Anche di uomini come Enrico Mattei in Italia deve essersi rotto lo stampo. Un tornado, uno tzunami che rivolta come un calzino il modo di fare economia in Italia. Audace, cinico, caparbio e corruttore, il presidente dell’Eni è fermamente convinto che il nostro paese non dovesse essere un parente povero, né dagli Stati Uniti, né dall’Europa. E farà di tutto, con ogni mezzo, per dimostrarlo. Non si curerà dei partiti, anche del suo – la Dc – né degli industriali privati che gli faranno una guerra all’ultimo sangue. Non si farà mettere paura dai potentati del petrolio. Userà tutte le armi per dare all’Italia quello che le serviva per rimettersi in piedi. Arriverà a vantarsi di aver violato 8 mila tra leggi, regolamenti e ordinanze locali pur di costruire i metanodotti che servivano alla rinascente industria. E si farà un mare di nemici.
“Era un moralista spregiudicato, un incorruttibile corruttore, un integerrimo distributore di tangenti, un manager che non voleva essere al servizio del Palazzo, ma porre il palazzo al suo servizio” scrive di lui Indro Montanelli, che non lo ha mai amato, anzi, gli ha fatto una quasi crociata contro. Queste cose infatti Montanelli le scrive quando Mattei è già morto tragicamente, in un incidente aereo di cui non si saprà mai la verità. Solo nella riapertura delle indagini nel 1994 alcuni pentiti di mafia accreditano la pista dell’attentato. Però non sono mai stati trovati i colpevoli. E il giornalista del quotidiano palermitano “L’Ora” – Mauro De Mauro – che indagherà sul caso, è scomparso e non si hanno mai avuto notizie sulla sua sorte.
Non è facile descrivere il personaggio che aveva la creatività del visionario e la concretezza dell’industriale. Parla per lui quello che ha fatto in soli 5 anni.
Partigiano cattolico, medaglia d’oro per la resistenza, Bronze Star americana, alla fine della guerra si vede assegnare il compito di liquidare l’Agip, Agenzia Generale Italiana Petroli. Istituita dal fascismo, aveva sempre vivacchiato – ad esempio quando scopre che in Libia c’era il petrolio, Mussolini se ne frega. L’Agip era così ininfluente che nel ventennio, e anche subito dopo, era stata soprannominata “Agenzia gerarchi in pensione”.
Era un po’ poco per uno che come lui aveva organizzato le brigate “bianche”, aveva amministrato egregiamente i soldi che gli alleati davano ai partigiani, aveva sfilato il 25 aprile a Milano in prima fila insieme a Ferruccio Parri (Partito d’azione) e Luigi Longo (Pci). Se ci rimane male, non lo dà a vedere. Si rimbocca le maniche, non solo perché è la sua natura, ma anche perché si insospettisce dal fatto che gli americani gli facciano ottime offerte – 250 milioni di allora – per comprare i terreni in Val Padana, di proprietà dell’Agip. Come lo insospettiscono le centinaia di richieste di permessi di ricerca per zone adiacenti. In più i tecnici dell’azienda gli spiegano che di petrolio, neanche l’ombra, ma c’è il metano.
A quel punto, Mattei decide di disobbedire agli ordini della Dc e di proseguire con le trivellazioni. Poteva permetterselo perché – come nota Castronovo (“L’Italia del miracolo economico”) – “lo si doveva unicamente alle sue credenziali di leader delle formazioni partigiane democristiane e di membro del CNL”.
E va avanti, anche se a De Gasperi continua a parlare di petrolio (“se avesse parlato di metano non avrebbe impressionato nessuno”, Montanelli – Cervi “L’Italia del novecento”). Va avanti come un treno e si ritrova con il problema di cosa fare del metano che ha trovato. Qui scatta la lungimiranza e la caparbietà dell’uomo.
Il consiglio di amministrazione dell’ente nel 1947 aveva decretato la sospensione delle ricerche di idrocarburi, con la scusa che costavano troppo, ma in realtà per abbandonare il campo all’iniziativa privata italiana e straniera (come volevano alcuni settori DC). Lui non se ne cura e attiva un vasto piano di ricerche. I risultati sono positivi. A questo punto i gruppi privati, nella primavera del ’49 avviano una campagna di stampa contro l’azienda di Stato. Mattei però è preparato: finalmente ha trovato il petrolio, a Cortemaggiore. Il 13 giugno del ’49 il “Corriere dell’informazione” esce con un titolo a nove colonne “Scoperti in Val Padana vasti giacimenti di petrolio”. “Non è vero, a Cortemaggiore è stata trovata solo una bolla che si esaurirà in poche settimane, ma è petrolio quello che esce da un pozzo in una campagna italiana, l’oro nero che abbiamo sempre invidiato agli altri, che non abbiamo saputo trovare neppure quando lo avevamo sotto i piedi in Libia” scrive Giorgio Bocca.
Mattei lo sapeva da un po’, ma tiene nascosta la notizia per il colpo di scena ad un convegno sul petrolio organizzato dalla Confindustria. Con una sola mossa neutralizza i suoi nemici.
