Salute a tavola

La cucina futurista

Abbiamo registrato, col passare del tempo, quante nuove diete siano state poste all’attenzione dei media e dei lettori con una accelerazione sorprendente riconducibile alla competizione tra editori delle reti televisive e della carta stampata. Ma dovuta anche al salutismo imperante cavalcato dalla moda. Ma noi italiani abbiamo la coscienza sporca. Ad aprile del 2014 si è aperta al Guggenheim di New York la mostra “Italien Futurism” un evento che rappresenta il massimo riconoscimento internazionale della corrente pittorica più importante del novecento. Nata e sviluppata in Italia che ha riproposto alla curiosità di chi non ne sapeva niente, anche l’argomento della cucina futurista caratterizzata dalla sorprendente, incredibile originalità di Filippo Tommaso Marinetti (gennaio 1931).

La cucina futurista (pixabay.com)

Il Futurismo pretendeva di:

  • eliminare la pastasciutta, questo elemento amidaceo che s’ingozza, non si mastica, obbliga pancreas e fegato a un gran lavoro, derivandone fiacchezza, pessimismi, inattività nostalgica e neutralismo;
  • abolizione del volume e del peso nel modo di concepire e valutare il nutrimento;
  • abolizione di tutte le miscele e sperimentazione di nuove.

Il pittore futurista Fillia ha creato il “piatto italiano” il carneplastico ovvero una polpetta cilindrica di carne di vitello ripiena di undici qualità di verdure cotte. Il cilindro è posto nel piatto verticalmente sostenuto alla base da un anello di salsiccia e sfere dorate di carne di pollo, e coronato da miele italiano.
La scenografia è scopertamente fallica, maschilista, fascista (diremmo oggi). La combinazione agro-dolce non è quella nostalgica dell’antica Roma ovvero la combinazione di miele e aceto (uno schifo) ma quella che risale alla contaminazione con la cultura arabo-spagnola dai sapori più delicati (Saban e Montanari 2001). Della palatabilità del risultato nulla è dato sapere. L’insieme è sorprendente e questo soddisfa appieno la bramosia di novità e di sconvolgimento della tradizione che modella le ambizioni del futurismo.

Chi siamo noi, direbbe qualcuno, per giudicare la dieta del senza, proposta di recente (senza sale, zucchero e grassi) e la condanna a morte del glutine (siamo entrati nell’era postglutine?) quando abbiamo sulla coscienza la cucina futurista?

Una questione irrisolta è quella della presenza nel frumento di un oppioide esogeno che giustificherebbe il senso di godimento e di obnubilamento che segue l’introiezione della pasta asciutta e che darebbe ragione ai futuristi lo non credo a questo pettegolezzo scientifico. Posso farvi sapere che un mio carissimo amico, un intellettuale scrittore giornalista molto attivo che non voglio nominare, fa colazione al mattino con due etti di pasta asciutta, ha un corpo scultoreo e lavora tutto il giorno senza fiacchezze.
Oltre all’eliminazione della pastasciutta, il Manifesto – di pugno di Marinetti – predica l’abolizione della forchetta e del coltello, dei condimenti tradizionali, del peso e del volume degli alimenti e della politica a tavola. Auspica la creazione di “bocconi simultaneisti e cangianti“, sollecita i chimici ad inventare nuovi sapori e incoraggia l’accostamento ai piatti di musiche, poesie e profumi.

La cucina futurista avrebbe lasciato in eredità l’impiego di additivi e conservanti oltre strumenti tecnologici che hanno reso il lavoro del cuoco più agevole. I futuristi si impegnarono anche a italianizzare alcuni termini tratti dal vocabolario inglese. Per cui il Cocktail divenne la “polibibita” che si poteva consumare al “quisibeve” e non al bar. Il sandwich prese il nome di “tramezzino” che ancora oggi è noto. Il dessert divenne “per alzarsi” e il picnic di “pranzo al sole“.

Articolo di Mario Mazzetti di Pietralata – Tratto dal libro “mangiare&Essere

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Mario Mazzetti di Pietralata

Gastroenterologo, già Primario Medico Ospedale Sant’Eugenio Roma.

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