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Come sarebbe la geografia politica se si formasse davvero un “centro riformista”

Il governo Conte bis è varato e comincia la sua difficile navigazione verso la finanziaria e verso la legge elettorale. 

Alexander Stille ha spiegato agli “addetti ai lavori” americani (su Foreign Affairs) che le prove decisive saranno quelle di trovare l’accordo con l’Europa sui migranti e di mostrare in concreto il riavvio della crescita. A dimostrazione che il governo ha invece una agenda “tutta sua” si vede che la priorità viene data al “taglio dei parlamentari” addirittura prescindendo da chiarezze sulla legge elettorale. Giusto parlare dunque di “difficile navigazione”.

Il governo ha la maggioranza in Parlamento con il sostegno dichiarato del PD (e del segmento “Italia Viva” che, dopo il voto di fiducia, si è staccato parlamentarmente per iniziativa del sen. Matteo Renzi), del Movimento 5 Stelle (che in Parlamento è ancora la prima forza politica rappresentata) e di LEU, cioè la componente più a sinistra dell’Assemblea, con rappresentanze al governo.

Lo sostengono anche piccole altre rappresentanze parlamentari (parte dei rappresentanti delle autonomie territoriali, socialisti, la componente parlamentare della Camera di Più Europa).

Si sono dichiarati contrari al Governo i tre partiti del Centro-destra (Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia), il movimento Siamo Europei (rappresentato in Europarlamento da Carlo Calenda e nel Parlamento italiano da Matteo Richetti), la maggioranza di Più Europa (con il voto al Senato di Emma Bonino).

Mentre si apre lo scontro tra chi sostiene il “maggioritario” per la prossima legge elettorale e chi sostiene (con varie ipotesi) il perdurare di una componente di voto “proporzionale”, altro banco di prova complicato, proviamo a vedere quale potrebbe essere la geografia politica che si va delineando nel quadro descritto.

Ipotizzando che esistano ancora i concetti di sinistra, centro e destra

Proviamo anche a considerare ancora il paradigma di sinistra, centro e destra utile per descrivere almeno i profili essenziali dei posizionamenti per renderli leggibili ancorché in condizioni non stabilizzate.

Nell’area di sinistra-centro si configura l’alleanza di governo, in ordine a cui M5S esprime alcune riluttanze (non tutto il Movimento) a considerare a “sinistra” il posizionamento. Oggi in condizioni parlamentari maggioritarie.

A destra si configura l’alleanza stabile tra Lega e Fratelli d’Italia.

Se si considera l’area di centro-destra va compresa Forza Italia che è sottoposta a frizioni tra chi spinge all’alleanza con i partiti di destra, anche in vista delle elezioni regionali, e chi esprime per ora incerte e non legittimate pulsioni verso il posizionamento più centrista di Renzi o con altre destinazioni. Il blocco complessivo corrisponde abbastanza al polo opposto, pur nell’altalenarsi delle intenzioni di voto.

Nell’area di centro-sinistra – che questo articolo prende soprattutto in considerazione – si vanno collocando Più Europa (con un certo smarrimento sul conflitto interno riguardante il governo e con qualche cedimento nelle intenzioni di voto verso Renzi e anche verso Calenda e quindi collocata tra il 2 e il 3%), il progetto di Renzi (che ha intenzioni di voto tra il 5 e il 6%) e il progetto di Calenda, appena annunciato, a sua volta accreditato tra l’1 e il 2%. Nel complesso – aggiungendo soggetti politici già connessi dalle Europee ad oggi a questo polo politico-elettorale – si dovrebbe parlare di un 8-12%. Dato di partenza, ovviamente, che caratterizza la soglia minima per delineare un “polo”. Essendo evidente che, non esplicitandosi finora un progetto di collaborazione o addirittura di convergenza, il potenziale comunicativo di questi soggetti resta incerto e conflittualmente sovrapposto. Avendo tuttavia un tempo di assestamento pari a quello che potrebbe essere concesso dall’attuale legislatura, ma a condizione di lavorarci da ora.

Da qui alle elezioni il tempo di portare a termine le ricomposizioni

Una scomposizione dell’elettorato di Forza Italia (già iniziato) potrebbe spostare equilibri tra centrodestra e centro-sinistra, formandosi un bipartitismo molto imperfetto, con due gruppi polarizzati a sinistra e a destra e un polo a questo punto stabilizzato al centro che potrebbe essere decisivo per caratterizzare la coalizione governante.

Le diverse ipotesi in prospettiva dipendono da molti fattori ma da qui alle elezioni conterà molto la tenuta ovvero la conflittualità nel quadro dell’attuale governo. E’ indubbio che le possibili criticità tra PD e M5S resterebbero senza alternativa se non risultasse possibile la maturazione di un dialogo di coalizione tra il nuovo Centro (che continuerebbe a chiamarsi centrosinistra) e il PD che, ammessa l’ipotesi accennata, verrebbe spinto a rinunciare, in una risultante possibile maggioranza di governo, al contributo (quello attuale non quello del 2018) di M5S. 

