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La pandemia è come una guerra, va affrontata con unità di intenti

Quello che non si voleva vedere è arrivato, la pandemia da Covid 19 sta rompendo gli argini in Italia, in Europa, in America, in India, nel mondo.  I numeri dicono che ogni allarme è superato, che si è entrati  nel pieno di un disastro difficile da bloccare.  La speranza di avere un vaccino efficace contro il virus è ancora lontana da realizzarsi. Da più parti si sostiene che è solo questione di pochi mesi, ma l’andamento esponenziale della pandemia indica che ormai è questione di settimane se non di giorni per farvi fronte. 

In Italia c’è sofferenza crescente rispetto al muoversi a scatti da parte delle autorità di governo e di quelle sanitarie, un passo avanti e uno stop, poi la situazione si aggrava e si riparte allo stesso modo. Così facendo, non si ottengono risultati concreti e si fa male a tutto e tutti: presidi ospedalieri, aziende, cittadini, categorie  professionali e mercantili sono allo stremo, i trasporti,  la scuola e l’istruzione alla mercé degli eventi. A livello politico parlamentare, ma anche regionale e comunale, non c’è identità di vedute, i propositi e le iniziative vanno in ordine sparso.

Poiché nessuno ha la soluzione in tasca, di fronte ad una evenienza che è pari ad un conflitto militare a tutto campo, la manovra minima che dovrebbe essere fatta è quella di unire le forze, tutte le forze disponibili, sociali e politiche, in un fronte comune. Tutti si ha diritto a difendersi e tutti si deve contribuire.       

Partendo dalla constatazione che si sono persi mesi fondamentali, almeno da giugno a fine agosto, per attrezzare il Paese ad affrontare la prevista seconda ondata, è ora di smetterla con i pannicelli caldi, le dispute ideologiche (vedasi il caso dei fondi del Mes), le ripicche tra forze della maggioranza di governo, il contrasto senza più senso con l’opposizione, mentre due decisioni vanno assunte subito (è questione di giorni se non di ore). 

La prima riguarda la costituzione di un centro unico per assumere decisioni che riguardano l’intera comunità nazionale. Che sia un governo di unità nazionale  o, come qualcuno ha proposto (il sen. Marcucci capogruppo del Pd a Palazzo Madama), un “comitato di salute pubblica” che per molti aspetti  equivarrebbe alla prima ipotesi.  

Una soluzione del genere garantirebbe anche e soprattutto per l’utilizzo dei fondi europei del recovery fund, qualcosa oltre i 200 miliardi di  euro, che fanno gola a tutti, ma  da  gestire in comune   e alla luce del sole. Che non si ripeta quanto avvenuto con la ricostruzione dell’Irpinia!

La seconda   azione  riguarda   l’immediato utilizzo dei 36-37 miliardi messi a disposizione dall’Unione Europea con il cosiddetto Mes, da utilizzare per mettere il sistema sanitario nazionale in grado di reggere adesso e per il futuro.. 

L’atteggiamento dei contrari al Mes, e sono tanti, dai 5Stelle alla Lega a Fdi, è simile a quello  di un individuo  che si castra per far dispetto alla moglie. 

Le “condizionalità”, ammesso che esistano (ma di certo  si risparmierebbero centinaia di milioni di euro di interessi all’anno rispetto all’emissione di  altri titoli pubblici), sono o sarebbero un pò come le condizioni che un paese deve accettare dopo aver perso una guerra. Senza dire che la felice situazione attuale dello spread, in questa situazione di crisi, può saltare da un momento all’altro per ripercuotersi pesantemente sul debito pubblico.

Bisogna rendersi conto che  la guerra è già in atto, e l’esito non appare entusiasmante visto che, in ogni caso, più si va avanti più ci saranno danni da riparare.

Di guerre perdute l’Italia ha grande e non lontana esperienza. Le generazioni giovani per loro fortuna non sanno di cosa si tratti, ma siamo ancora in diversi in là con gli anni ad aver conosciuto i lutti, i dolori, le distruzioni e, poi, i sacrifici per rimettere in piedi il Paese.

Possibile che da Palazzo Chigi a Montecitorio, da Palazzo Madama alle sedi dei partiti, dei sindacati, delle associazioni imprenditoriali, e  via dicendo, non si levi il proposito di lasciare da parte i conflitti interforze, l’ipotesi di licenziamenti di massa e la risposta di scioperi generali, per affrontare con unità di intenti un conflitto più vasto, più aspro, più incerto? Possibile che non ci si renda conto che il pericolo è comune? Possibile che qualcuno pensi che possa salvarsi da solo e, magari, di trarre vantaggio di parte da quello che sta accadendo?

Se c’è, quello è folle o criminale.

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Gianfranco Salomone

Giornalista - Già Direttore Generale Ministero del Lavoro

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