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Le dichiarazioni programmatiche di Draghi ed i commenti della stampa italiana

Le dichiarazioni programmatiche del Presidente del Consiglio dei Ministri al Senato della Repubblica del 17 febbraio 2021 e 30 commenti dei principali organi della stampa italiana del 18 febbraio 2021, a cura dell’Osservatorio sulla comunicazione pubblica, il public branding e la trasformazione digitale Università IULM, Milano.

Il primo pensiero che vorrei condividere, nel chiedere la vostra fiducia, riguarda la nostra responsabilità nazionale. Il principale dovere cui siamo chiamati, tutti, io per primo come Presidente del Consiglio, è di combattere con ogni mezzo la pandemia e di salvaguardare le vite dei nostri concittadini. Una trincea dove combattiamo tutti insieme. Il virus è nemico di tutti. Ed è nel commosso ricordo di chi non c’è più che cresce il nostro impegno. Prima di illustrarvi il mio programma, vorrei rivolgere un altro pensiero, partecipato e solidale, a tutti coloro che soffrono per la crisi economica che la pandemia ha scatenato, a coloro che lavorano nelle attività più colpite o fermate per motivi sanitari. Conosciamo le loro ragioni, siamo consci del loro enorme sacrificio e li ringraziamo. Ci impegniamo a fare di tutto perché possano tornare, nel più breve tempo possibile, nel riconoscimento dei loro diritti, alla normalità delle loro occupazioni. Ci impegniamo a informare i cittadini con sufficiente anticipo, per quanto compatibile con la rapida evoluzione della pandemia, di ogni cambiamento nelle regole.
Il Governo farà le riforme ma affronterà anche l’emergenza. Non esiste un prima e un dopo. Siamo consci dell’insegnamento di Cavour: ”le riforme compiute a tempo, invece di indebolire l’autorità, la rafforzano”. Ma nel frattempo dobbiamo occuparci di chi soffre adesso, di chi oggi perde il lavoro o è costretto a chiudere la propria attività.
Nel ringraziare, ancora una volta il Presidente della Repubblica per l’onore dell’incarico che mi è stato assegnato, vorrei dirvi che non vi è mai stato, nella mia lunga vita professionale, un momento di emozione così intensa e di responsabilità così ampia. Ringrazio altresì il mio predecessore Giuseppe Conte che ha affrontato una situazione di emergenza sanitaria ed economica come mai era accaduto dall’Unità d’Italia.
Si è discusso molto sulla natura di questo governo. La storia repubblicana ha dispensato una varietà infinita di formule. Nel rispetto che tutti abbiamo per le istituzioni e per il corretto funzionamento di una democrazia rappresentativa, un esecutivo come quello che ho l’onore di presiedere, specialmente in una situazione drammatica come quella che stiamo vivendo, è semplicemente il governo del Paese. Non ha bisogno di alcun aggettivo che lo definisca. Riassume la volontà, la consapevolezza, il senso di responsabilità delle forze politiche che lo sostengono alle quali è stata chiesta una rinuncia per il bene di tutti, dei propri elettori come degli elettori di altri schieramenti, anche dell’opposizione, dei cittadini italiani tutti. Questo è lo spirito repubblicano di un governo che nasce in una situazione di emergenza raccogliendo l’alta indicazione del capo dello Stato.
La crescita di un’economia di un Paese non scaturisce solo da fattori economici. Dipende dalle istituzioni, dalla fiducia dei cittadini verso di esse, dalla condivisione di valori e di speranze. Gli stessi fattori determinano il progresso di un Paese.
Si è detto e scritto che questo governo è stato reso necessario dal fallimento della politica. Mi sia consentito di non essere d’accordo. Nessuno fa un passo indietro rispetto alla propria identità ma semmai, in un nuovo e del tutto inconsueto perimetro di collaborazione, ne fa uno avanti nel rispondere alle necessità del Paese,
nell’avvicinarsi ai problemi quotidiani delle famiglie e delle imprese che ben sanno quando è il momento di lavorare insieme, senza pregiudizi e rivalità.
Nei momenti più difficili della nostra storia, l’espressione più alta e nobile della politica si è tradotta in scelte coraggiose, in visioni che fino a un attimo prima sembravano impossibili. Perché prima di ogni nostra appartenenza, viene il dovere della cittadinanza.
Siamo cittadini di un Paese che ci chiede di fare tutto il possibile, senza perdere tempo, senza lesinare anche il più piccolo sforzo, per combattere la pandemia e contrastare la crisi economica. E noi oggi, politici e tecnici che formano questo nuovo esecutivo siamo tutti semplicemente cittadini italiani, onorati di servire il proprio Paese, tutti ugualmente consapevoli del compito che ci è stato affidato.
Questo è lo spirito repubblicano del mio governo.
La durata dei governi in Italia è stata mediamente breve ma ciò non ha impedito, in momenti anche drammatici della vita della nazione, di compiere scelte decisive per il futuro dei nostri figli e nipoti. Conta la qualità delle decisioni, conta il coraggio delle visioni, non contano i giorni. Il tempo del potere può essere sprecato anche nella sola preoccupazione di conservarlo. Oggi noi abbiamo, come accadde ai governi dell’immediato Dopoguerra, la possibilità, o meglio la responsabilità, di avviare una Nuova Ricostruzione. L’Italia si risollevò dal disastro della Seconda Guerra Mondiale con orgoglio e determinazione e mise le basi del miracolo economico grazie a investimenti e lavoro. Ma soprattutto grazie alla convinzione che il futuro delle generazioni successive sarebbe stato migliore per tutti. Nella fiducia reciproca, nella fratellanza nazionale, nel perseguimento di un riscatto civico e morale. A quella Ricostruzione collaborarono forze politiche ideologicamente lontane se non contrapposte. Sono certo che anche a questa Nuova Ricostruzione nessuno farà mancare, nella distinzione di ruoli e identità, il proprio apporto. Questa è la nostra missione di italiani: consegnare un Paese migliore e più giusto ai figli e ai nipoti.
Spesso mi sono chiesto se noi, e mi riferisco prima di tutto alla mia generazione, abbiamo fatto e stiamo facendo per loro tutto quello che i nostri nonni e padri fecero per noi, sacrificandosi oltre misura. È una domanda che ci dobbiamo porre quando non facciamo tutto il necessario per promuovere al meglio il capitale umano, la formazione, la scuola, l’università e la cultura. Una domanda alla quale dobbiamo dare risposte concrete e urgenti quando deludiamo i nostri giovani costringendoli ad emigrare da un Paese che troppo spesso non sa valutare il merito e non ha ancora realizzato una effettiva parità di genere. Una domanda che non possiamo eludere quando aumentiamo il nostro debito pubblico senza aver speso e investito al meglio risorse che sono sempre scarse. Ogni spreco oggi è un torto che facciamo alle prossime generazioni, una sottrazione dei loro diritti. Esprimo davanti a voi, che siete i rappresentanti eletti degli italiani, l’auspicio che il desiderio e la necessità di costruire un futuro migliore orientino saggiamente le nostre decisioni. Nella speranza che i giovani italiani che prenderanno il nostro posto, anche qui in questa aula, ci ringrazino per il nostro lavoro e non abbiano di che rimproverarci per il nostro egoismo.
Questo governo nasce nel solco dell’appartenenza del nostro Paese, come socio fondatore, all’Unione europea, e come protagonista dell’Alleanza Atlantica, nel solco delle grandi democrazie occidentali, a difesa dei loro irrinunciabili principi e valori. Sostenere questo governo significa condividere l’irreversibilità della scelta dell’euro, significa condividere la prospettiva di un’Unione europea sempre più integrata che approderà a un bilancio pubblico comune capace di sostenere i Paesi nei periodi di recessione. Gli Stati nazionali rimangono il riferimento dei nostri cittadini, ma nelle aree definite dalla loro debolezza cedono sovranità nazionale per acquistare sovranità condivisa. Anzi, nell’appartenenza convinta al destino dell’Europa siamo ancora più italiani, ancora più vicini ai nostri territori di origine o residenza. Dobbiamo essere orgogliosi del contributo italiano alla crescita e allo sviluppo dell’Unione europea. Senza l’Italia non c’è l’Europa. Ma, fuori dall’Europa c’è meno Italia. Non c’è sovranità nella solitudine. C’è solo l’inganno di ciò che siamo, nell’oblio di ciò che siamo stati e nella negazione di quello che potremmo essere. Siamo una grande potenza economica e culturale. Mi sono sempre stupito e un po’ addolorato in questi anni, nel notare come spesso il giudizio degli altri sul nostro Paese sia migliore del nostro. Dobbiamo essere più orgogliosi, più giusti e più generosi nei confronti del nostro Paese. E riconoscere i tanti primati, la profonda ricchezza del nostro capitale sociale, del nostro volontariato, che altri ci invidiano.
Lo stato del Paese dopo un anno di pandemia
Da quando è esplosa l’epidemia, ci sono stati – i dati ufficiali sottostimano il fenomeno – 92.522 morti, 2.725.106 cittadini colpiti dal virus, in questo momento 2.074 sono i ricoverati in terapia intensiva. Ci sono 259 morti tra gli operatori sanitari e 118.856 sono quelli contagiati, a dimostrazione di un enorme sacrificio sostenuto con generosità e impegno. Cifre che hanno messo a dura prova il sistema sanitario nazionale, sottraendo personale e risorse alla prevenzione e alla cura di altre patologie, con conseguenze pesanti sulla salute di tanti italiani. L’aspettativa di vita, a causa della pandemia, è diminuita: fino a 4 – 5 anni nelle zone di maggior contagio; un anno e mezzo – due in meno per tutta la popolazione italiana. Un calo simile non si registrava in Italia dai tempi delle due guerre mondiali.
La diffusione del virus ha comportato gravissime conseguenze anche sul tessuto economico e sociale del nostro Paese. Con rilevanti impatti sull’occupazione, specialmente quella dei giovani e delle donne. Un fenomeno destinato ad aggravarsi quando verrà meno il divieto di licenziamento.
Si è anche aggravata la povertà. I dati dei centri di ascolto Caritas, che confrontano il periodo maggio-settembre del 2019 con lo stesso periodo del 2020, mostrano che da un anno all’altro l’incidenza dei “nuovi poveri” passa dal 31% al 45%: quasi una persona su due che oggi si rivolge alla Caritas lo fa per la prima volta. Tra i nuovi poveri aumenta in particolare il peso delle famiglie con minori, delle donne, dei giovani, degli italiani, che sono oggi la maggioranza (52% rispetto al 47,9 % dello scorso anno) e delle persone in età lavorativa, di fasce di cittadini finora mai sfiorati dall’indigenza. Il numero totale di ore di Cassa integrazione per emergenza sanitaria dal 1 aprile al 31 dicembre dello scorso anno supera i 4 milioni. Nel 2020 gli occupati sono scesi di 444 mila unità ma il calo si è accentrato su contratti a termine (-393 mila) e lavoratori autonomi (-209). La pandemia finora ha colpito soprattutto giovani e donne, una disoccupazione selettiva ma che presto potrebbe iniziare a colpire anche i lavoratori con contratti a tempo indeterminato.
Gravi e con pochi precedenti storici gli effetti sulla diseguaglianza. In assenza di interventi pubblici il coefficiente di Gini, una misura della diseguaglianza nella distribuzione del reddito, sarebbe aumentato, nel primo semestre del 2020 (secondo una recente stima), di 4 punti percentuali, rispetto al 34.8% del 2019. Questo aumento sarebbe stato maggiore di quello cumulato durante le due recenti recessioni. L’aumento nella diseguaglianza è stato tuttavia attenuato dalle reti di protezione presenti nel nostro sistema di sicurezza sociale, in particolare dai provvedimenti che dall’inizio della pandemia li hanno rafforzati. Rimane però il fatto che il nostro sistema di sicurezza sociale è squilibrato, non proteggendo a sufficienza i cittadini con impieghi a tempo determinato e i lavoratori autonomi.
Le previsioni pubblicate la scorsa settimana dalla Commissione europea indicano che sebbene nel 2020 la recessione europea sia stata meno grave di quanto ci si aspettasse – e che quindi già fra poco più di un anno si dovrebbero recuperare i livelli di attività economica pre-pandemia – in Italia questo non accadrà prima della fine del 2022, in un contesto in cui, prima della pandemia, non avevamo ancora recuperato pienamente gli effetti delle crisi del 2008-09 e del 2011-13. La diffusione del Covid ha provocato ferite profonde nelle nostre comunità, non solo sul piano sanitario ed economico, ma anche su quello culturale ed educativo. Le ragazze e i ragazzi hanno avuto, soprattutto quelli nelle scuole secondarie di secondo grado, il servizio scolastico attraverso la Didattica a Distanza che, pur garantendo la continuità del servizio, non può non creare disagi ed evidenziare diseguaglianze. Un dato chiarisce meglio la dinamica attuale: a fronte di 1.696.300 studenti delle scuole secondarie di secondo grado, nella prima settimana di febbraio solo 1.039.372 studenti (il 61,2% del totale) ha avuto assicurato il servizio attraverso la Didattica a Distanza.
Le priorità per ripartire
Questa situazione di emergenza senza precedenti impone di imboccare, con decisione e rapidità, una strada di unità e di impegno comune.
Il piano di vaccinazione. Gli scienziati in soli 12 mesi hanno fatto un miracolo: non era mai accaduto che si riuscisse a produrre un nuovo vaccino in meno di un anno. La nostra prima sfida è, ottenutene le quantità sufficienti, distribuirlo rapidamente ed efficientemente.
