Il piacere dei sensi

Il fascino del doppio

Omonimia e polisemia

Si diceva della distinzione tra polisemia e omonimia; per quanto facile da formulare, essa è difficile da applicare con coerenza e attendibilità.

Un criterio senz’altro valido è quello etimologico, anche se non pertinente e del tutto risolutivo nella linguistica sincronica. I lessicografi lo ritengono, è vero, una condizione sufficiente per definire l’omonimia, ma la differenza di origine non è mai stata considerata la condizione indispensabile per distinguerla dalla polisemia.

La stessa etimologia, del resto, nonostante rappresenti una branca della linguistica tra le più antiche, stenta a poter essere formulata in termini di totale rigore. Essa resta una scienza nella quale ogni conquista è suscettibile di modificazioni in virtù di nuove scoperte, di nuovi legami e di nuove derivazioni; gli etimologi continuano a demolire le etimologie degli altri, i dizionari etimologici invecchiano e bisogna continuamente rinnovarli. E forse proprio per questo l’etimologia continua a essere l’unica parte della linguistica capace di interessare anche i non addetti ai lavori. Interrogativi sull’esatta derivazione lessicale o anche, più semplicemente, del tipo «perché si dice così?» vengono frequentemente formulati; molti provano a rispondervi e non sempre con univoci risultati.

È senz’altro possibile, comunque, tentare anche una rivalutazione dell’omonimia osservando che, se nella lingua comune si cerca di eliminare mediante il contesto le possibili ambiguità (polisemiche e omonimiche), in altre occasioni, come nel gioco di parole, nel linguaggio pubblicitario e nell’attività enigmistica, tale ambiguità diventa protagonista essenziale e insostituibile; è proprio attraverso l’uso dell’omonimia, di questa particolare circostanza presente nel nostro lessico, che l’enigma moderno ha assunto l’attuale connotazione, la quale ben la distingue dalla vaga e discorsiva ambiguità dell’enigma antico. In esso, se mai, oltre all’allegoria, al traslato e alla metafora, della “parola” veniva utilizzata una sua diversa accezione, una sua espansione semantica più o meno spinta; mancava in quell’attività una vera e propria struttura enigmistica, quale quella che si manifesta nell’enigma moderno. Con l’omonimia il discorso è diverso, notevolmente diverso, l’ambiguità acquista una dimensione molto più consistente, almeno quando per “omonimi” si intendano quelli veramente tali, i quali ben si evidenziano per la loro distinta derivazione etimologica e trovano nel discorso enigmistico una loro piena valorizzazione.

Le sorprese sono innumerevoli e certo non si fermano a quelle suscitate da “una somma riscossa” che stia a indicare la RIVOLUZIONE, oltre ad un incasso in denaro; o ancora da un disgelo che invece voglia far cenno ad una “liquidazione di fine stagione”; o infine, quando la FEBBRE, meno palesemente, stia a rappresentare una “calorosa manifestazione d’affetto”.

L’ambiguità del testo, oggi, è realizzata proprio grazie alle molteplici articolazioni del linguaggio e si sviluppa secondo diverse modalità strutturali. Essenziale tra queste è, appunto, l’uso degli omonimi che trovano nel discorso enigmistico una loro piena valorizzazione. A sentire un tocco di campana, non ci coglie alcun dubbio, ma se leggiamo il sintagma ‘un tocco di campana’, non è certo chiaro se ci si debba riferire ad un colpo del battaglio o a una “bella guagliona”, a un bel pezzo di ragazza delle parti di Napoli o di Capri, della Campania, insomma; “la capitale francese” è Parigi, naturalmente, ma anche la ghigliottina può esserlo, quando si pensi alla pena capitale e alla triste macchina per decapitare. E la stessa ghigliottina può ancora definirsi “provocante scollatura” per l’effetto tremendo che produce e che poco o nulla ha a che vedere con un eccitante décolleté. Ci sono giochi enigmistici altrettanto concisi, ma che pure entusiasmano moltissimo per la loro doppia lettura, a volte utilizzando soltanto semplici espansioni semantiche: la “crittografia mnemonica” dall’esposto  PELO E CONTROPELO è sviluppata in maniera mirabile senza l’uso di alcun omonimo vero e proprio e la sua spiegazione «sono le due passate» (che accenna ad un orario approssimativo) continua egualmente a sorprendere nonostante la sua semplicità.

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Raffaele Aragona

Raffaele Aragona (Napoli), ingegnere, ha insegnato Tecnica delle Costruzioni all’Università di Napoli “Federico II”. Giornalista pubblicista, ideatore e promotore dei convegni di caprienigma, è tra i fondatori dell’Oplepo. Per la “Biblioteca Oplepiana” ha scritto La viola del bardo. Piccolo omonimario illustrato (1994) e molti altri lavori in forma collettanea. Autore di Una voce poco fa. Repertorio di vocaboli omonimi della lingua italiana (Zanichelli, 1994), ha curato per le Edizioni Scientifiche Italiane, i volumi: Enigmatica. Per una poietica ludica (1996), Le vertigini del labirinto (2000), La regola è questa (2002), Sillabe di Sibilla (2004), Il doppio (2006), Illusione e seduzione (2010), L’invenzione e la regola (2012). Sono anche a sua cura: Antichi indovinelli napoletani (Tommaso Marotta, 1991, ried. Marotta & Cafiero, 1994), Capri à contrainte (La Conchiglia, 2000), Napoli potenziale (Dante & Descartes, 2007) e il volume Italo Calvino. Percorsi potenziali (Manni, 2008). Ha pubblicato il volumetto Pizza nella collana “Petit Précis de gastronomie italienne” (Éditions du Pétrin, Paris, 2017). È autore di due volumi per le edizioni in riga (2019): Enigmi e dintorni e Sapori della mente. Dizionario di Gastronomia Potenziale. Il suo Oplepiana. Dizionario di letteratura potenziale è pubblicato da Zanichelli (2002).

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