Da quel momento “ogni italiano, si sente un pò più ricco, ma soprattutto si sente liberato da un senso di defraudazione che lo tormentava da lungo tempo”, si legge nel sito della fondazione a lui dedicata. Ed è quello che Mattei vuole. La scoperta del petrolio da noi aveva più importanza che in altre nazioni, perché l’Italia era priva di fonti d’energia, e questo aveva provocato un forte ritardo nello sviluppo industriale. Soprattutto rispetto ad altre nazioni europee. Lui invece è fortemente convinto che l’Italia debba riscattarsi da questa posizione marginale e che lo Stato debba operare in questo senso. E’ atlantista, ma non sopporta la sudditanza agli Stati Uniti. E non lo nasconderà mai.
Tutta l’industria privata italiana, guidata da Giorgio Valerio (presidente della Edison, uno dei più importanti gruppi in quel momento) è contro di lui e alleata con i produttori americani, sostenuti dal Dipartimento di Stato. Non era poco in quegli anni. Ma lui continua. Intanto però doveva vendere il metano, e capisce che se non serve per le auto, può servire per uso industriale.
Fa elaborare un accurato piano per capire quanti possono essere i potenziali consumatori del suo gas. Una volta in possesso dei dati, da l’avvio alla costruzione dei metanodotti. Questa decisione era un vero azzardo perché la legge italiana non prevedeva l’obbligo del diritto di passaggio per i metanodotti, si doveva perciò trattare caso per caso con tutti i proprietari dei fondi attraversati e con gli enti pubblici: mesi e mesi di negoziati estenuanti e dispendiosi. Non se ne parla nemmeno. Gli operai lavoravano di notte e la mattina dopo il proprietario del campo si trovava con un bel tubo di metano nell’orto. A quel punto Mattei trattava. Piratesco, ma efficace.
La sua audace visione anticipatrice del futuro, gli fa trovare sempre soluzioni. Come quando (esisteva già l’Eni) decide di vendere ai contadini i fertilizzanti a prezzi inferiori a quelli dei più forti monopoli del tempo, la Montecatini e la Edison. “La reazione della chimica privata contro l’aggressione del “socialismo di Stato” fu vivissima quanto inefficace” racconta nella sua autobiografia Mario Pirani, che con Mattei ha lavorato. Montecatini ed Edison puntano sul fatto che la rete di distribuzione Agip era ancora troppo debole. Lui aggira l’ostacolo e si accorda con la Federconsorzi, un grosso potentato democristiano che, insieme alla Coltivatori diretti – anche questa di marchio Dc – aveva egemonizzato il mondo contadino. E così “diffuse in tutta Italia i suoi concimi ad un prezzo unico (fino allora era differenziato per zona di produzione) con un vantaggio aggiuntivo per il Mezzogiorno” (Pirani).
Già nel 1950 il sistema delle condotte Agip era diventato di 500 chilometri e portava 1 miliardo e 200 milioni di metri cubi di metano alle industrie centro-settentrionali che possono così innestare la marcia più alta per la ripartita.
Costruendo per primo i metanodotti Mattei esclude per sempre la concorrenza degli altri due grandi monopoli e si assicura notevoli mezzi finanziari che gli sono assai utili per potenziare l’AGIP, ponendo di fatto le fondamenta per la nascita dell’E.N.I. che avviene nel 1953.
L’Ente nazionale idrocarburi (Eni) secondo la legge poteva ricercare, estrarre, lavorare, trasportare, utilizzare, commerciare gli idrocarburi e i vapori naturali. Per diventarne presidente, Mattei lascia la carica di deputato. Fuori del Parlamento poteva muoversi con maggiore libertà. Lontano dai controlli dei partiti d’opposizione e dai controlli ancora più stretti del suo partito (c’era stato uno scontro epico sulla nascita dell’ENI), aveva una notevole libertà d’azione, la politica non poteva condizionarlo più. E lui ne approfitterà in ogni modo. “Nessuno potrà negargli onestamente il merito – ammette Montanelli (“L’Italia del novecento”) – di aver capito e intuito prima e meglio degli altri, di aver agito mentre tutti dormivano , né gli si può disconoscere il piglio, il coraggio, la forza irruente del grande costruttore”.
Comincia il capitolo petrolio. Il banchiere Mattioli (Comit) gli concede un miliardo per decollare e agevola i rapporti con la Fiat su un piano molto preciso: motorizzare il paese. Per procurarsi l’oro nero Mattei fa accordi con l’Unione sovietica: 12 milioni di tonnellate a un prezzo inferiore rispetto a quello praticato dalle grandi compagnie occidentali. Gli americani la prendono così male che il New York Times arriva ad accusare l’Italia di aver allentato il legami con la Nato. Ma si arrabbia anche, e parecchio, la Francia quando si accorge che il presidente dell’Eni, puntando sul gas algerino, aiuta sottobanco il Fronte Nazionale di liberazione nella lotta contro il colonialismo francese.