Abbiamo bisogno di mobilitare tutte le energie su cui possiamo contare, ricorrendo alla protezione civile, alle forze armate, ai tanti volontari. Non dobbiamo limitare le vaccinazioni all’interno di luoghi specifici, spesso ancora non pronti: abbiamo il dovere di renderle possibili in tutte le strutture disponibili, pubbliche e private. Facendo tesoro dell’esperienza fatta con i tamponi che, dopo un ritardo iniziale, sono stati permessi anche al di fuori della ristretta cerchia di ospedali autorizzati. E soprattutto imparando da Paesi che si sono mossi più rapidamente di noi disponendo subito di quantità di vaccini adeguate. La velocità è essenziale non solo per proteggere gli individui e le loro comunità sociali, ma ora anche per ridurre le possibilità che sorgano altre varianti del virus.
Sulla base dell’esperienza dei mesi scorsi dobbiamo aprire un confronto a tutto campo sulla riforma della nostra sanità. Il punto centrale è rafforzare e ridisegnare la sanità territoriale, realizzando una forte rete di servizi di base (case della comunità, ospedali di comunità, consultori, centri di salute mentale, centri di prossimità contro la povertà sanitaria). È questa la strada per rendere realmente esigibili i “Livelli essenziali di assistenza” e affidare agli ospedali le esigenze sanitarie acute, post acute e riabilitative. La “casa come principale luogo di cura” è oggi possibile con la telemedicina, con l’assistenza domiciliare integrata.
La scuola. Non solo dobbiamo tornare rapidamente a un orario scolastico normale, anche distribuendolo su diverse fasce orarie, ma dobbiamo fare il possibile, con le modalità più adatte, per recuperare le ore di didattica in presenza perse lo scorso anno, soprattutto nelle regioni del Mezzogiorno in cui la didattica a distanza ha incontrato maggiori difficoltà. Occorre rivedere il disegno del percorso scolastico annuale. Allineare il calendario scolastico alle esigenze derivanti dall’esperienza vissuta dall’inizio della pandemia. Il ritorno a scuola deve avvenire in sicurezza.
È necessario investire in una transizione culturale a partire dal patrimonio identitario umanistico riconosciuto a livello internazionale. Siamo chiamati a disegnare un percorso educativo che combini la necessaria adesione agli standard qualitativi richiesti, anche nel panorama europeo, con innesti di nuove materie e metodologie, e coniugare le competenze scientifiche con quelle delle aree umanistiche e del multilinguismo.
Infine è necessario investire nella formazione del personale docente per allineare l’offerta educativa alla domanda delle nuove generazioni. In questa prospettiva particolare attenzione va riservata agli ITIS (istituti tecnici). In Francia e in Germania, ad esempio, questi istituti sono un pilastro importante del sistema educativo. È stato stimato in circa 3 milioni, nel quinquennio 2019-23, il fabbisogno di diplomati di istituti tecnici nell’area digitale e ambientale. Il Programma Nazionale di Ripresa e Resilienza assegna 1,5 md agli ITIS, 20 volte il finanziamento di un anno normale pre-pandemia. Senza innovare l’attuale organizzazione di queste scuole, rischiamo che quelle risorse vengano sprecate.
La globalizzazione, la trasformazione digitale e la transizione ecologica stanno da anni cambiando il mercato del lavoro e richiedono continui adeguamenti nella formazione universitaria. Allo stesso tempo occorre investire adeguatamente nella ricerca, senza escludere la ricerca di base, puntando all’eccellenza, ovvero a una ricerca riconosciuta a livello internazionale per l’impatto che produce sulla nuova conoscenza e sui nuovi modelli in tutti i campi scientifici. Occorre infine costruire sull’esperienza di didattica a distanza maturata nello scorso anno sviluppandone le potenzialità con l’impiego di strumenti digitali che potranno essere utilizzati nella didattica in presenza.
Oltre la pandemia
Quando usciremo, e usciremo, dalla pandemia, che mondo troveremo? Alcuni pensano che la tragedia nella quale abbiamo vissuto per più di 12 mesi sia stata simile ad una lunga interruzione di corrente. Prima o poi la luce ritorna, e tutto ricomincia come prima. La scienza, ma semplicemente il buon senso, suggeriscono che potrebbe non essere così.
Il riscaldamento del pianeta ha effetti diretti sulle nostre vite e sulla nostra salute, dall’inquinamento, alla fragilità idrogeologica, all’innalzamento del livello dei mari che potrebbe rendere ampie zone di alcune città litoranee non più abitabili. Lo spazio che alcune megalopoli hanno sottratto alla natura potrebbe essere stata una delle cause della trasmissione del virus dagli animali all’uomo.
Come ha detto Papa Francesco “Le tragedie naturali sono la risposta della terra al nostro maltrattamento. E io penso che se chiedessi al Signore che cosa pensa, non credo mi direbbe che è una cosa buona: siamo stati noi a rovinare l’opera del Signore”.
Proteggere il futuro dell’ambiente, conciliandolo con il progresso e il benessere sociale, richiede un approccio nuovo: digitalizzazione, agricoltura, salute, energia, aerospazio, cloud computing, scuole ed educazione, protezione dei territori, biodiversità, riscaldamento globale ed effetto serra, sono diverse facce di una sfida poliedrica che vede al centro l’ecosistema in cui si svilupperanno tutte le azioni umane.
Anche nel nostro Paese alcuni modelli di crescita dovranno cambiare. Ad esempio il modello di turismo, un’attività che prima della pandemia rappresentava il 14 per cento del totale delle nostre attività economiche. Imprese e lavoratori in quel settore vanno aiutati ad uscire dal disastro creato dalla pandemia. Ma senza scordare che il nostro turismo avrà un futuro se non dimentichiamo che esso vive della nostra capacità di preservare, cioè almeno non sciupare, città d’arte, luoghi e tradizioni che successive generazioni attraverso molti secoli hanno saputo preservare e ci hanno tramandato.
Uscire dalla pandemia non sarà come riaccendere la luce. Questa osservazione, che gli scienziati non smettono di ripeterci, ha una conseguenza importante. Il governo dovrà proteggere i lavoratori, tutti i lavoratori, ma sarebbe un errore proteggere indifferentemente tutte le attività economiche. Alcune dovranno cambiare, anche radicalmente. E la scelta di quali attività proteggere e quali accompagnare nel cambiamento è il difficile compito che la politica economica dovrà affrontare nei prossimi mesi.
La capacità di adattamento del nostro sistema produttivo e interventi senza precedenti hanno permesso di preservare la forza lavoro in un anno drammatico: sono stati sette milioni i lavoratori che hanno fruito di strumenti di integrazione salariale per un totale di 4 miliardi di ore. Grazie a tali misure, supportate anche dalla Commissione europea mediante il programma SURE, è stato possibile limitare gli effetti negativi sull’occupazione. A pagare il prezzo più alto sono stati i giovani, le donne e i lavoratori autonomi. È innanzitutto a loro che bisogna pensare quando approntiamo una strategia di sostegno delle imprese e del lavoro, strategia che dovrà coordinare la sequenza degli interventi sul lavoro, sul credito e sul capitale.
Centrali sono le politiche attive del lavoro. Affinché esse siano immediatamente operative è necessario migliorare gli strumenti esistenti, come l’assegno di riallocazione, rafforzando le politiche di formazione dei lavoratori occupati e disoccupati. Vanno anche rafforzate le dotazioni di personale e digitali dei centri per l’impiego in accordo con le regioni. Questo progetto è già parte del Programma Nazionale di Ripresa e Resilienza ma andrà anticipato da subito.
Il cambiamento climatico, come la pandemia, penalizza alcuni settori produttivi senza che vi sia un’espansione in altri settori che possa compensare. Dobbiamo quindi essere noi ad assicurare questa espansione e lo dobbiamo fare subito. La risposta della politica economica al cambiamento climatico e alla pandemia dovrà essere una combinazione di politiche strutturali che facilitino l’innovazione, di politiche finanziarie che facilitino l’accesso delle imprese capaci di crescere al capitale e al credito e di politiche monetarie e fiscali espansive che agevolino gli investimenti e creino domanda per le nuove attività sostenibili che sono state create. Vogliamo lasciare un buon pianeta, non solo una buona moneta.
Parità di genere
La mobilitazione di tutte le energie del Paese nel suo rilancio non può prescindere dal coinvolgimento delle donne. Il divario di genere nei tassi di occupazione in Italia rimane tra i più alti di Europa: circa 18 punti su una media europea di 10. Dal dopoguerra ad oggi, la situazione è notevolmente migliorata, ma questo incremento non è andato di pari passo con un altrettanto evidente miglioramento delle condizioni di carriera delle donne. L’Italia presenta oggi uno dei peggiori gap salariali tra generi in Europa, oltre una cronica scarsità di donne in posizioni manageriali di rilievo.
Una vera parità di genere non significa un farisaico rispetto di quote rosa richieste dalla legge: richiede che siano garantite parità di condizioni competitive tra generi. Intendiamo lavorare in questo senso, puntando a un riequilibrio del gap salariale e un sistema di welfare che permetta alle donne di dedicare alla loro carriera le stesse energie dei loro colleghi uomini, superando la scelta tra famiglia o lavoro. Garantire parità di condizioni competitive significa anche assicurarsi che tutti abbiano eguale accesso alla formazione di quelle competenze chiave che sempre più permetteranno di fare carriera – digitali, tecnologiche e ambientali. Intendiamo quindi investire, economicamente ma soprattutto culturalmente, perché sempre più giovani donne scelgano di formarsi negli ambiti su cui intendiamo rilanciare il Paese. Solo in questo modo riusciremo a garantire che le migliori risorse siano coinvolte nello sviluppo del Paese.
Il Mezzogiorno
Aumento dell’occupazione, in primis, femminile, è obiettivo imprescindibile: benessere, autodeterminazione, legalità, sicurezza sono strettamente legati all’aumento dell’occupazione femminile nel Mezzogiorno. Sviluppare la capacità di attrarre investimenti privati nazionali e internazionali è essenziale per generare reddito, creare lavoro, invertire il declino demografico e lo spopolamento delle aree interne. Ma per raggiungere questo obiettivo occorre creare un ambiente dove legalità e sicurezza siano sempre garantite. Vi sono poi strumenti specifici quali il credito d’imposta e altri interventi da concordare in sede europea. Per riuscire a spendere e spendere bene, utilizzando gli investimenti dedicati dal Next Generation EU occorre irrobustire le amministrazioni meridionali, anche guardando con attenzione all’esperienza di un passato che spesso ha deluso la speranza.
Gli investimenti pubblici
In tema di infrastrutture occorre investire sulla preparazione tecnica, legale ed economica dei funzionari pubblici per permettere alle amministrazioni di poter pianificare, progettare ed accelerare gli investimenti con certezza dei tempi, dei costi e in piena compatibilità con gli indirizzi di sostenibilità e crescita indicati nel Programma nazionale di Ripresa e Resilienza. Particolare attenzione va posta agli investimenti in manutenzione delle opere e nella tutela del territorio, incoraggiando l’utilizzo di tecniche predittive basate sui più recenti sviluppi in tema di Intelligenza artificiale e tecnologie digitali. Il settore privato deve essere invitato a partecipare alla realizzazione degli investimenti pubblici apportando più che finanza, competenza, efficienza e innovazione per accelerare la realizzazione dei progetti nel rispetto dei costi previsti.
Next Generation EU
La strategia per i progetti del Next Generation EU non può che essere trasversale e sinergica, basata sul principio dei co-benefici, cioè con la capacità di impattare simultaneamente più settori, in maniera coordinata. Dovremo imparare a prevenire piuttosto che a riparare, non solo dispiegando tutte le tecnologie a nostra disposizione ma anche investendo sulla consapevolezza delle nuove generazioni che “ogni azione ha una conseguenza”.
Come si è ripetuto più volte, avremo a disposizione circa 210 miliardi lungo un periodo di sei anni.
Queste risorse dovranno essere spese puntando a migliorare il potenziale di crescita della nostra economia. La quota di prestiti aggiuntivi che richiederemo tramite la principale componente del programma, lo Strumento per la ripresa e resilienza, dovrà essere modulata in base agli obiettivi di finanza pubblica.
Il precedente Governo ha già svolto una grande mole di lavoro sul Programma di ripresa e resilienza (PNRR). Dobbiamo approfondire e completare quel lavoro che, includendo le necessarie interlocuzioni con la Commissione Europea, avrebbe una scadenza molto ravvicinata, la fine di aprile.
Gli orientamenti che il Parlamento esprimerà nei prossimi giorni a commento della bozza di Programma presentata dal Governo uscente saranno di importanza fondamentale nella preparazione della sua versione finale. Voglio qui riassumere l’orientamento del nuovo Governo.
Le Missioni del Programma potranno essere rimodulate e riaccorpate, ma resteranno quelle enunciate nei precedenti documenti del Governo uscente, ovvero l’innovazione, la digitalizzazione, la competitività e la cultura; la transizione ecologica; le infrastrutture per la mobilità sostenibile; la formazione e la ricerca; l’equità sociale, di genere, generazionale e territoriale; la salute e la relativa filiera produttiva.
Dovremo rafforzare il Programma prima di tutto per quanto riguarda gli obiettivi strategici e le riforme che li accompagnano.
