Quella casa di cui tanto si è raccontato e favoleggiato, lusso, rubinetti di oro e fontane milanesi, quella casa è una casa del sud del mondo, fatta di portici bassi e volte, con un bel giardino, dove il carrubo di Craxi, diventa nei suoi ultimi sei anni, la sua vera sala di rappresentanza. Poco illuminata, un camino acceso, così entro nella Maison Craxi, che ormai tutti conoscono perché è anche la location del film di Gianni Amelio “Hammamet”. E’ proprio lontana dal mare, è immersa nel nulla, entrarvi è emozionante, molto!
I vasi tricolori di terracotta creati da un Craxi annoiato e in cerca di svago e di attività, l’angolo dove il lungo tavolo di legno da pranzo si era trasformato nel suo campo di battaglia, pieno di carte, documenti, giornali, appunti, e i famosi fax, il suo vero mare quotidiano. La natura avvolge i muri bianchi e nel buio c’è una tristezza che racconta del gigante ferito dagli esseri umani e dalle vicende pubbliche. Il divano angolare per vedere la tv è lì, il suo ritratto vicino al camino, foto e oggetti che ricordano i suoi viaggi e la sua vita. Aleggia la sua presenza e dopo il film e la grande interpretazione di Favino, la sua andatura, il suo respiro e la sua irrequietezza sono palpabili. E’ lui ancora il padrone di casa, non c’è ma c’è, è impressionante come se ne avverta una sorta di presenza e poi c’è la sua compagna di una vita, la donna che ha tenuto sempre la barra dritta, senza mai apparire e comparire, è provata ma è accogliente e così ben educata e sorridente, felice di vedere tante persone, di ritrovare voci e facce amiche. Ringrazia tutti, noti e meno noti, per essere lì, per condividere un dolore e la memoria. Non deve essere facile vivere in un luogo così intimo eppure così pubblico. Le porte sono tutte aperte come le vetrate, tutti parlano con un tono basso come se da un momento all’altro potesse comparire Bettino Craxi in sahariana per raccontare un episodio della sua vita, per dare la sua opinione su quest’Italia. E’ lui ancora il protagonista assoluto, anche nella sua assenza, siamo tutti pronti a tacere se solo comparisse per un attimo.
Tra poco la cena finirà e lasceremo questa casa, e con sincerità faccio fatica a farlo, vorrei rimanere di più, vorrei poter sentire narrare dalle pareti e dagli oggetti storie viste e vissute, ma è ora di varcare la soglia e il suo mosaico, uscire dal viale al buio alla ricerca della luce e di un taxi. Non si può rimanere indifferenti entrando nella Maison Craxi, non si può non immaginare quante persone hanno camminato sul viale di accesso, vedersi aprire il portone bianco tipico delle case di questa costa ed entrare nel giardino, il film discusso e dibattuto ha dato il via a ogni tipo di riflessioni e riletture, ha anche aperto le porte di questa residenza e devo dire che la scelta della famiglia è stata davvero forte e coraggiosa e credo che abbia aiutato anche il film nella ricostruzione e nella dimensione emotiva. Route El Fawara è una strada nuova, mentre quando arrivarono nel ’71 i Craxi era solo una strada sterrata da affrontare con un fuoristrada, lontana dal bel mare e dalle palme, così racconta Stefania Craxi agli ospiti.
Nella breve sinossi del libro, di Bobo Craxi e Gianni Pennacchi, Sellerio 2003 “Route El Fawara: Hammamet” così viene descritta: “Strada della fonte, Hammamet. Si chiama ancora così, in un misto d’arabo e francese, pur se un vialone a quattro corsie ha intanto preso il posto della mulattiera che portava alla collina “degli sciacalli e dei serpenti” dove si ergeva Dar Craxi”.
Da oggi quella casa sarà di nuovo avvolta dal silenzio, dal vento che arriva dal mare, dal rumore di una natura selvaggia che rende Hammamet un luogo vero e poco artefatto, tutto ritornerà come prima, ma i libri di storia dovranno scrivere della Maison Craxi e di Hammamet.
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