Ilvo Diamanti introduce con tempestività la temperatura affettiva dei cittadini europei nei confronti dell’Europa, nel momento in cui si sta passando, in tutti i paesi, dalle schermaglie alla comunicazione d’assalto. Su Repubblica (lunedì 15 aprile) arriva l’indagine sulla fiducia dei cittadini – che tra 46 giorni saranno elettori – con elementi che sollecitano alcune valutazioni su aspetti che influenzeranno gli esiti.
Sotto esame sei paesi su 28 (UK compreso). Se UK non voterà, come sembra probabile e anche ragionevole, lo spaccato avrà tenuto conto di quattro paesi fondatori (Germania, Francia, Italia, Olanda) e del paese più accanito, nel cosiddetto Club di Visigrad, contro l’europeismo diciamo di tradizione, l’Ungheria.
La fiducia – nella media dei cittadini dai 15 anni in su – passa in maggioranza in Germania (al 60%) e, sorprendentemente, in Ungheria (al 59%). Non passa in Olanda (48%), UK (38%), Italia (34%) e Francia (34%). La società francese e quella italiana si staccano dalle loro tradizioni, perdono il contatto storico con la Germania e, la prima sulla scia delle proteste anti-macroniane, la seconda sulla scia di un governo euroscettico (a dirla con prudenza), virano si direbbe ad est, comunque preannunciando una lezione a questa Europa che non è più né carne (progetto politicamente unitario), né pesce (vigoroso patto intergovernativo per il mercato unico). Brutta aria. Da cui si immaginano risultati che non renderanno facile l’equilibrio politico nel nuovo PE.
Qui è in testa l’Olanda (76% nella fascia 15-24; 70% nella fascia 25-34), seguita dalla Germania (68%, 60%), nuovamente dall’Ungheria (66%,54%), da UK (65%,53%), dalla Francia (56%,46%) e ultima l’Italia in cui anche i giovani sono gli unici, tra i paesi considerati, a non arrivare a maggioranza: 49% in tutte e due le fasce.
Dice Diamanti: “Non ci resta che sperare nei giovani che rappresentano il futuro e che non sentono gli echi del passato”). Anche qui però il tracollo europeista franco-italiano spacca in due la stessa generazione “giovane”, sapendo che dai più anziani (per esempio la fascia degli over 65) uno su quattro in Francia, e uno su tre in Italia ci crede ancora (la metà esatta di quel che pensano le generazioni più mature in Germania e nella sorprendente Ungheria, pur sospettata di vecchio doppiogiochismo). I giovani inglesi se si rivotasse e se facessero questa volta il loro dovere darebbero un segnale di fiducia con il loro 65% a favore.
A proposito dell’Ungheria Diamanti dice che la gente – Orban o non Orban – pensa che la UE sia “una garanzia contro la crisi”. Sarà, ma intanto non ha trovato modo di esprimere questa idea con il voto nazionale. Mentre in Italia e in Francia si sommano sentimenti di distacco: sia per chi considera i benefici dell’Europa “scontati”, sia per chi non vede benefici nel proprio orizzonte personale.
Con questo genere di scenario demoscopico, l’Italia e la Francia avrebbero bisogno di una campagna elettorale largamente centrata sul voto giovanile perché il successo degli elettori più anziani e più lontani dall’idea d’Europa fisserebbe in modo serio, per un po’ forse irrevocabile, l’immagine della spina staccata; e spingerebbe ulteriormente verso il riflusso localistico (già in atto largamente, nelle città addirittura facendo privilegiare l’appartenenza ai quartieri, altro che il motto “cittadini del mondo” della nostra gioventù).
Ma è difficile parlare con capacità di presa a giovani che hanno staccato anche un’altra spina, quella della memoria storica e quella del concreto rapporto con le condizioni morali e materiali dell’età della ricostruzione. Tutti dicono che Greta (e la valanga su “climate crisis“), Simone (e Casapound), Ramy e Samir (i due ragazzi del pullman dirottato in provincia di Milano) e altri casi di cronaca sono segnali in controtendenza su cui lavorare. Ma ci sono solo 46 giorni per fermare un dato che, se fissato dalle urne, lascerebbe alla Germania il solitario potere di tenere in equilibrio realistico il progetto europeo e porterebbe due paesi “fondatori” come Francia e Italia a un passo dal confusionismo demagogico che li trasformerebbe in paesi “affondatori“.
Nel mondo della comunicazione politica si dice che sul voto giovanile è difficile lavorare e che per muovere reattivamente e costruttivamente questo target ci vogliono “le tre v”: visione, verità, vitalità. Tutte e tre le voci, nessuna esclusa.
Vedremo, pur nel nostro spiegabile pessimismo, chi sarà in grado di giocare le carte giuste.
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