Obiettivi strategici
Il Programma è finora stato costruito in base ad obiettivi di alto livello e aggregando proposte progettuali in missioni, componenti e linee progettuali. Nelle prossime settimane rafforzeremo la dimensione strategica del Programma, in particolare con riguardo agli obiettivi riguardanti la produzione di energia da fonti rinnovabili, l’inquinamento dell’aria e delle acque, la rete ferroviaria veloce, le reti di distribuzione dell’energia per i veicoli a propulsione elettrica, la produzione e distribuzione di idrogeno, la digitalizzazione, la banda larga e le reti di comunicazione 5G.
Il ruolo dello Stato e il perimetro dei suoi interventi dovranno essere valutati con attenzione. Compito dello Stato è utilizzare le leve della spesa per ricerca e sviluppo, dell’istruzione e della formazione, della regolamentazione, dell’incentivazione e della tassazione.
In base a tale visione strategica, il Programma nazionale di Ripresa e Resilienza indicherà obiettivi per il prossimo decennio e più a lungo termine, con una tappa intermedia per l’anno finale del Next Generation EU, il 2026. Non basterà elencare progetti che si vogliono completare nei prossimi anni. Dovremo dire dove vogliamo arrivare nel 2026 e a cosa puntiamo per il 2030 e il 2050, anno in cui l’Unione Europea intende arrivare a zero emissioni nette di CO2 e gas clima-alteranti.
Selezioneremo progetti e iniziative coerenti con gli obiettivi strategici del Programma, prestando grande attenzione alla loro fattibilità nell’arco dei sei anni del programma. Assicureremo inoltre che l’impulso occupazionale del Programma sia sufficientemente elevato in ciascuno dei sei anni, compreso il 2021.
Chiariremo il ruolo del terzo settore e del contributo dei privati al Programma Nazionale di Ripresa e Resilienza attraverso i meccanismi di finanziamento a leva (fondo dei fondi).
Sottolineeremo il ruolo della scuola che tanta parte ha negli obiettivi di coesione sociale e territoriale e quella dedicata all’inclusione sociale e alle politiche attive del lavoro.
Nella sanità dovremo usare questi progetti per porre le basi, come indicato sopra, per rafforzare la medicina territoriale e la telemedicina.
La governance del Programma di ripresa e resilienza è incardinata nel Ministero dell’Economia e Finanza con la strettissima collaborazione dei Ministeri competenti che definiscono le politiche e i progetti di settore. Il Parlamento verrà costantemente informato sia sull’impianto complessivo, sia sulle politiche di settore.
Infine il capitolo delle riforme che affronterò ora separatamente.
Le riforme
Il Next generation EU prevede riforme.
Alcune riguardano problemi aperti da decenni ma che non per questo vanno dimenticati.
Fra questi la certezza delle norme e dei piani di investimento pubblico, fattori che limitano gli investimenti, sia italiani che esteri.
Inoltre la concorrenza: chiederò all’Autorità garante per la concorrenza e il mercato, di produrre in tempi brevi come previsto dalla Legge Annuale sulla Concorrenza (Legge 23 luglio 2009, n. 99) le sue proposte in questo campo.
Negli anni recenti i nostri tentativi di riformare il Paese non sono stati del tutto assenti, ma i loro effetti concreti sono stati limitati. Il problema sta forse nel modo in cui spesso abbiamo disegnato le riforme: con interventi parziali dettati dall’urgenza del momento, senza una visione a tutto campo che richiede tempo e competenza. Nel caso del fisco, per fare un esempio, non bisogna dimenticare che il sistema tributario è un meccanismo complesso, le cui parti si legano una all’altra. Non è una buona idea cambiare le tasse una alla volta. Un intervento complessivo rende anche più difficile che specifici gruppi di pressione riescano a spingere il governo ad adottare misure scritte per avvantaggiarli.
Inoltre, le esperienze di altri Paesi insegnano che le riforme della tassazione dovrebbero essere affidate a esperti, che conoscono bene cosa può accadere se si cambia un’imposta. Ad esempio la Danimarca, nel 2008, nominò una Commissione di esperti in materia fiscale. La Commissione incontrò i partiti politici e le parti sociali e solo dopo presentò la sua relazione al Parlamento. Il progetto prevedeva un taglio della pressione fiscale pari a 2 punti di Pil. L’aliquota marginale massima dell’imposta sul reddito veniva ridotta, mentre la soglia di esenzione veniva alzata.
Un metodo simile fu seguito in Italia all’inizio degli anni Settanta del secolo scorso quando il governo affidò ad una commissione di esperti, fra i quali Bruno Visentini e Cesare Cosciani, il compito di ridisegnare il nostro sistema tributario, che non era stato più modificato dai tempi della riforma Vanoni del 1951. Si deve a quella commissione l’introduzione dell’imposta sul reddito delle persone fisiche e del sostituto d’imposta per i redditi da lavoro dipendente. Una riforma fiscale segna in ogni Paese un passaggio decisivo. Indica priorità, dà certezze, offre opportunità, è l’architrave della politica di bilancio
In questa prospettiva va studiata una revisione profonda dell’Irpef con il duplice obiettivo di semplificare e razionalizzare la struttura del prelievo, riducendo gradualmente il carico fiscale e preservando la progressività. Funzionale al perseguimento di questi ambiziosi obiettivi sarà anche un rinnovato e rafforzato impegno nell’azione di contrasto all’evasione fiscale.
L’altra riforma che non si può procrastinare è quella della pubblica amministrazione. Nell’emergenza l’azione amministrativa, a livello centrale e nelle strutture locali e periferiche, ha dimostrato capacità di resilienza e di adattamento grazie a un impegno diffuso nel lavoro a distanza e a un uso intelligente delle tecnologie a sua disposizione. La fragilità del sistema delle pubbliche amministrazioni e dei servizi di interesse collettivo è, tuttavia, una realtà che deve essere rapidamente affrontata.
Particolarmente urgente è lo smaltimento dell’arretrato accumulato durante la pandemia.
Agli uffici verrà chiesto di predisporre un piano di smaltimento dell’arretrato e comunicarlo ai cittadini.
La riforma dovrà muoversi su due direttive: investimenti in connettività con anche la realizzazione di piattaforme efficienti e di facile utilizzo da parte dei cittadini; aggiornamento continuo delle competenze dei dipendenti pubblici, anche selezionando nelle assunzioni le migliori competenze e attitudini in modo rapido, efficiente e sicuro, senza costringere a lunghissime attese decine di migliaia di candidati.
Nel campo della giustizia le azioni da svolgere sono principalmente quelle che si collocano all’interno del contesto e delle aspettative dell’Unione europea. Nelle Country Specific Recommendations indirizzate al nostro Paese negli anni 2019 e 2020, la Commissione, pur dando atto dei progressi compiuti negli ultimi anni, ci esorta: ad aumentare l’efficienza del sistema giudiziario civile, attuando e favorendo l’applicazione dei decreti di riforma in materia di insolvenza, garantendo un funzionamento più efficiente dei tribunali, favorendo lo smaltimento dell’arretrato e una migliore gestione dei carichi di lavoro, adottando norme procedurali più semplici, coprendo i posti vacanti del personale amministrativo, riducendo le differenze che sussistono nella gestione dei casi da tribunale a tribunale e infine favorendo la repressione della corruzione.
Nei nostri rapporti internazionali questo governo sarà convintamente europeista e atlantista, in linea con gli ancoraggi storici dell’Italia: Unione europea, Alleanza Atlantica, Nazioni Unite. Ancoraggi che abbiamo scelto fin dal dopoguerra, in un percorso che ha portato benessere, sicurezza e prestigio internazionale. Profonda è la nostra vocazione a favore di un multilateralismo efficace, fondato sul ruolo insostituibile delle Nazioni Unite. Resta forte la nostra attenzione e proiezione verso le aree di naturale interesse prioritario, come i Balcani, il Mediterraneo allargato, con particolare attenzione alla Libia e al Mediterraneo orientale, e all’Africa.
Gli anni più recenti hanno visto una spinta crescente alla costruzione in Europa di reti di rapporti bilaterali e plurilaterali privilegiati. Proprio la pandemia ha rivelato la necessità di perseguire uno scambio più intenso con i partner con i quali la nostra economia è più integrata. Per l’Italia ciò comporterà la necessità di meglio strutturare e rafforzare il rapporto strategico e imprescindibile con Francia e Germania. Ma occorrerà anche consolidare la collaborazione con Stati con i quali siamo accomunati da una specifica sensibilità mediterranea e dalla condivisione di problematiche come quella ambientale e migratoria: Spagna, Grecia, Malta e Cipro. Continueremo anche a operare affinché si avvii un dialogo più virtuoso tra l’Unione europea e la Turchia, partner e alleato NATO.
L’Italia si adopererà per alimentare meccanismi di dialogo con la Federazione Russa.
Seguiamo con preoccupazione ciò che sta accadendo in questo e in altri Paesi dove i diritti dei cittadini sono spesso violati. Seguiamo anche con preoccupazione l’aumento delle tensioni in Asia intorno alla Cina.
Altra sfida sarà il negoziato sul nuovo Patto per le migrazioni e l’asilo, nel quale perseguiremo un deciso rafforzamento dell’equilibrio tra responsabilità dei Paesi di primo ingresso e solidarietà effettiva. Cruciale sarà anche la costruzione di una politica europea dei rimpatri dei non aventi diritto alla protezione internazionale, accanto al pieno rispetto dei diritti dei rifugiati.
L’avvento della nuova Amministrazione USA prospetta un cambiamento di metodo, più cooperativo nei confronti dell’Europa e degli alleati tradizionali. Sono fiducioso che i nostri rapporti e la nostra collaborazione non potranno che intensificarsi. Dal dicembre scorso e fino alla fine del 2021, l’Italia esercita per la prima volta la Presidenza del G20. Il programma, che coinvolgerà l’intera compagine governativa, ruota intorno a tre pilastri: People, Planet, Prosperity. L’Italia avrà la responsabilità di guidare il Gruppo verso l’uscita dalla pandemia, e di rilanciare una crescita verde e sostenibile a beneficio di tutti. Si tratterà di ricostruire e di ricostruire meglio. Insieme al Regno Unito – con cui quest’anno abbiamo le Presidenze parallele del G7 e del G20 – punteremo sulla sostenibilità e la “transizione verde” nella prospettiva della prossima Conferenza delle Parti sul cambiamento climatico (Cop 26), con una particolare attenzione a coinvolgere attivamente le giovani generazioni, attraverso l’evento “Youth4Climate”.
Questo è il terzo governo della legislatura.
Non c’è nulla che faccia pensare che possa far bene senza il sostegno convinto di questo Parlamento. È un sostegno che non poggia su alchimie politiche ma sullo spirito di sacrificio con cui donne e uomini hanno affrontato l’ultimo anno, sul loro vibrante desiderio di rinascere, di tornare più forti e sull’entusiasmo dei giovani che vogliono un Paese capace di realizzare i loro sogni. Oggi, l’unità non è un’opzione, l’unità è un dovere. Ma è un dovere guidato da ciò che son certo ci unisce tutti: l’amore per l’Italia.

Corriere della Sera, 18 febbraio 2021 – Cambio di passo per la politica

Luciano Fontana
Sono passati solo tre anni dalle elezioni del 2018 ma la politica e gli slogan di quei giorni ci sembrano ormai affidati a un passato lontanissimo. Erano i giorni delle contestazioni anti euro, dei vagheggiamenti sull’uscita dell’Italia dall’Unione, della guerra a Francia e Germania, dei sogni di decrescita felice e della negazione del riscaldamento globale. Delle risposte facili e illusorie a problemi complessi che non potevano essere risolti dalle ricette sovraniste in salsa italiana. Forse è troppo presto per dirlo, ma la politica sta entrando in un nuovo mondo. Va dato merito al presidente della Repubblica Sergio Mattarella di aver lavorato, con tenacia e in silenzio, perla sua affermazione. Le parole pronunciate in Senato dal presidente del Consiglio Mario Draghi certificano l’addio a una stagione che la pandemia, con la sua emergenza drammatica, aveva già fatto franare.
