesausta voglia di fare lo porta alla regia teatrale di opere di Ibsen, Shakespeare. Nel suo approccio alla creazione avviene un ribaltamento. Dai luoghi televisivi in cui bisogna inventare tutto ai luoghi teatrali in cui viene fornito un testo compiuto, intoccabile. Dal flusso continuo di situazioni, figure, valori liquidi al saldamento col valore per lui più importante della tragedia greca che dalla sofferenza eleva la dignità della persona. Dalla Rai ottiene la deroga quando dal 2005 al 2012 diventa sovraintendente dell’Istituto Nazionale del dramma antico di Siracusa. In fondo il ritorno al teatro è il punto da cui nel 1974 è partito il suo viaggio nelle arti dello spettacolo con le regie di Macbeth di W. Shakespeare, la Bétise bourgeoise di F. Dostoevskij e Play di Samuel Becket. Ancora una volta a Siracusa emerge in lui la vocazione alla bottega, nel far scuola a una schiera di giovani attori col progetto Prometeo. Utilizzando modelli pedagogici antichi e nello stesso tempo metodi d’avanguardia come la sua “interpretazione a calco, delinea nuove forme di formazione per allievi attori e per giovani studenti italiani e stranieri, molti dei quali lavoreranno con lui nelle tragedie greche Le Troiane di Euripide e Agamennone di Eschilo di cui è regista. Al rientro in Rai prende forma l’idea di una bottega, un laboratorio di produzione e scuola per registi di documentari del servizio pubblico. Porta la lezione di Michelangelo Antonioni del cui gruppo di lavora ha fatto parte all’inizio della sua attività e a cui ha dedicato lezioni all’Università’ della Sapienza Roma. Per le riflessioni sulle discipline che pratica fa capo a Sipario e La rivista del cinematografo. Sviluppa ancora i suoi interventi con i volumi su Luigi Pirandello su quello che considerava il suo maestro, il musicologo e studioso dell’opera Bruno Cagli, intervenuto alla nostra commemorazione a Villa Medici a pochi mesi dalla morte nell’ottobre 2016 e scomparso a sua volta due anni dopo nel novembre 2018.
Con Fernando Balestra mi ha unito la comune passione per i classici poeti greci, da Euripide ed Eschilo a Sofocle e Aristofane. Nei suoi vari viaggi ad Atene abbiamo a lungo discusso sul suo grande sogno: la creazione di un Istituto Permanente in Grecia sul Dramma Antico, cioè di un’istituzione aperta ai festival di tutto il mondo dedicati al dramma antico: il festival dei festival. Ricordo Fernando in accesi discorsi circa l’approccio sul repertorio classico con il regista di Zorba Michael Cacoyiannis fondatore dell’omonima fondazione che ho l’onore di dirigere, nel terrazzo della a sua casa ad Atene, a pochi metri dall’Acropoli Ricordo Fernando lo scorso anno in una conferenza internazionale ad Atene sul tema del dramma antico, la passione con cui parlava dell’importante lavoro svolto a Siracusa con la nascita dell’Accademia del Dramma Antico e l’impatto offerto dal dramma antico allo sviluppo turistico di Siracusa e allo sviluppo in generale Per noi il sogno di Fernando Balestra è ancora vivo . La regione Attica dove è nato il teatro ha avviato incontri con l’INDA di Siracusa per creare programmi comuni sul tema del dramma antico. Le opere si presenteranno a Siracusa, Epidauro e nei principali teatri d’Europa. Il nostro Fernando Balestra ci ha aperto la strada. Per questo il suo nome sta scolpito nel nostro cuore
Pronunciato nel marzo 2015 al Forum Internazionale sul Dramma Antico nell’istruzione promosso dal Ministero greco della Pubblica Istruzione, è stato trascritto e pubblicato da Laura Piazza con il titolo “Il progetto Prometeo: nuovi presidi per la cultura greca antica” in Fernando Balestra, Idea di un teatro. Scritti (2005-2016), Siracusa, VerbaVolant edizioni, 2029, pp. 160-171. Pur essendo edito il testo scritto in questa bella antologia curata da una delle sue migliori allieve, Laura Piazza, invito i lettori ad ascoltarlo così come era stato pronunciato dal vivo nella capitale greca attraverso questo video, ringraziando Theodoros Angelopoulos, considerando questo suo discorso, pieno di pathos e passione, erede della migliore tradizione retorica greca, una sorta di testamento che potrà più di ogni altro farci capire la ricca e generosa personalità di Fernando Balestra.
[1] MARIA LETIZIA COMPATANGELO, La Maschera e il video. Tutto il teatro di prosa in televisione dal 1999 al 2004, Roma, Rai ERI, 2005, 279 p. [il passo citato è alle pp.45-46].
[2] Programmista regista e autore di Rai Teche già docente All’Accademia Nazionale di Belle Arti a Roma
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