Nel 1957 stipula una convenzione con la Persia di Reza Pahlavi a condizioni così favorevoli che quelle che lui chiama “le sette sorelle” (Shell, Standard Oil , British petroleum, Mobil, Gulf, Chevron e Texaco), che fino a quel momento avevano dominato la produzione petrolifera, si arrabbiano di brutto. E Mattei risponde con analoghi accordi con l’Egitto e con la Libia. Potrebbe sembrare terzomondismo, ma in realtà era dovuto “al convincimento che la collaborazione paritaria con i nuovi paesi emergenti corrispondesse ai nostri interessi nazionali e alla possibilità di una iniziativa italiana non succube delle grandi multinazionali” (Pirani: “Poteva andare peggio”).
Fu accusato di fare la politica estera del nostro paese. Creando l’ira furibonda non solo degli americani, dei francesi , delle “sette sorelle”, ma anche dei politici e dei partiti italiani. Problema, questo, affrontato con il massimo della indifferenza: li pagava. Famosa è la frase: “io i partiti li uso come taxi. Salgo, faccio il tragitto, pago e scendo”. Incorruttibile corruttore.
Ma anche “un capitano di ventura intento a mettere su una compagnia di personaggi irregolari (a lui non interessavano le posizioni politiche dei suoi collaboratori: bastava che funzionassero, n.d.r.) , fortemente motivati dalla partecipazione ad una avventura che appariva fin dall’origine destinata a svolgersi con regole proprie , non influenzate dal quadro partitico esterno” (Pirani).
In un certo senso, faceva anche la politica economica. Insieme a Valletta (Fiat) e Sinigaglia (Ilva) – tutti e tre manager e non proprietari – “ben più degli esponenti del governo erano loro ad orientare la politica economica e di fatto a dirigerla” (Castronovo). Ancora Castronovo scrive “dalla siderurgia all’automobile, dalla petrolchimica all’energia, le fondamenta su cui l’economia italiana stava crescendo a ritmi di sviluppo di lì a pochi anni l’avrebbero portata a conseguire risultati mai prima di allora raggiunti”. Ne abbiamo oggi di Mattei, Valletta e Sinigaglia? O di banchieri audaci come Mattioli? Sono loro a decidere (insieme a Pirelli e l’Italcementi), per esempio, che va costruita l’autostrada del sole. E i politici gli danno retta. Ne abbiamo oggi di politici che al di là dei twitter o della rincorsa dei voti sono capaci di seguire le intuizioni di geniali manager?
Mattei è molto attento anche a tutto ciò che ruota intorno all’Agip. Crea i motel, i bar e i ristoranti in ogni stazione di servizio. Una cosa che inebria gli italiani: mai vista prima. Vuole un nuovo simbolo per l’AGIP: il famoso cane a sei zampe, inventato dal regista Ettore scola. Sue le scelte per il nome e il motto della nuova benzina prodotta dall’AGIP: “Supercortemaggiore, la potente benzina italiana”. Il logo del cane a sei zampe esiste ancora, l’Agip no. Negli anni 2000 viene inglobata nell’Eni.
Fonda un quotidiano , “Il Giorno”, che rivoluziona per grafica e contenuti l’editoria del tempo. Cura tutto con molta attenzione, dai messaggi pubblicitari alle dichiarazioni pubbliche, dalle divise dei benzinai al colore delle automobili del gruppo (tra l’altro riduce il numero delle macchine dei dirigenti, facendoli andare in bestia).
Era un accentratore, ma prestava orecchie ai contributi di chi si fidava: Boldrini, Bo, La Pira, Gronchi (Mattei è stato anche uno dei fondatori della corrente democristiana “Base”). Guido Carli nella sua biografia “50 anni di vita italiana”, lo descrive cosi: “era impossibile non rimanere colpiti da Mattei. Non era mai sereno. Era un ossesso, un invasato. Completamente posseduto dall’idea di affrancare l’Italia dalle compagnie petrolifere americane …sembrava un grande capitano di ventura, un Giovanni dalle Bande Nere: il suo staff lo venerava”.
Se il suo staff lo venerava, molti lo odiavano. A tutti quelli che abbiamo già citato, si era aggiunta anche la O.A.S., una organizzazione francese di destra che non gli perdonava l’aiuto all’Algeria. Fa insospettire la mafia per il suo attivismo: aveva appena cominciato le perforazioni a Gela e Ferrandina. Non era amato nemmeno dalla Regione Sicilia che aveva fatto una legge per autorizzare le ricerche solo agli americani. Persino l’Unione sovietica lo aveva avvertito di stare in guardia. Lui girava non solo con una scorta “ufficiale” ma anche con guardie private, che erano stati tutti ex partigiani con lui. Ma non è servito.
Il sogno di Mattei si infrange a Bescapé (Pavia) il 27 ottobre del 1962. L’aereo sul quale stava viaggiando esplode proprio mentre si avvicinava all’aeroporto di Linate. Il giorno dopo la sua morte, il New York Times che tanto lo aveva attaccato scrive: “era forse l’individuo più importante in Italia”.
(segue)
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