Il premier ha negato che siamo di fronte a un fallimento della politica. Ma qualcosa di molto vicino a una disfatta è accaduto nelle settimane scorse. I partiti avranno il tempo per riflettere e per mettere a frutto la lezione di questi mesi; di recuperare serietà nei programmi e, possibilmente, prestigio e competenza nei dirigenti che proporranno al Paese. Ora invece è il tempo della responsabilità, dell’unità intorno a una missione: quella di portare l’Italia fuori dalla crisi sanitaria e dall’emergenza economica sociale. Non pensando mai che quella che stiamo vivendo sia solo una parentesi, dopo di che tutto tornerà come prima. Questo governo deve, prima di tutto, dare risposte concrete, efficaci e ordinate ai malati che ancora affollano gli ospedali, alle famiglie che piangono i loro morti, ai lavoratori fermi in cassa integrazione, agli imprenditori piccoli e grandi con le aziende chiuse da mesi, al popolo degli artigiani, dei commercianti, dei giovani occupati precariamente. Draghi è partito da loro nel suo discorso. Lo ha fatto anche emozionandosi. Il senso è chiaro: servono certamente le riforme, ma la gente soffre oggi, si aspetta fatti concreti e immediati dopo i tanti giorni persi in una crisi politica scoppiata in piena pandemia. Tutte le forze politiche hanno il dovere di accompagnare con impegno e solidarietà le scelte che servono a frenare la circolazione del virus e a vaccinare più italiani possibile. Senza ideologie e pregiudizi, senza ricercare interessi di parte, davvero fuori luogo in questa situazione. Ci sono state troppa improvvisazione e mancata programmazione negli ultimi mesi per pensare di poter andare avanti in un percorso sbagliato. Mettere in sicurezza il Paese è la condizione per avviare i cambiamenti di cui avevamo bisogno già molto prima che il coronavirus arrivasse tra noi. Sostenibilità ambientale, innovazione tecnologica, istruzione (tanta istruzione), riforma del Fisco, capacità di realizzare i progetti senza zavorre burocratiche, crescita del lavoro femminile sono tra i capitoli di un progetto che grazie ai fondi del Next Generation Eu possono portare l’Italia non solo fuori dalla pandemia, ma anche fuori da una condizione di debolezza che dura da decenni. E un bene anche per l’attuale classe politica, oggi costretta a un passo indietro, che le riforme partano. Che si superi quella conflittualità ossessiva che le aveva sempre lasciate ai blocchi di partenza. Il tempo che manca alle prossime elezioni può essere utilizzato in modi molto diversi. Può servire alle forze politiche per maturare scelte che le rendano competitive e affidabili. Questo governo e la sua strana maggioranza hanno una cornice moderata ed europeista, impensabile nel 2018, che può far maturare un centrodestra di governo. Sta nella mani di Matteo Salvini e di Giorgia Meloni (Berlusconi le sue scelte le ha già fatte) la decisione di arrivare fino in fondo o di mantenersi in uno stato d’ambiguità che suscita timori sia in Italia sia tra i nostri alleati globali. È un’occasione anche per il nuovo centrosinistra, l’alleanza tra Pd e Movimento Cinque Stelle, per misurare quanto i due partiti abbiano un’anima e un progetto comune. Se in particolare il Movimento sia entrato finalmente nella fase della maturità. E se il mito della purezza e del ribellismo delle origini possa essere consegnato senza rimpianti nelle mani dei seguaci-di Alessandro Di Battista lasciandoli al loro destino.


Corriere della Sera, 18 febbraio 2021

Draghi: uniti per la ricostruzione Il discorso in Senato: «Il nemico comune è il virus, serve responsabilità. L’euro è irreversibile». Fiducia: 262 sì e 44) no. Non lo voleva quasi nessuno; l’hanno votato quasi tutti. Un mese fa non si trovava un senatore disposto a scommettere su Draghi; ieri l’hanno accostato a Cavour, e già che c’erano a Urbano Rattazzi, Carlo Cattaneo, Massimo D’Azeglio. «Insieme per l’amore dell’Italia». Draghi tra applausi ed emozione. L’ex capo della Bee: questa non è la sconfitta della politica La svista sul numero dei ricoverati (e Giorgetti lo corregge). La prima volta del premier al Senato: mai nella mia vita responsabilità così ampia. Sostenere questo governo significa condividere anche l’irreversibilità dell’euro. 51 minuti la durata del discorso programmatico del presidente del Consiglio Mario Draghi nell’Aula del Senato (interrotto da applausi 25 volte)


Aldo Cazzullo
Mario Draghi e i senatori si sono fronteggiati con circospezione. E stato l’incrocio tra un presidente del Consiglio che parlava per la prima volta in vita sua all’Aula, e parlamentari incerti se applaudirlo, a rischio di interromperlo, o restare a braccia conserte, a rischio di offenderlo. II risultato sono stati tanti applausetti, in particolare quando i vari partiti riconoscevano le proprie parole-chiave: così il Pd ha approvato il passaggio sull’europeismo, la Lega quello su rimpatri dei clandestini; quasi impietriti i 5 Stelle («non ha mai citato il reddito di cittadinanza»), mentre qualche senatore per non sbagliare ha applaudito tutto, anche quando Draghi stigmatizza la desertificazione del pianeta che agevola il passaggio dei virus dall’animale all’uomo. Davanti a lui, il sottosegretario Roberto Garofoli ha le orecchie sempre più divaricate dalla mascherina, per la gioia dei fotografi. Freddo polare a Palazzo: tutte le finestre aperte per frenare il contagio, sussurri preoccupati su Casini finito allo Spallanzani. Mancano pure Franceschini e Di Maio, due tra gli artefici della svolta; poi viene chiarito che Federico D’Incà, grillino che vigila sui Rapporti con il Parlamento, ha contingentato i ministri per evitare assembramenti; alcuni sono di turno il mattino altri il pomeriggio, lo stesso D’Incà e sorridente e rilassato, un mese fa doveva dare la caccia ai costruttori, adesso gli basta limitare la fronda dei suoi compagni di partito insoddisfatti. A destra del premier, Giorgetti in cravatta verde e spilla con l’Alberto da Giussano simbolo della Lega secessionista. Il sottosegretario Garofoli soffre in silenzio, ogni tanto si sfiora le orecchie indolenzite. Il discorso di Draghi è più lungo del previsto, letto da fogli pieni di caratteri fitti. I due titoli di giornata vengono fuori subito: Ricostruzione, come nel dopoguerra, con i governi di unità nazionale; «euro irreversibile», come a dire che Salvini se vuole far parte della maggioranza deve accettare questa premessa.
Timidi applausi dei senatori tipo studenti spaventati ai passaggi più accademici, come quello sul coefficiente Gini, l’indice di Disuguaglianza della Distribuzione del Reddito, purtroppo in aumento per la costernazione dei presenti. Ma si vede che il professore è preoccupato di non maltrattare gli allievi. I toni sono molto diversi dai rimproveri di Napolitano ai parlamentari che lo rieleggevano, o da Renzi che con la mano in tasca esordiva a braccio: «Auspico che sia l’ultima volta che voi senatori votate la fiducia a un governo». Al contrario, Draghi precisa che questa non è la sconfitta della politica, nessuno deve fare un passo indietro, semmai un passo avanti. E vuole mostrarsi premier a tutto tondo, non solo uomo di finanza: «Vogliamo lasciare un buon pianeta, non solo una buona moneta». Finalmente un errore, Giorgetti lo corregge, i ricoverati in terapia intensiva sono duemila non due milioni. Sollievo dei senatori con una punta di maligna soddisfazione: pure Draghi è umano. I fotografi non mollano il sottosegretario Garofoli, le cui orecchie sembrano sul punto di staccarsi.
II discorso è finito, ma la cosa non è chiara perché sull’«amore per l’Italia» al premier si è strozzata la voce per l’emozione. Nel dubbio, applausi, che crescono di intensità quando si capisce che è finita davvero. Draghi chiede timidamente: «Posso sedermi?». La presidente Casellati e la segretaria generale Elisabetta Serafin, premurose, fanno cenno di sì con la testa. Ora dovrebbe andare alla Camera per depositare il discorso, ma viene bloccato dai senatori in fila per congratularsi; in effetti deve ancora nominare i sottosegretari; gli altri si incamminano velocemente verso la buvette. Gasparri, abbastanza disgustato: «A me votare con la sinistra fa schifo, mi è piaciuta però la chiusa di Draghi sull’amor di patria». Zanda, vecchio saggio: «Qui sembra che il problema sia lo sci. Ma allora l’Ava? L’Alitalia? Le Autostrade? Si rivede il leggendario Scilipoti, entusiasta: «Finalmente uno statista!». Seguono sessantotto interventi, quasi una punizione da girone dantesco: Draghi li segue tutti, pure quelli di La Russa, Giarrusso e Quagliariello, prendendo appunti. I più bruschi sono i 5 Stelle, devono pur salvare l’anima oltre al seggio, Nicola Morra alla buvette parla di sé in terza persona come la regina Elisabetta e Maradona: «Il senatore Morra non ha ancora deciso se votare la fiducia…». Mario Monti cita uno dei passaggi di Draghi: «Dobbiamo essere più orgogliosi, più generosi verso il nostro Paese; all’estero ci giudicano meglio di quanto ci giudichiamo noi». Un’anima pietosa ha trovato al sottosegretario Garofoli una mascherina più comoda. All’ora di cena Draghi replica. Gli sistemano il microfono, «scusate devo ancora imparare» mormora, applauso di solidarietà. Torna sull’ambiente, sulla lotta alla mafia, sul turismo. Si capisce quali saranno le note su cui batterà nelle prossime settimane: la dignità nazionale — «siamo una grande potenza culturale» —, il dialogo diretto con i cittadini, cui dice di avvertire il loro dolore per «il disastro sanitario ed economico», la loro preoccupazione per il futuro. Sono arrivati Colao e la Carfagna; Giorgetti non s’è mai mosso, come Brunetta. Attesa per Salvini e la sua mascherina-ossimoro, metà tricolore metà Alberto da Giussano, retaggio dei vecchi tempi. Il leader leghista attacca l’Europa dell’austerity, provoca i grillini con i termovalorizzatoci e il ponte sullo Stretto; l’impressione è che non reggerà a lungo la coabitazione con la sinistra, lasciando la Meloni sola all’opposizione. Il premier ha esposto un programma ampio, che richiederebbe anni per riformare il fisco, la giustizia, la burocrazia; ma dice di non voler durare a ogni costo, «il tempo del potere può essere sprecato anche nell’illusione di conservarlo». E ancora: «Spesso mi sono chiesto se la mia generazione stia facendo per i nostri figli e i nostri nipoti quello che i nostri padri e i nostri nonni hanno fatto per noi, sacrificandosi oltre misura». La Bonino lo avvisa: «Non andrà sempre così come oggi, non ci prenda gusto». Balboni di Fratelli d’Italia denuncia gridando a pieni polmoni «la censura Rai che ha oscurato il nostro capogruppo Ciriani!»; in realtà la diretta è stata spostata da Raia a Rai e mentre Ciriani stava parlando, e i suoi cari non se ne sono accorti. Prendono coraggio i grillini, si iscrivono altri sette a parlare in dissensq — tra cui il mitico Ciampolillo —, altri votano no senza annunciarlo. Verranno giorni difficili, che però non cancelleranno questo giorno: a 73 anni, dice Draghi, essere chiamato da Mattarella e guidare il governo e ora ricevere una fiducia dal Senato così ampia è «la più forte emozione della mia vita».

