Pacelli – La Rai è scossa da un terremoto: il neo presidente itaolo svizzero con solidi legami tra i leghisti e l’Amministratore Delegato pentastellato sembra abbiano finalmente trovato un accordo per la nomina dei vertici delle reti e dei telegiornali dell’azienda radiotelevisiva pubblica, prima che finisca l’incantesimo giallo-verde.
Sodano – Non mi preoccuperei affatto. Gli abitanti del palazzo di viale mazzini 14 sanno per lunga esperienza che non si tratta di terremoto ma soltanto di scosse di assestamento. Sono trascorsi molti anni da quando una legge di riforma della Rai (1975) mandava in soffitta il latifondo democristiano e apriva la stagione della lottizzazione, cioè la diretta responsabilità delle formazioni politiche espressione delle tre grandi correnti di pensiero del 900 che hanno fondato la democrazia repubblicana nel nostro paese: cattolica, laica e comunista. Nella sua attuazione furono certamente commessi degli errori, ma una idea migliore non è mai stata proposta per assicurare ai cittadini un servizio pubblico radiotelevisivo rispettoso delle diverse “idee politiche” che si esprimono nella società civile. E infatti con il “governo del cambiamento” non cambia nulla. Il presidente della Rai Foa e l’ad Salini dopo la solita lunga trattativa hanno trovato l’accordo per fare una lista di nomi papabili per la direzione delle reti e dei tg. Più in là non si sono spinti. Chi deve fare le nomine sono i due vicepremier: infatti non più tardi di una settimana fa Salvini volle assicurare tutti che lui ci stava pensando “serenamente” ragionando con Luigi Di Maio per “valorizzare le risorse interne e non lottizzare”.
Pacelli – Niente di nuovo, è quasi un rituale che si perpetua ad ogni nomina di ogni Consiglio di Amministrazione, malgrado i ripetuti propositi di voler garantire la neutralità e l’oggettività del servizio pubblico radiotelevisivo. C’è solo da chiedersi se questa volta non si sia un pochino esagerato, magari profittando di quelle conversioni al nuovo verbo di persone che già operano in Rai. Se però si guarda al passato ci si rende conto che i cambi di casacca sono stati piuttosto frequenti, anche se il limite massimo sembra essere rappresentato da 3 “saltini”: ci vuole una certa faccia tosta quando si tratta di personaggi noti al pubblico radiotelevisivo, ma gli interessati assicurano che ne vale la pena.
Sodano – Bravo Pacelli, niente di nuovo. Ripetiamo insieme il verbo del Gattopardo “tutto cambi perché nulla cambi”, casomai con un leggero accento campano. Quanto poi alle conversioni e ai cambi di casacca ti prego di limitare il tuo sguardo all’ultimo ventennio. Nell’altro passato, quello della seconda metà del ‘900, questa pratica non c’era e i manager portavano con orgoglio la loro casacca.
Pacelli – Finita l’epoca degli inossidabili fedelissimi, tipo Pippo Baudo che pagò duramente con la cessione di un palazzo a Roma un momento di infedeltà alla Rai, un’offesa alla parsa politica egemone che ne era il supremo reggitore. Finita l’epoca di Michele Santoro, una fede che non crolla tanto da provocare alla fine il crollo del Michele nazionale. Oggi consiglieri cossighiani e cossighiane di ferro scoprono un quasi naturale simpatia per i pentastellati, mentre il cosiddetto riposizionamento coinvolge anche persone dimenticate in uno dei tanti cimiteri degli elefanti aziendali e risorgono dinosauri e dinosaure che sembravano chiaramente sulla strada di divenire dei fossili. E’ un segno di vitalità dell’azienda radiotelevisiva pubblica o l’ulteriore conferma che tutti gli italiani hanno una famiglia, legittima o meno (e talora più di una) da mantenere?
Sodano – Non è peccato “avere famiglia” e sarebbe cosa buona e giusta se vi fossero segni di vitalità del servizio pubblico. Per chi come me vi ha trascorso una parte importante della propria vita, la RAI sarà sempre, anche nei momenti più grigi della sua produzione, l’impresa culturale più importante del nostro Paese, un patrimonio straordinario della comunità nazionale. Lo dimostra il fatto che per quanti, molti e potenti, si sono adoperati nel tentativo di ridurne la capacità produttiva se non addirittura di screditarla e cancellarla dalla scena nominando ai suoi vertici fior di incapaci, l’azienda è e rimane ai primi posti tra le televisioni del mondo.
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