Un tale processo, oggi prevedibile quanto il suo contrario, ma per il bene della democrazia italiana (ovvero per considerare soluzioni di ricambio) da immaginare come un cantiere possibile, porterebbe anche a superare, ovvero marginalizzare l’attuale conflitto tra i favorevoli e i contrari al governo ora in carica. 

Tema che, se è consentito, spiega meglio il senso della posizione astensionista che è stata presa da piccole minoranze nel dibattito sulla fiducia, tanto da soggetti parlamentari autonomisti, quanto con piccoli numeri all’interno di Più Europa.

Aggiungendo a questa analisi quella che andrebbe meglio compiuta sulle dinamiche interne di M5S in cui alle due tendenze che già si fronteggiano (sinistra e destra populiste) – argomento che pesa sull’ipotesi di criticità del governo – potrebbe irrobustirsi l’orientamento proprietario del movimento (Casaleggio) verso una maggiore istituzionalizzazione del partito, che è argomento che pesa sull’ipotesi di tenuta del governo. 

Una diversa situazione tripolare

Insomma la fine della scomposizione e della ricomposizione potrebbe ripresentare un contesto politico non del tutto diverso da quello dei lunghi anni della prima repubblica: la sinistra con piccole forze post-comuniste e un “melanschonismo” che tenderebbe a radicalizzare il futuro prossimo della parte prevalente di Cinquestelle (tema con il punto di domanda); a destra la vera area sovranista e nazionalista; di mezzo il blocco di centrosinistra con un equilibrio paritario tra il PD da una parte e la coalizione (pur destinata a non poche  scintille interne) dei movimenti nuovi o ora trasmigranti, coalizione  che per costituire una forza davvero insorgente dovrebbe trovare un’ispirazione accomunante nella cultura liberal-democratica europea.

Questo schema – inutile negarlo – presenta infinite controindicazioni. Innanzi tutto nel carattere per ora poco conciliabile di una coalizione che stiamo chiamando “di centro” che ha alcuni soggetti che vengono considerati non tanto disponibili a fare veri patti con altri (Renzi, scrive ad esempio in questi giorni l’Economist, ha preso una via “più da rottamatore che da costruttore”).

Ma rappresenta anche la necessità di far approdare finalmente da qualche parte il travaglio dell’uscita dalla seconda Repubblica. Che potrebbe portare a maggiore buon senso, se assunta come un tema veramente prioritario.

Cioè prima di tutto allontanandoci davvero dal rischio del populismo contaminante (l’esperienza dei gialloverdi è fallita ma non è per questo estinta), offrendo percorsi accettabili per soggetti che devono ancora ampiamente lavorare sul loro modello di partito.

E’ evidente che un centro riformista che in questo momento ha un solo partito articolato di tipo tradizionale (Più Europa) rispetto a due “partiti personali” (come sono i movimenti di Calenda e di Renzi) obbliga a immaginare poste di maturazione importanti per uscire dal tatticismo permanente. 

Un tatticismo che soprattutto in questo periodo diventerebbe una malattia che può infliggere danni all’Italia e dare fiato a forze demagogiche per nulla messe con certezza fuori dalla “sala macchine”. Dal momento che ancora nessuno ha davvero lavorato sulla sostanziale natura maggioritaria della domanda sociale di demagogia e di populismo in Italia.

A dirci che la situazione è in movimento arriva intanto una notizia.  

E’ imminente (l’11 ottobre) un evento a Napoli in cui Più Europa (Bonino e Della Vedova) e Siamo Europei (Calenda e Righetti) – la cosa parrebbe “naturale” – dialogano in pubblico.

Un segnale che potrebbe riguardare questa geografia e spingere a creare, chiusa la sorpresa della formazione di un inedito e inaspettato governo, percorsi più tendenziali. 

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Stefano Rolando

Stefano Rolando è nato a Milano nel 1948, dove si è laureato in Scienze Politiche e specializzato alla Scuola di direzione aziendale della Bocconi. Tra vita e lavoro si è da sempre articolato tra Milano e Roma. E' professore universitario, di ruolo dal 2001 all’Università IULM di Milano dopo essere stato dirigente alla Rai e all'Olivetti; direttore generale dell'Istituto Luce, alla Presidenza del Consiglio dei Ministri e del Consiglio Regionale della Lombardia. Insegna Comunicazione pubblica e politica e Public Branding. Ha scritto molti libri sia su media e comunicazione che di storia, politica e questioni identitarie. Da giovanissimo è stato segretario dei giovani repubblicani a Milano, poi ha partecipato al nuovo corso socialista tra anni settanta e ottanta. Poi a lungo non appartenente. Più di recente ha lavorato sul civismo progressista (Milano e Lombardia) e su un progetto politico post-azionista in relazione al quale è parte della direzione nazionale di Più Europa.

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