Gian Antonio Stella
Le parole chiave (quelle utilizzate e quelle evitate) nel discorso del premier al Senato. E non è solo un gioco. L’«egoismo» da evitare e i «modelli» da cambiare per battere le «fragilità» ed essere «orgogliosi» E la guerra alla burocrazia? Macché, la canonica promessa di rovesciare la burocrazia, buttata lì da un po’ tutti i premier da decenni in qua senza mai uno sbocco reale, non c’è. Forse perché lui stesso, Mario Draghi, ha un’idea nobile della buona burocrazia, quella che nei Paesi seri fa girare la macchina degli Stati. Forse perché sa quanto le parole, da sole, possano esser vuote. Effimere. Coriandoli. I temi, quelli contano. E la credibilità di chi li prenderà finalmente di petto. Sapendo che su quelli sarà misurato.  ATTRARRE. «Benessere, autodeterminazione, legalità e sicurezza sono strettamente legati all’aumento dell’occupazione nel Mezzogiorno. Sviluppare la capacità di attrarre investimenti privati, nazionali e internazionali, è essenziale per generare reddito, creare lavoro, invertire il declino demografico…».  BUON (PIANETA) «La risposta della politica economica al cambiamento climatico e alla pandemia dovrà essere una combinazione di politiche strutturali che facilitino l’innovazione, di politiche finanziarie che facilitino l’accesso delle imprese capaci di crescere al capitale e al credito e di politiche monetarie e fiscali espansive che agevolino gli investimenti e creino domanda per le nuove attività sostenibili che sono state create. Vogliamo lasciare un buon Pianeta, non solo una buona moneta».  CONSAPEVOLEZZA «Dovremo imparare a prevenire piuttosto che a riparare, non sono dispiegando tutte le tecnologie a nostra disposizione, ma anche investendo sulla consapevolezza delle nuove generazioni che ogni azione ha una conseguenza. Come si è ripetuto più volte, avremo a disposizione circa 210 miliardi lungo un periodo di sei anni. Queste risorse dovranno essere spese puntando a migliorare il potenziale di crescita della nostra economia».  DAD «La diffusione del Covid ha pro- vocato ferite profonde nelle nostre comunità, non solo sul piano sanitario ed economico, ma anche in quello culturale ed educativo. Le ragazze e i ragazzi hanno avuto, soprattutto quelli delle scuole secondarie di secondo grado, il servizio scolastico attraverso la didattica a distanza che, pur garantendo la continuità del servizio, non può non creare disagi ed evidenziare le diseguaglianze».  EGOISMO «Esprimo davanti a voi, che siete i rappresentanti eletti degli italiani, l’auspicio che il desiderio e la necessità di costruire un futuro migliore orientino saggiamente le nostre decisioni, nella speranza che i giovani italiani che prenderanno il nostro posto, anche qui, in quest’Aula, ci ringrazino per il nostro lavoro e non abbiano di che rimproverarci per il nostro egoismo».  FRAGILITA’. «L’altra riforma che non si può procrastinare è quella della Pubblica amministrazione. Nell’emergenza l’azione amministrativa a livello centrale e nelle strutture locali e periferiche ha dimostrato capacità di resilienza e di adattamento grazie a un impegno diffuso nel lavoro a distanza e a un uso intelligente delle tecnologie a sua disposizione, ma la fragilità del sistema delle Pubbliche amministrazioni e dei servizi di interesse collettivo è tuttavia una realtà che deve essere rapidamente affrontata».  GIUSTIZIA. «Nelle raccomandazioni specifiche per Paese indirizzate all’Italia negli anni 2019 e 2020 la Commissione (…) ci esorta ad aumentare l’efficienza del sistema giudiziario civile attuando e favorendo l’applicazione dei decreti di riforma in materia di insolvenza garantendo un funzionamento più efficiente dei tribunali, favorendo lo smaltimento dell’arretrato e una migliore gestione dei carichi di lavoro, adottando norme procedurali più semplici…».  REVERSIBILITA «Sostenere questo governo significa condividere l’irreversibilità della scelta dell’euro e la prospettiva di un’Unione Europea sempre più integrata».  LAVORATORI «Il governo dovrà proteggere i lavoratori, tutti i lavoratori, ma sarebbe un errore proteggere indifferentemente tutte le attività economiche; alcune dovranno cambiare anche radicalmente e la scelta di quali attività proteggere e quali accompagnare nel cambiamento è il difficile compito che la politica economica dovrà affrontare nei prossimi mesi».  MODELLI «Alcuni modelli di crescita dovranno cambiare: ad esempio il modello di turismo, un’attività che prima della pandemia rappresentava il 14% del totale delle nostre attività economiche. Imprese e lavoratori in quel settore vanno aiutati ad uscire dal disastro creato dalla pandemia. Ma senza scordare che il turismo avrà un futuro se non dimentichiamo che esso vive della nostra capacità di preservare l’ambiente, preservare cioè almeno non sciupare città d’arte, luoghi e tradizioni che successive generazioni, attraverso molti secoli, hanno saputo preservare».  NORMALE «Non solo dobbiamo tornare rapidamente a un orario scolastico normale, anche distribuendolo su diverse fasce orarie, ma dobbiamo fare il possibile, con le modalità più adatte, per recuperare le ore di didattica in presenza perse lo scorso anno soprattutto nelle Regioni del Mezzogiorno». ORGOGLIO «Dobbiamo essere orgogliosi del contributo italiano alla crescita e allo sviluppo dell’Unione Europea. Senza l’Italia non c’è l’Europa, ma fuori dall’Europa c’è meno Italia. Non c’è sovranità nella solitudine».  POVERI «I dati dei centri di ascolto Caritas, che confrontano il periodo maggio-settembre del 2019 con lo stesso periodo del 2020, mostrano che da un anno all’altro l’incidenza dei nuovi poveri passa dal 31 al 45 per cento. Quasi una persona su due che oggi si rivolge alla Caritas lo fa per la prima volta».  QUOTE ROSA «L’Italia oggi presenta uno dei peggiori gap salariali tra generi in Europa, oltre una cronica scarsità di donne in posizioni manageriali di rilievo. Una vera parità di genere non significa un farisaico rispetto di quote rosa richieste dalla legge, richiede che siano garantite parità di condizioni competitive tra genero>.  RIFORME «Una riforma fiscale segna, in ogni Paese, un passaggio decisivo: indica priorità; dà certezze; offre opportunità. E l’architrave della politica di bilancio. In questa prospettiva va studiata una revisione profonda dell’Irpef, con il duplice obiettivo di semplificare e razionalizzare la struttura del prelievo, riducendo gradualmente il carico fiscale e preservando la progressività».  SQUILIBRI «Il nostro sistema di sicurezza sociale è squilibrato, non proteggendo a sufficienza i cittadini con impieghi a tempo determinato e i lavoratori autonomi. Le previsioni pubblicate la scorsa settimana dalla Commissione europea indicano che, sebbene nel 2020 la recessione europea sia stata meno grave di quanto ci si aspettasse (quindi già fra poco più di un anno si dovrebbero recuperare i livelli di attività economica pre-pandemia), in Italia questo non accadrà prima della fine del 2022».  TORTO «Spesso mi sono chiesto se noi, e mi riferisco prima di tutto alla mia generazione, abbiamo fatto e stiamo facendo per loro tutto quello che nostri nonni e padri fecero per noi, sacrificandosi oltremisura. (…) È una domanda che non possiamo eludere quando aumentiamo il nostro debito pubblico senza aver speso e investito al meglio risorse che sono sempre scarse. Ogni spreco oggi è un torto che facciamo alle prossime generazioni, una sottrazione dei loro diritti».  USCIREMO «Quando usciremo, e usciremo, dalla pandemia, che mondo troveremo? Alcuni pensano che la tragedia nella quale abbiamo vissuto per più di dodici mesi sia stata simile a una lunga interruzione di corrente: prima o poi la luce ritorna e tutto ricomincia come prima. La scienza ma semplicemente il buon senso suggeriscono che potrebbe non essere così».  VISIONE «Negli anni recenti i nostri tentativi di riformare il Paese non sono stati del tutto assenti, ma i loro effetti concreti sono stati limitati. II problema sta forse nel modo in cui spesso abbiamo disegnato le riforme, con interventi parziali, dettati dall’urgenza del momento, senza una visione a tutto campo, che richiede tempo e competenza». ERO «Non basterà elencare progetti che si vogliono completare nei prossimi anni. Dovremo dire dove vogliamo arrivare nel 2026 e a cosa puntiamo per il 2030 e il 2050, anno in cui l’Unione Europea intende arrivare a zero emissioni».

La Repubblica, 18 febbraio 2021 – Il pensiero e l’azione Maurizio Molinari

Una ricetta di pensiero e azione per ricostruire l’Italia a colpi di riforme, contribuendo a rendere l’Europa più forte e coesa sul palcoscenico globale: è questa la sfida che il presidente del Consiglio, Mario Draghi, ha indicato alla nazione e che ora dovrà vincere superando le resistenze della burocrazia nello Stato come degli ultimi populisti e sovranisti in Parlamento. Il pensiero per Draghi è racchiuso nello «spinto repubblicano» con cui definisce il proprio governo. «Siamo cittadini di un Paese che ci chiede di fare tutto il possibile, senza perdere tempo, per combattere pandemia e crisi economica» dice dal podio di Palazzo Madama, richiamandosi ad un senso del dovere verso la nazione che evoca l’approccio mazziniano alla cittadinanza del giovane Stato Unitario.
Per essere italiani non basta chiedere il rispetto dei propri diritti, bisogna sentire il dovere di esserne cittadini” sosteneva Giuseppe Mazzini nel volume I doveri dell’uomo, pubblicato nel 1860. Allora l’azione era l’unificazione della nazione, oggi è racchiusa nelle riforme che non possono più attendere. Perché, come dice Draghi citando Camillo Benso conte di Cavour, abile tessitore dell’Unità, «le riforme compiute a tempo invece di indebolire l’autorità, la rafforzano». Il richiamo ai valori risorgimentali serve a Draghi per indicare l’urgenza delle scelte che incombono. L’intento è una “Nuova Ricostruzione” che si propone di battere pandemia e recessione con riforme – su fisco, giustizia e pubblica amministrazione – capaci di modernizzare il Paese sostituendo le diseguaglianze con le opportunità, la burocrazia con la crescita e il cinismo con il coraggio di osare. La priorità strategica è «proteggere tutti i lavoratori» con una raffica di misure economiche e sociali che vanno dalla scuola all’ambiente, dalla formazione all’innovazione. Ogni riga del discorso di Draghi contiene almeno una notizia, un numero, un indizio sulla ferrea determinazione a rompere i lacci del Novecento che imprigionano la crescita del nostro Paese tenendo sempre come riferimento la cornice europea e atlantica entro cui operare. Da qui la scelta di riferirsi al Recovery Plan con il termine “Next Generation EU”, usato In tutti i maggiori Paesi europei, al fine di adoperare i circa 210 miliardi in arrivo nei prossimi sei anni per migliorare il potenziale di crescita della nostra economia nel medio e lungo termine: armonizzando crescita ed ambiente seguendo il tracciato “Green and Blue” che distingue l’Agenda Verde della Commissione Ue. Il tutto grazie ad una governance che affida al ministero dell’Economia – come fatto dagli altri Paesi Ue – e non a Palazzo Chigi come aveva immaginato di fare il predecessore Giuseppe Conte. Ma non è tutto perché l’idea della conciliazione fra difesa dell’ambiente, progresso e benessere sociale porta Draghi a citare papa Francesco indicando nella ricostruzione eco-sostenibile una ricetta, non solo economica, capace di diventare un punto di incontro fra laici e cattolici, altro valore fondante della Costituzione repubblicana. Se a tutto ciò sommiamo il richiamo all’Italia «fondatrice dell’Ue e protagonista dell’Alleanza» non è difficile dedurre che a Bruxelles e Washington le parole di Draghi siano state accolte con grande rassicurazione, perché preannunciano la volontà dell’Italia di tornare protagonista in Occidente, nella comunità delle democrazie. A cominciare dalla presidenza di turno del G20 sui temi globali. Come peraltro si evince dalla scelta di Draghi di sottolineare la «preoccupazione» per la violazione dei diritti umani in Russia e le tensioni innescate dalle iniziative cinesi in Asia.
Resta tuttavia da vedere se Draghi riuscirà nell’impresa epocale che lo attende. Le difficoltà non potrebbero essere più grandi: dai vaccini che scarseggiano in Europa al tempo limitato per approvare il Recovery Plan, dalle resistenze di una burocrazia trasversale all’avversione strategica di chi negli ultimi anni ha investito tempo e risorse per gettare la nazione nello scompiglio. Ma, a ben vedere, le insidie maggiori si annidano nello stesso Parlamento che si appresta ad assicurargli una fiducia record. il motivo è che la maggioranza di deputati e senatori sono stati eletti, nel marzo 2018, in forze populiste – il Movimento Cinque Stelle – e sovraniste – la Lega – che all’epoca si battevano per idee e valori opposti a quelli che oggi distinguono «lo spirito repubblicano» del governo Draghi. Svolte politiche e cambiamenti drammatici intervenuti da allora hanno portato all’evento senza precedenti in Europa di un Parlamento in gran parte anti-europeista che sostiene il premier più europeista di sempre. Ma è un equilibrio per definizione precario, che dovrà essere consolidato ogni singolo giorno a colpi di riforme e difeso a denti stretti: dalle pulsioni populiste che ancora albergano fra i grillini e dalle provocazioni sovraniste che continuano ad arrivare dai leghisti. Perché l’Italia resta un laboratorio unico del populismo europeo: prima ne ha sperimentato il traumatico successo con i gialloverdi del Conte I, poi ne ha testato la possibile trasformazione con i giallorossi del Conte II ed ora sta provando a dimostrare di potersene liberare con l’esecutivo Draghi di emergenza nazionale. Reso possibile dalla scelta del Capo dello Stato, Sergio Mattarella, di rispondere al momento della crisi più difficile con un richiamo all’unità del Paese intero.

