Restano contrapposti dubbi e speranze, ma non più di uno su cinque imiterebbe la Brexit.
Il sentimento reale dei gialloverdi in questa Europa resta minoranza.
La campagna elettorale per il rinnovo del Parlamento europeo entra oggi nelle ultime tre settimane di battage, comportando due cose tra loro in contrasto: andare all’essenziale circa la posta in gioco in Europa ma anche fare emergere, al contrario, lo sfaccettato senso politico del riscontro delle urne nei 27 contesti nazionali, ognuno con una storia appunto diversa. Che se vogliamo è la questione di fondo della criticità dell’identità politica stessa dell’Europa: la rivendicazione della “diversità” rispetto al sogno della “comunità”.
Inutile fare moralismo. I sogni comuni non possono essere proposti come “comuni” senza dimostrazione statistica. Anche se è vero che, senza sogni, soggetti ancorché minoritari non potrebbe nemmeno ricominciare il cammino tentato da molti nel corso della storia e che dal 1957 al 2007 ha avuto mezzo secolo esatto di sviluppo e di consolidamento. Per poi, dall’anno dopo, arrestarsi per oltre dieci anni sull’insorgere della crisi economica e veder prevalere a poco a poco la divaricazione di popoli e governi dentro il quadro europeo in euro-ottimisti ed euro-scettici, ovvero in euro-costruttori ed euro-congelatori. Più esattamente in euro-identitari e nazional-identitari.
Qui siamo. Tanto vale ora misurare la temperatura dell’opinione pubblica di tutti i popoli chiamati al voto. E capire come si va profilando non tanto l’offerta di politica che teleschermi e rete stanno per lanciare con suggestioni pubblicitarie; quanto la domanda di politica che in un sistema piuttosto alfabetizzato come l’Europa resta la materia di partenza di ogni progetto. Cosa che anche nel ‘900 ci ha permesso di capire che la pace e l’integrazione sono stati all’origine una domanda maggioritaria. Così come il nazifascismo e l’autoritarsimo totalitario – almeno in certi paesi, tra cui il nostro – sono stati all’origine una domanda maggioritaria.
I risultati della consultazione spagnola in cui un paese del sud Europa che è politicamente messo meglio dell’Italia e che soprattutto ha più caratteristiche di “sistema” rispetto all’Italia dimostra che, al di là della difficile equazione interna di governo, la partita Europa sì–Europa no è risolta almeno con un netto 3 a 1.
E arriva la semestrale di Eurobarometro prodotta dagli uffici del Parlamento Europeo in chiave politicamente neutrale, in cui i dati salienti sono tre:
Sull’interpretazione di questo confronto tenderà a giocarsi la partita, agendo soprattutto sugli indecisi.
La scheda nazionale non ci vede su un altro pianeta. Grosso modo gli italiani hanno sentimenti in linea con la media europea. Con qualche differenza interessante.
Siamo in linea sui dubbi (33%), siamo un po’ più speranzosi (36% contro 28%), siamo meno fiduciosi (19% contro 27%). Soprattutto la nostra fascia giovanile ha sentimenti positivi più elevati: 63% contro la media del 58% (quanto a genere siamo allineati alla media europea). Un segno negativo per l’Italia è il 71% contro l’80% di media UE circa l’idea che ci sono più cose a tenerci insieme che a separarci. Ma anche qui la fascia giovanile fa un balzo: 84% contro il’83 % dell’Europa.
Insomma con questi dati è evidente che continuare con lo scherno, il dileggio, la faciloneria antieuropea – se ne sono sentite di tutti i colori – porterebbe forze che in Italia sono ora in maggioranza ad essere demoscopicamente in minoranza. Per cui la comunicazione elettorale seguirà in questa fase un certo maquillage. L’aperto e dichiarato antagonismo rispetto all’idea di Europa Unita si ridurrà un poco cercando di mantenersi dietro la facciata della critica a “questa EU” ovvero nel limbo del “solo accettabile se totalmente cambiata, eccetera”. Dove in quel “totalmente” andrebbe vista (ma anche indagata meglio) la componente di cambiamento, ma anche correttamente individuata la storica non accettazione – per una ampia parte dei gialloverdi come per gli estremismi di destra e sinistra, da Fratelli d’Italia ai neo-comunisti – dei contenuti valoriali degli stessi Trattati istitutivi. Che vale quindi come un “no” frontale.
Insomma la fotografia emozionale dell’elettorato europeo comporta un confronto finale forse più edulcorato, ma non per questo meno vero e sostanziale. In Europa dovrebbe e potrebbe prevalere alla fine un quadro politico che ha riferimenti riformistici di tradizione e anche un certo europeismo di tradizione.
Il che metterebbe in chiaro che le nostre forze governative che hanno per ora qui una maggioranza pur conflittuale, in Europa (dove si assumono decisioni legislative che hanno ricaduta automatica sulla nostra legislazione) non sarebbero nella cabina di regia.
Che gli italiani pensino bene in cabina elettorale a cosa questo significherebbe nell’interesse del Paese.
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