La Repubblica, 18 febbraio 2021 – Un’Italia per i nostri figli – “Unità e Ricostruzione”. Draghi il marziano conquista la politica La fiducia a Palazzo Madama: 262 sì, 40 no, 2 astenuti. Strappo nei 5S

Francesco Bei
La Ricostruzione Dobbiamo fare No ai sovranisti. La scelta dell’euro per i giovani i sacrifici che i nonni e è irreversibile. Condividere il destino i padri hanno fatto per darci un futuro dell’Europa significa essere più italiani
E’ il mercoledì delle ceneri e la politica, con poche eccezioni, inizia la sua quaresima. Digiuno dalle smargiassate, dalle battute da scuola media, dai cartelli, dalle magliette per acciuffare un fotogramma di notorietà. Zero, tutto finito. Sale in cattedra il «professor Draghi», come lo chiama la presidente Casellati, e almeno per un giorno è come se il Senato si ricordasse di essere un istituzione e non II solito circo. Finirà con 262 sì (non un record), 40 no e 2 astenuti. E l’esplosione dei grillini. Le parole chiave del discorso, più lungo (52 minuti) di quanto gli osservatori avevano pronosticato, sono del resto alte e dense e ci vuole poco a fare la figura dei fessi di fronte a un uomo che si presenta invocando una «Nuova Ricostruzione» – in maiuscolo nel discorso scritto – come quella dopo la seconda guerra mondiale, che si richiama al «dovere dell’unità» delle forze politiche e allo «spirito repubblicano» che sarà l’anima del suo governo. Poi conta anche che tutto questo silenzio aveva alimentato quasi una leggenda nera sul personaggio che, al contrario, appare umano e fallace. Rassicurante quasi. «Scusate, devo ancora imparare…», dice impacciato nella replica serale mentre armeggia con il microfono. Anche la mattina, standing ovation al termine dell’intervento, Draghi però non sa bene che fare. Mi siedo, resto in piedi? Come un catechista alla prima messa, chiede allora al vicino di banco: «Mi dite voi quando posso sedermi?». Si aspettavano il banchiere della congiura massonico-plutocratica, che animava la narrazione distopica dei grillini delle origini, e si ritrovano uno che li spiazza con una citazione del Papa Francesco più ambientalista: «Siamo stati noi a rovinare l’opera del Signore». E ancora, frase da titolo: «Vogliamo lasciare un buon pianeta, non solo una buona moneta». Gianluigi Paragone, che si è inventato un movimento Italexit, lo chiama «incappucciato della finanza»; gli va dietro su questo spartito Elio Lannutti, quello dei protocolli dei Savi di Sion. Sono gli apoti, quelli che non se la bevono. Grillini disillusi e arrabbiati, che se ne sono già andati o se ne andranno. Draghi è emozionato ma resta freddo, la voce sembra tradirlo solo nell’invocazione finale all’amore «per l’Italia». Lo confessa: «In questi giorni ho provato la più forte emozione della mia vita». Sarebbe strano il contrario, ma detto da lui fa comunque effetto. E dispone all’ascolto. Mario Monti, all’inizio della sua esperienza da premier, era stato sferzante con i senatori. Se hanno chiamato me è perché il compito è difficilissimo. Draghi, al contrario, li pettina per il verso giusto. «Questo governo si è reso necessario per il fallimento della politica? Non sono d’accordo. Nessuno fa un passo indietro rispetto alla propria identità». Governo tecnico o politico dunque? «Il nostro è semplicemente il governo del Paese». Applausi un po’ da tutti. È proprio il bilancino degli applausi il metro più utile per capire quanto il “professor Draghi” abbia calibrato ogni messaggio del suo discorso. La Lega lo applaude quando chiede venia per aver chiuso gli impianti di sci senza preavviso: «Ci impegniamo a informare i cittadini con sufficiente anticipo di ogni cambiamento delle regole». Applaude anche il passaggio sulla «costruzione di una politica europea dei rimpatri dei non aventi diritto alla protezione internazionale». Ma per il resto, per quasi tutto il resto, nessuno sconto per Salvini e i suoi. Proprio al leader leghista, pur senza nominarlo, Draghi riserva le uniche scudisciate polemiche di tutto l’intervento: «Sostenere questo governo significa condividere l’irreversibilità della scelta dell'euro». E uno. «Gli Stati nazionali rimangono il riferimento dei nostri cittadini, ma 18 nelle aree definite dalla loro debolezza cedono sovranità nazionale per acquistare sovranità condivisa». E due. «Senza l'Italia non c'è l'Europa. Ma fuori dall'Europa c'è meno Italia. Non c'è sovranità nella solitudine». Salvini abbassa lo sguardo e traffica con il cellulare. Alle dieci di sera risponderà in aula ma senza esagerare: «L'Europa è casa nostra. Però non l'Europa dell'austerità, dei vincoli di bilancio». E se Draghi aveva parlato mezz'ora di ambiente, il capo del Carroccio fa il guastafeste con uno slogan da comiziaccio: «Non ci accomodiamo nell'ambientalismo da salotto». Sistemati sovranisti e affini, bisogna spiegare per bene cosa farà il governo. «Farà le riforme ma affronterà anche l'emergenza», senza aspettare. La citazione e del conte di Cavour, Camillo Benso: «Le riforme compiute a tempo, invece di indebolire l'autorità del governo, la rafforzano». Curioso, le uniche due frasi riportate sono di Cavour e del Papa, cioè all'epoca il diavolo e l'acqua santa (per dire: Pio IX sospese a divinis il prete che aveva osato assolvere Cavour in punto di morte). L'unità nazionale pure nelle citazioni. L'analisi dello stato del Paese dopo la pandemia è molto sociale, dicono abbia contribuito Enrico Giovannini, ministro e fondatore dell'Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile. I morti sono tanti, l'aspettativa di vita «è diminuita fino a 4-5 anni nelle zone di maggior contagio». In terapia intensiva ci sono duemila pazienti (Draghi - proprio lui! - si impiccia con i numeri, dice «due milioni», poi «due milioni e duemila», alla fine Giorgetti suggerisce la cifra giusta: «duemila»). Insomma là fuori è ancora tostissima. E quello che preoccupa ora sono le conseguenze della crisi sanitaria che diventa sociale, Si è detto che questo governo è stato reso necessario dal fallimento della politica. Mi sia consentito di non essere d'accordo «con rilevanti impatti sull'occupazione, specialmente quella dei giovani e delle donne. Un fenomeno destinato ad aggravarsi quando verrà meno il divieto di licenziamento». Draghi cita i dati della Caritas: dal 2019 al 2020 i nuovi poveri sono passati dal 31 al 45%. Uno su due di quelli che chiede aiuto lo fa perla prima volta. Aumenta la disuguaglianza e 11 coefficiente di Gini (momento di panico tra i senatori, boom di ricerche su Google), ovvero l'indice delle differenze nella distribuzione del reddito è aumentato di 4 punti percentuali. Il resto del discorso è una panoramica sulle riforme in arrivo, con molte conferme - Pubblica amministrazione, giustizia civile, politi• che attive del lavoro, una riforma del fisco che abbassi le tasse all'insegna della «progressività» (bye bye flat tax) - e alcune evidentissime "dimenticanze". Non dice nulla ad esempio sulla giustizia penale, vera croce dei due governi Conte (con la prescrizione ancora ferita aperta). Poche parole sulle mafie. Non cita il Mes. Tanto che sui social parte un treno di sfottò contro Renzi che ne aveva fatto uno dei leitmotiv di critica a Conte. La risposta del capogruppo renziano Davide Faraone è spiazzante: «Non lo chiediamo più perché il nostro Mes è lei, presidente Draghi». La governance del Recovery Plan - chi non ricorda i 300 manager partoriti in una notte da Conte? - sparisce in una riga. Draghi comunica che se ne occuperà il ministero dell'Economia. E stop. Sulla politica estera altro interessante applausometro. Atlantismo: applaudono Lega, Pd e Italia viva, i grillini freddini. Critiche a Cina e Russia: Lega e Cinque Stelle restano fermi, il Pd si scalda. Sul premier uscente Draghi si mostra cavalleresco, lo ringrazia per aver guidato il Paese in una emergenza sanitaria ed economica «come mai era accaduto dall'Unità d'Italia». I grillini si alzano in piedi, da Fratelli d'Italia arrivano gli unici «buuu». 19 La Repubblica, 18 febbraio 2021 Conte, le alchimie e l’intergruppo Stefano Folli Nessuno fa un passo indietro rispetto alla propria identità» dice Mario Draghi in Senato: «semmai ne fa uno in avanti» aggiunge, alludendo alla necessità chele forze politiche approfittino di questa fase di tregua e di unità per rigenerarsi e ritrovare il rapporto con la società, «con i problemi veri delle famiglie e delle imprese». Che questo avvenga è non solo opportuno, ma indispensabile: è evidente che il tessuto parlamentare su cui si regge il governo tecnico-politico è fragile. La stagnazione dei partiti può solo peggiorare il quadro, mentre una spinta riformatrice che nasca dallo sforzo consapevole e congiunto di esecutivo e correnti politiche - ognuna con la propria sensibilità - può rafforzare entrambi. E qui la citazione di Cavour, un nome che da anni non risuonava più in Parlamento, equivale all'invito a risalire la china contro la rassegnazione e il declino. Fino a intercettare lo «spirito repubblicano», lo stesso che animò la rinascita post bellica e che deve presiedere a un'altra ricostruzione. Vedremo come saranno declinate tali "identità" nei prossimi tempi, se e come avverrà la rigenerazione del dibattito pubblico: un processo che per essere credibile deve riguardare l'intero arco politico. Cerchiamo di verificarlo cominciando oggi dai gruppi che hanno sostenuto Giuseppe Conte fino a pochi giorni fa: quel fronte Pd-5S-LeU che ha, sì, applaudito Draghi, ma non senza una certa dose di manierismo. Rispetto a un presidente del Consiglio che chiede di ragionare sui contenuti, cioè sulle cose da fare e sulle idee da offrire, si avverte la tendenza a preoccuparsi dello schieramento. Draghi, riecheggiando Mattarella, presenta un governo che sfugge alle "alchimie politiche", ma il Pd e i Cinquestelle (più la sinistra di LeU) gli hanno già risposto creando tra loro un "intergruppo" al Senato. Ufficialmente per contrastare il peso della destra, ma è difficile non vedere l'ambiguità dell'iniziativa. Di alchimia c'è n'è parecchia, mentre il rinnovamento dell'identità è ancora da scoprire. Specie per quanto riguarda il Pd che dovrà confermare con i fatti le intenzioni espresse dal segretario Zingaretti nell'intervento su Repubblica. Al momento si allarga il fossato con il centrismo renziano, mentre prevale l'intreccio con i Cinquestelle: quasi una fusione che si risolve però in una sorte di egemonia politica e culturale di questi ultimi. E che sembra funzionale ad alzare una barriera difensiva nel passaggio cruciale delle amministrative di primavera. Il risultato nelle città, e soprattutto a Roma - dove sembra che si candiderà Gualtieri, determinerà il futuro dell'area che ha governato con il Conte II e che aveva eletto il premier a naturale punto di equilibrio di quell'alleanza (per certi aspetti, quasi un partito unico). Del resto, il primo a congratularsi per l'intergruppo è stato l'avvocato del popolo, e con ragione dal suo punto di vista. Conte resta pur sempre l'anti-Draghi, al di là delle cortesie formali, e ha legato il suo futuro all'intesa strategica Pd-5S-LeU: con ciò riproponendo l'eredità del suo governo come base e cemento del nuovo blocco. La contraddizione con l'invito di Draghi al nuovo slancio riformatore è palese. Ma si pone soprattutto - osi porrà tra breve - un'altra contraddizione: quella tra il programma di Draghi, destinato a prevedere «sacrifici per tutti», e la ricerca del consenso a ogni costo tipica di Conte o comunque del fronte che lo ha sostenuto. Non a caso i riformisti vivono questa vicenda come una sconfitta. 20 Corriere della Sera, 18 febbraio 2021 Un governo tecnico unico per la prospettiva di durata L'orizzonte temporale dell'esecutivo Draghi potrebbe raggiungere ventisei mesi, se si escludono elezioni anticipate (Ciampi, Dini e Monti non hanno superato i diciassette mesi. Comunque la democrazia parlamentare non può prescindere dall'atto fondamentale del voto Valerio Onida Il governo Draghi non è il primo ad essere presieduto da una personalità non eletta in Parlamento: lo hanno preceduto i governi Ciampi nel 1993-94, Dini ne11995-96, Monti (che era senatore, ma non eletto, bensì nominato a vita) dal 2011 al 2o13, e da Conte in questa legislatura. Ma i governi «tecnico-politici» di tregua con caratteristiche analoghe a quelle odierne sono stati soprattutto quelli presieduti da Ciampi e da Monti. II governo Dini infatti ebbe origine politica nel primo governo Berlusconi e il suo protagonista fu successivamente coinvolto nel confronto fra le forze politiche del centrodestra nascente e del centrosinistra in ristrutturazione. I due governi Conte sono stati presieduti da un esponente «neutrale» fra le forze alleate ma in un contesto caratterizzato soprattutto da nuovi rapporti di alleanza tra i partiti nel Parlamento eletto nel 2018. In realtà la stessa qualifica di «governo tecnico» è discutibile, in presenza di una compagine presieduta certo da un «tecnico» dell'economia di grande rilievo, ma che, al di là delle sue origini in Banca d'Italia (come nel caso di Ciampi), ha svolto un ruolo, come presidente della Bce, altamente «politico» nell'attuale contesto istituzionale dell'Unione europea. Anche le esperienze del governo Monti e del governo Draghi non sono però assimilabili fra loro, per il contesto politico in cui è avvenuta la nomina e per il tipo di problematica che essi sono stati chiamati ad affrontare. Ciampi, riconosciuto come tecnico di altissimo livello, ebbe l'appoggio dell'ultima maggioranza politica della cosiddetta Prima Repubblica, composta da Democrazia cristiana, Partito socialista e partiti minori del centro (e per un solo giorno, fino alle dimissioni di tre ministri, dal nuovo partito succeduto al Pd), in un Parlamento in cui tale coalizione raggiungeva a stento la maggioranza e in cui nuove proposte politiche (come la Lega di Bossi) si affacciavano alla ribalta, mentre le inchieste giudiziarie di «Mani pulite» concorrevano a distruggere vecchi partiti e si andava verso il referendum che ha imposto una svolta in materia di legge elettorale. Il governo guidato da Ciampi raccoglieva numerosi esponenti non solo di partito: basti ricordare che ne facevano parte ben sei giuristi molto noti che erano stati o sarebbero divenuti in seguito giudici della Corte costituzionale (Leopoldo Elia, Livio Paladin, Giovanni Conso, Fernanda Contri, Franco Gallo, Sabino Cassese, oltre che — per un solo giorno — Augusto Barbera) e altre personalità di grande spicco come, fra gli altri, gli economisti Nino Andreatta e Luigi Spaventa e il costituzionalista Paolo Barile. Anche il governo Monti rispondeva all'idea del governo tecnico e di tregua, essendo sopravvenuto dopo la caduta della prima maggioranza della Seconda Repubblica, espressa dai primi governi Berlusconi. Ma la sua fisionomia era prevalentemente segnata dai problemi del risanamento del bilancio sotto l'incombere dei vincoli europei: si trattava non tanto o non solo di spendere meglio, quanto di perseguire un migliore equilibrio finanziario, anche attraverso misure di contenimento della spesa: e infatti le sue maggiori realizzazioni furono la riforma costituzionale del 2012 sul cosiddetto pareggio di Bilancio e la riforma del lavoro e delle pensioni che va sotto il nome della legge Fornero. 21 La prospettiva del nuovo governo Proprio il contrario, si direbbe, di quella che appare oggi la prospettiva del nuovo governo. Questo infatti è chiamato, oltre che a guidare in modo efficace la lotta alla pandemia (obiettivo in un certo senso squisitamente anche se non esclusivamente «tecnico»), a programmare e iniziare a realizzare nuovi piani di intervento e di spesa, soprattutto di investimento, con obiettivi di lungo termine, fruendo dei nuovi finanziamenti europei. Questi dovranno rispondere a nuovi criteri di indirizzo della spesa pubblica (non solo di investimento) e di indirizzo delle politiche pubbliche nel campo economico ma anche nel campo sociale, ambientale e della giustizia. Senza dire dell'urgenza di un valido contributo italiano a nuove e lungimiranti politiche comuni, non nazionalistiche ma europee e internazionali, in un mondo sempre più interdipendente (si pensi, fra l'altro, alle politiche migratorie e della solidarietà internazionale). E immaginabile che queste prospettive suscitino nelle diverse forze politiche un acuto interesse a determinare indirizzi di governo U più possibile conformi ai rispettivi obiettivi di fondo, presumibilmente assai differenziati. L'«unità nazionale» passa senz'altro attraverso l'abbandono o almeno la doverosa e salutare riduzione delle più violente e strumentali contrapposizioni polemiche, ma non può abolire le differenze di ideali e di programmi che caratterizzano la politica nel lungo termine. Così pure ci aspetteremmo che si affrontassero problemi istituzionali e di metodo, da tempo incancreniti, nell'attività di governo e nei processi legislativi e amministrativi (come l'abuso della decretazione d'urgenza o certi eccessi di burocrazia e di centralismo). C'è infine un ulteriore elemento che differenzia il nascente governo da quelli «tecnici» del passato: la prospettiva di durata. Nessuno dei precedenti governi «tecnici» è restato in carica tanto quanto i diciassette mesi del governo Monti. Ora, l'orizzonte temporale potenziale del governo oggi formatosi potrebbe raggiungere, se si escludono elezioni anticipate, i ventisei mesi. Ma il punto è se questo governo «di tutti» (o quasi) vorrà e potrà darsi una prospettiva così lunga, o se, invece, si guarderà a elezioni anticipate, magari subito dopo varcato il confine del semestre bianco e della elezione del prossimo capo dello Stato (prevista subito dopo la fine di gennaio del 2022). È evidente che, se si guarda al tempo presumibilmente necessario per cominciare a perseguire gli obiettivi di lungo termine che il nuovo governo si propone, ventisei mesi sono anche pochi. Il punto è se, in presenza di una maggioranza «di tregua» ma che persegua anche obiettivi di lungo termine, l'assetto politico del Paese resterà quello attuale, o si confermeranno e si svilupperanno nuove proposte politiche, alleanze e maggioranze. Questi processi richiedono uno sbocco elettorale, posto che la democrazia parlamentare non può prescindere dall'atto fondamentale del voto, che sottoponga a verifica i processi di evoluzione del sistema politico e il livello del consenso intorno a essi. In questo senso non hanno torto coloro che invocano il voto anticipato il più presto possibile, compatibilmente con le urgenze del provvedere. 22 La Repubblica, 18 febbraio 2021 Lo Stato sì, ma non solo Carlo Cottarelli L’emozione del nuovo presidente del Consiglio ieri al Senato, da lui stesso dichiarata, traspare in diverse parti del suo discorso di richiesta di fiducia campito non è facile: far uscire il Paese dalla crisi. Il mezzo è chiaro: l'unità di intenti, non un'opzione, ma un dovere. La motivazione è nobile: l'amore per il nostro Paese. II discorso ha toccato i principali temi politici interni e internazionali. Nel seguito mi limito alla fondamentale questione di come sarà rivisto il nuovo Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr), su cui è caduto il precedente governo. Draghi ha chiarito il tracciato per il completamento entro aprile del Pnrr. Il Pnrr non sarà riscritto completamente e rimandato al Parlamento. Il governo rafforzerà invece il piano precedente alla luce dei commenti ricevuti durante la discussione parlamentare in corso. Draghi ha detto che si tratterà, soprattutto, di rafforzare il Pnrr in termini di obiettivi strategici e di riforme. Ma dietro questa apparente continuità esistono importanti differenze. Quella principale è di aver chiarito fin dall'inizio quale debba essere il ruolo dello Stato e il perimetro dei suoi interventi nell'economia. «Compito dello Stato è utilizzare le leve della spesa perla ricerca e sviluppo, dell'istruzione e della formazione, della regolamentazione, dell'incentivazione e della tassazione». Il precedente Pnrr non chiariva esplicitamente la questione, ma sembrava orientato verso una maggiore presenza dello Stato nella gestione economica a partire dalla dimensione e dal ruolo previsto per gli investimenti pubblici. A questi il discorso di Draghi dedica meno di 10 righe. Lo Stato è comunque visto svolgere un ruolo essenziale: quello di creare le condizioni per la crescita. È significativo, in proposito, quanto Draghi ha detto su quel che serve per ridurre le diseguaglianze territoriali e di genere. Al Mezzogiorno serve la «capacità di attrarre investimenti privati». Questo potrà anche richiedere investimenti pubblici, ma questi saranno utili solo irrobustendo le amministrazioni pubbliche che li gestiscono e creando «un ambiente dove legalità e sicurezza siano sempre garantite». E sulla parità di genere non si punta sul «farisaico rispetto di quote rosa», ma sul creare «parità di condizioni competitive tra generi». Insomma occorre dare opportunità alle donne, per esempio attraverso «eguale accesso alla formazione» e «un sistema di welfare che permetta ... di dedicare alla loro carriera le stesse energie dei loro colleghi uomini». Le riforme necessarie per la crescita si inseriranno in questo approccio strategico. Quattro commenti in proposito.  Primo, il precedente Pnrr trascurava completamente la riforma del regime di concorrenza, che è ora invece tra le prime citate.  Secondo, viene posta al centro della strategia di crescita la riforma del fisco, cosa del tutto appropriata, compreso la centralità della lotta all'evasione. Ma, nello sperare che si facciano significativi passi avanti in quest'area, occorre contare sull'abilità politica di Draghi nel riconciliare posizioni in materia a prima vista irriconciliabili come quella della Lega e del Pd.  Terzo, ho più volte sottolineato come gli investimenti pubblici e privati siano frenati dalla lentezza della nostra pubblica amministrazione (compreso nel comparto giustizia). L'enfasi data all'importanza della riforma della pubblica amministrazione è quindi del tutto appropriata. Resto però dubbioso che tale riforma possa essere basata solo sulle due direttrici menzionate: investimenti in connettività e formazione. Serve anche una gestione più moderna e manageriale degli uffici pubblici, basata sulla definizione di chiari obiettivi, premi e responsabilità, anche politiche, per il loro raggiungimento, come fatto, per esempio, coni Public Service Agreements introdotti alla fine degli anni '90 dal governo Blair nel Regno Unito (la cui introduzione fu tentata in Italia una decina di anni fa, ma fallita In pratica).  Il quarto punto riguarda un'omissione, l'unica che ho trovato, ma che mi sembra importante: il nostro paese ha un disperato bisogno di una massiccia semplificazione burocratica (normativa e regolamentare), conditio sine qua non per attirare investimenti privati in quantità adeguata. Alla semplificazione Draghi ha fatto solo pochi cenni. 23 Il Sole 24 ore, 18 febbraio 29021 Bonomi: «Apprezziamo la visione internazionale e l’appello all'unità» «Una proroga generale del blocco dei licenziamenti sarebbe un segnale sbagliato» Nicoletta Picchio «Grande soddisfazione» per la visione internazionale ed europeista, con «l'irreversibilità dell'euro». L’ augurio che i partiti «condividano e sostengano il forte appello all'unità», lanciato dal presidente del Consiglio, un «dovere anteposto alle appartenenze politiche». E poi l'apprezzamento e la condivisione di alcune affermazioni di Mario Draghi sulle questioni economiche: evitare un «nuovo cattivo debito, ulteriore e grave furto alle generazioni future»; la «ferma volontà» di realizzare una riforma organica del fisco, puntare ad una maggiore concorrenza; il coinvolgimento dei privati nel piano vaccinale. A tutte queste considerazioni Carlo Bonomi aggiunge un appello: non protrarre il blocco generale dei licenziamenti. «Sarebbe un invito alle imprese a rinviare ulteriormente riorganizzazioni, investimenti e assunzioni, un segnale decisamente sbagliato», mentre vanno avviate subito le riforme degli ammortizzatori sociali e delle politiche attive, coinvolgendo i privati. «Ora è il momento di agire, per rendere davvero concreto l'impegno a non lasciare indietro nessuno», sono le ultime parole della lunga dichiarazione con cui il presidente di Confindustria ha commentato il discorso del premier al Senato. Una sintonia emersa già la scorsa settimana, dopo l'incontro che Bonomi ha avuto con Draghi alla Camera, prima che sciogliesse la riserva. II presidente del Consiglio nella prima parte del discorso ha sottolineato la responsabilità nazionale, l'appartenenza all'euro, il ruolo dell'Italia come paese fondatore della Ue e protagonista dell'Alleanza atlantica. Bonomi proprio nelle prime parole del suo commento ha apprezzato questa visione del paese: «la necessità di essere protagonisti in una Ce sempre più integrata, l'alleanza atlantica, il multilateralismo nei rapporti commerciali». L'appello all'unità, che Draghi ha lanciato ai partiti «è un dovere anteposto alle appartenenze politiche, la svolta che serve per affrontare la pandemia e rilanciare un paese che non cresce da molti anni e che oggi affronta nuove immense difficoltà». Bene per Bonomi una riforma del fisco complessiva, «non una tassa alla volta» che coniughi «progressività con incentivi, senza ostacolare la crescita del paese». E poi la concorrenza: per Bonomi ci sono troppe aree del paese in cui non viene applicata. «Senza, l'apporto positivo della produttività ad opera della sola industria e manifattura non bastano alla crescita italiana». Sui vaccini il presidente di Confindustria ha apprezzato l'apertura ai privati, per aumentare la copertura della popolazione, e il richiamo a «mutuare l'esperienza dei paesi che si sono mossi con maggiore efficienza ed efficacia su questo fronte. Nel recente passato queste due nostre richieste sono state ignorate». Sul Piano nazionale di ripresa e resilienza «alla cui presentazione mancano solo 8 settimane» Bonomi ha preso atto che il governo si riserva di rivederlo solo dopo che il Parlamento si sarà espresso sulla bozza del precedente esecutivo. Ha insistito molto, invece, sui licenziamenti: Bonomi non vuole assistere ad un prolungamento del blocco generale “per prendere tempo, che sarebbe un segnale sbagliato”. Carlo Bonomi, II presidente di Confindustria ha espresso «grande soddisfazione» per la visione internazionale del presidente del consiglio Mario Draghi. E ha chiesto alle forze politiche di accogliere l'appello all'unità ad un prolungamento del blocco generale «per prendere tempo. Un segnale sbagliato». Invece bisogna avviare subito il confronto sulla riforma degli ammortizzatori sociali, tenendo conto della complessità del sistema produttivo, e su quella delle politiche attive del lavoro, coinvolgendo i privati. Entrambe, ha concluso il presidente di Confindustria, «sono volte alla formazione e alla rioccupabilità dei lavoratori, cosa che non avviene con le Cig e i Centri Pubblici per l'impiego». La posizione. Nodo licenziamenti - Bonomi ha chiesto di non protrarre il blocco generale dei licenziamenti. «Sarebbe un invito alle imprese a rinviare ulteriormente riorganiz727ioni, investimenti e assunzioni», mentre vanno avviate subito le riforme degli ammortizzatori sociali e delle politiche attive, coinvolgendo i privati II Recovery Plan Sul Recovery - Bonomi ha preso atto che il governo si riserva di rivederlo dopo che il Parlamento si sarà espresso sulla bozza del precedente esecutivo. L'economia – Bonomi ha apprezzato alcune affermazioni di Mario Draghi: evitare un «nuovo cattivo debito, ulteriore e grave furto alle generazioni future»; la «ferma volontà» di realizzare una riforma organica del fisco, puntare ad una maggiore concorrenza; il coinvolgimento dei privati nel piano vaccinale «Bene il coinvolgimento dei privati nel piano vaccini e una riforma organica del fisco». 24 Il Sole 24 ore, 18 febbraio 29021 Risolta la regia del Recovery Plan Italiano. Sarà il ministro dell'Economia a gestirlo 210 miliardi. Sono i fondi (in euro) del piano europeo. - Il Piano dl ripresa. La nuova versione arriverà dopo il parere parlamentare: rafforzate le riforme «Non basta un elenco di progetti, dovremo dire dove vogliamo arrivare nel 2026, 2030 e 2050» - Paolo Gentiloni. Al momento «siamo perfettamente in grado di rispettare i tempi di consegna formale» del Recovery Plan entro la fine di aprile: ora però «ci vuole un impegno straordinario perché abbiamo perso parecchio tempo con la crisi». Così il commissario Ue Giorgio Santilli - Gianni Trovati A Mario Draghi sono bastate poche parole per chiudere il dilemma del Recovery Plan che ha mandato a picco dopo settimane di tensioni il governo Conte-2. «La governance del Programma di ripresa e resilienza - ha detto - è incardinata nel ministero dell'Economia con la strettissima collaborazione dei ministeri competenti che definiscono le politiche e i progetti di settore. Il Parlamento - ha aggiunto - verrà costantemente informato sia sull'impianto complessivo, sia sulle politiche di settore». In queste parole prende forma quella "prima linea" tecnica che rappresenterà il cuore del nuovo governo. In un rapporto stretto con il Parlamento, però, snodo su cui Draghi ha chiarito un altro aspetto fondamentale, quello dell'iter che intende seguire: il nuovo piano messo a punto dal suo governo arriverà dopo il parere delle Camere sulla bozza preparata da Conte e Gualtieri, e le osservazioni saranno tenute in considerazione dal governo per stilare la nuova versione. Contemporaneamente, però, il governo comincia a dire ora - e continuerà nei prossimi giorni - a quali linee si atterrà. Con molte novità. Tra queste, può affacciarsi anche un ripensamento sulla scelta di prendere tutta la quota di prestiti (si veda II Sole 24Ore di ieri). Perché il premier ha confermato che i fondi complessivi in gioco sono vicini ai zio miliardi, ma ha aggiunto: «La quota di prestiti aggiuntivi che richiederemo tramite la principale componente del programma, lo strumento perla ripresa e resilienza, dovrà essere modulata in base agli obiettivi di finanza pubblica». Lo stesso problema aveva impegnato il Conte-2, che aveva fissato a 40 miliardi la quota dei prestiti per progetti aggiuntivi, quelli che impattano sul deficit, assegnando agli altri 87 una funzione sostitutiva dell'indebitamento domestico per finanziare interventi già nei tendenziali di finanza pubblica. Ma nel frattempo il deficit è salito e le prospettive di crescita si sono ridotte, e l'esigenza di piegare il maxi-debito potrebbe portare a rivedere la quota di prestiti aggiuntivi. Su quelli sostitutivi, poi, il risparmio è nella differenza dei tassi di interesse, schiacciati però in questi giorni anche per i BTp vicino allo zero. L'effetto Draghi riduce quindi il vantaggio competitivo dei prestiti comunitari. Esattamente come accade per il Mes, che infatti è sparito dalla scena. Ma nel discorso del premier emergono novità anche sui contenuti rispetto al piano del precedente governo (che, comunque, «ha già svolto una gran mole di lavoro»): il programma dovrà essere rafforzato «prima4iitutto sugli obiettivi strategici e le riforme che li accompagnano». Sul primo fronte «non basterà elencare progetti che si vogliono completare nei prossimi anni, dovremo dire dove vogliamo arrivare nel 2026 e a cosa puntiamo per il 2030 e il 2050, anno in cui l'Unione Europea intende arrivare a zero emissioni nette di CO2 e gas clima-alteranti». Si profila quindi un rafforzamento dell'obiettivo di trasformazione della nostra economica in chiave green. I progetti saranno selezionati per la coerenza con gli obiettivi strategici, prestando «grande attenzione alla loro fattibilità nell'arco dei sei anni del programma» e assicurando inoltre che «l'impulso occupazionale del Programma sia sufficientemente elevato in ciascuno dei sei anni, compreso il 2021». Poi c'è il capitolo riforme. «Alcune riguardano problemi aperti da decenni ma che non per questo vanno dimenticati. Fra questi la certezza delle norme e dei piani di investimento pubblico, fattori che limitano gli investimenti, sia italiani che esteri». Largo spazio anche alla concorrenza, alla riforma fiscale alla pubblica amministrazione. «Negli anni recenti - ha detto Draghi - i nostri tentativi di riformare il Paese non sono stati del tutto assenti, ma i loro effetti concreti sono stati limitati. Il problema sta forse nel modo in cui spesso abbiamo disegnato le riforme: con interventi parziali dettati dall'urgenza del momento, senza una visione a tutto campo che richiede tempo e competenza». E proprio al Recovery tocca il compito di dare quella visione d'insieme in cui inserire le singole riforme. 25 Il Giornale, 18 febbraio 2021 Ma io mi dissocio dal mio «Giornale» Alessandro Sallusti Mi dissocio dal titolo del mio Giornale. Di Mario Draghi bisognerebbe oggi parlare male, ma proprio male, perché anche chi ieri voleva per ragioni misteriose parlarne malissimo si è fermato sulla soglia del «benino», un po' per mancanza di argomenti, un po' per mancanza di coraggio, con quei distinguo tra lui divino e il suo governo impresentabile. Non ce ne vorrà Mario Draghi, ma noi ci proviamo a smontare il suo ingresso trionfale sulla scena per onorare la nostra ragione sociale stampata ogni giorno sotto la testata: «Dal 1974 contro il coro». Per esempio troviamo inaccettabile che Draghi non abbia mosso neppure il sopracciglio ascoltando per otto minuti il senatore Toninelli, già agente assicurativo di Soresina, che gli spiegava con piglio deciso e italiano incerto le cose da fare, molte delle quali sono le stesse che lui e i suoi amici Cinque Stelle non sono riusciti a fare nei loro quasi tre anni di governo. Non ci aspettavamo un plateale vaffa, ma un sorriso compassionevole ci avrebbe lasciati più tranquilli sul prosieguo del cammino del governo. Andiamo avanti. E davvero scorretto che un neo primo ministro umili pubblicamente il suo ministro degli Esteri Luigi Di Maio sostenendo che l'Italia deve guardare a Occidente e non alla Cina, alla quale il medesimo Di Maio voleva spalancare le porte dell'Europa. Non si fa, è davvero di cattivo gusto e classista far passare per stupido uno solo perché nella vita ha fatto unicamente il venditore di bibite allo stadio San Paolo di Napoli. Ma fino a qui passi. La vera, insopportabile arroganza è aver spiegato ai soci di maggioranza Zingaretti e Bersani che l'unica ricetta economica possibile per risollevare il Paese è quella liberale e solidale. Qui viene fuori tutta la spocchia del banchiere internazionale, dell'uomo dei poteri forti, non perla ricetta in sé ma per il cinismo. Questi - Zingaretti e Bersani - tengono mogli e figli, hanno una storia, dei vicini di casa che chiedono loro conto, non si distruggono così famiglie e comunità solo perché si arriva a sedere a Palazzo Chigi. No, Draghi proprio non ci piace, figuratevi che al polso porta un banale orologio digitale tuttofare, quelli che contano passi e battiti cardiaci. Ma si può? Financo Gad Lerner gira col Rolex, e dire che non solo non è un banchiere ma neppure un bancario. E vederlo rosicare è uno spettacolo che vale il prezzo del biglietto. 26 Il Giornale, 18 febbraio 2021 Starà poco al governo ma lascerà il segno Draghi archivia la visione del giorno per giorno Ha tracciato la linea dei prossimi decenni Vittorio Macioce LA CONCEZIONE DEL PAESE Dirci chi siamo e che cosa possiamo fare non e filosofia spicciola ma e consapevolezza. LA CITAZIONE DI CAVOUR La lezione del conte sabaudo: l'avvenire non si può prevedere ma lo dobbiamo immaginare. Mano Draghi ha aperto una porta, quella del tempo. Non conta quanto resterà a Palazzo Chigi, un anno o due, e neppure la sua età anagrafica, il suo discorso al Senato, almeno per un giorno, ridefinisce l'orizzonte della politica: lo sposta, lo allarga, lo proietta al di là degli affanni quotidiani. Non ci eravamo più abituati. E come scoprire all'improvviso l'idea della prospettiva. Il futuro è un'ipotesi e già questo te lo rende meno oscuro. Non ti fa così paura e anche se non ti piace o non lo condividi è sempre meglio del vuoto. E la fuga dalla politica del minuto per minuto: frammenti, frasi, dichiarazioni. Tutte gettate lì come un'esca per creare traffico, polemiche, litigi, indignazioni. E la fuga dalla politica scandita settimana dopo settimana da nuovi divieti, dal «si pub fare e non si pub fare», rincorrendo la prossima emergenza. E la fuga da una politica che pub solo galleggiare, perché qualsiasi visione rischia di minacciare l'equilibrio trovato a fatica. Allora è meglio non dare troppe indicazioni sulla rotta, non pensare troppo in là, ma resistere bene arroccati nel presente, togliendo al tempo ogni profondità. Draghi sa che non starà lì a lungo, ma ha parlato come se il suo futuro fosse illimitato. Ha detto che l'Europa è un continente circondato da tre giganti, Usa, Russia e Cina, che si stanno giocando il destino del mondo e l'Italia per essere ancora Italia non può restare da sola. Se lo fa la sua sorte è segnata: questo o quel pescecane si affretterà a mangiarla. Lo dice così: «Dobbiamo essere orgogliosi del contributo italiano alla crescita e allo sviluppo dell'Unione europea. Senza l'Italia non c'è l'Europa. Ma, fuori dall'Europa c'è meno Italia. Non c'è sovranità nella solitudine. C'è solo l'inganno di ciò che siamo, nell'oblio di ciò che siamo stati e nella negazione di quello che potremmo essere». Sapere chi siamo, dove stiamo, dove andremo non sono solo parole. Non è una seduta psicanalitica. Non è filosofia da perdigiorno. E consapevolezza. Qualsiasi progetto non pub che partire da qui. Significa fare i conti con i nostri limiti, con le opportunità, con le strade da prendere, sulla scelta da compiere davanti ai bivi, sui vicoli ciechi. La scelta dell'euro è irreversibile non perché la moneta europea sia qualcosa di sacro e metafisico, ma perché non è più possibile tornare indietro. Non ce lo possiamo permettere. E inutile allora evocare possibilità che non ci sono. Non ha senso, secondo Draghi, portare nel dibattito pubblico un'opzione strategica senza sbocchi reali. C'è chi ha interpretato la «non reversibilità» come una risposta polemica a Salvini. E qualcosa di più. E un metodo. E un modo di ragionare. E l'abitudine ad affrontare le questioni politiche in una prospettiva che va al di là della battuta o della provocazione del giorno. I malanni dell'Italia sono la conseguenza di scelte del passato. C'erano scelte da fare che non sono state fatte. Qualcuno non le ha viste, altri non ne hanno avuto la forza, altri ancora non sono stati abbastanza coraggiosi o hanno tirato a campare. E il tema delle riforme. E qui che Draghi si gioca buona parte del senso della sua avventura. La prima sfida è l'emergenza sanitaria, ma poi c'è come usciremo dalla pandemia. Non puoi limitarti a sopravvivere, anche questa è una scelta che non ci possiamo permettere. il riferimento a Cavour non è buttato li per il gusto della citazione. «Vedete, o signori, come le riforme compiute a tempo, invece d'indebolire l'autorità, la rafforzano, invece di crescere la forza dello spirito rivoluzionario, lo riducono all'impotenza». Non è solo con consiglio sull'arte del buon governo. Le parole di Cavour sono del 1850. E appena stato nominato ministro dell'Agricoltura. La prima guerra d'indipendenza è finita da un anno. Il Piemonte ne è uscito sconfitto. Carlo Alberto ha abdicato a favore del figlio Vittorio Emanuele. E in quel momento che Cavour comincia a pensare che l'unità d'Italia non sia solo un'utopia. Pochi anni dopo con la guerra di Crimea il conte comincia a tessere le sue trame. E da lì che l'impossibile diventa possibile. L'Italia nasce perché c'è una visione. Non tutto va come se lo aspettava Cavour. C'è l'imponderabile, c'è la fortuna, ci sono errori e sacrifici, ma una cosa è certa: il futuro non puoi prevederlo, ma se non provi a immaginarlo non arriva. La politica è l'arte di scommettere sul futuro. 27 Il Giornale, 18 febbraio 2021 Fisco più equo e sviluppo: ultima chance per salvarci Francesco Forte Draghi ha generato grande fiducia consentendo al nostro debito pubblico d'essere emesso a un tasso di interesse quasi zero, con beneficio per il pubblico bilancio. Ma ora si trova di fronte a un compito tributario molto arduo. Infatti nel 2020 le entrate sono scese del 6%, a causa del minor gettito delle imposte dirette, dell'Iva e delle varie imposte sui consumi (come benzina, gasolio, tabacchi o elettricità). I lockdown hanno ridotto i consumi. Chi ha perso il lavoro li ha minimizzati e molti, spaventati dalla situazione hanno accresciuto i risparmi. I gettiti di Irpef, Irap e dei contributi sociali sono calati soprattutto perché gli occupati sono diminuiti. Per la tassazione delle società con l'Ires, l'emergenza Covid ha generato un complicato calendario fiscale, con dilazioni che hanno inciso sul gettito, che si è anche ridotto perché molte società invece che utili hanno avuto perdite. Nel 2021, insieme all'eredità delle perdite di entrate dovute al calo dell'occupazione del 2020, ce ne è una nuova per Irpef, Irap e contributi sociali, che deriverà dalla diminuita occupazione, anche per lo sblocco graduale dei licenziamenti. l'Ires sulle società e l'Irpef per gli autonomi deluderanno se continuano a languire le attività terziarie e non risaliranno gli investimenti. In questa situazione, l'amministrazione tributaria, i commercialisti, i contribuenti non sono in grado di reggere modifiche immediate dei tributi. Una commissione di esperti che le studi organicamente è una saggia scelta. Draghi ha perfettamente ragione quando sostiene che non si può fare una riforma seria se si fa un ritocco di una singola imposta. Il nostro sistema tributario è caotico e la Costituzione non fa riferimento alla capacità contributiva e alla progressività per i singoli tributi, ma per il sistema tributario, ai tre livelli, nazionale, regionale e locale. Nel mio schema, la flat tax non è progressiva verso il basso, ma prevede una no tax area e un rimborso di costi per le spese sanitarie per chi ha reddito nullo. C'è inoltre un contributo sanitario regionale progressivo, che dà luogo a una aliquota massima totale del 28-30%. I tributi basati del sistema previdenziale, vanno basati sul principio del beneficio, con il criterio contributivo. E occorre orientare il sistema alla produttività. 28 La Stampa, 18 febbraio 2021 "Fermando il virus frenerà la crisi ma non riuscirà a fare le riforme". Intervista a Massimo Cacciari Andrea Malaguti Bravo, ma non farà le riforme. Il giudizio di Massimo Cacciari sul primo giorno da preside della scuola Italia di Draghi è benevolo: "Dopo quello che hanno combinato i partiti ora sono obbligati ad appoggiare il premier" Ma poco rassicurante: “L'uomo non si discute, le sue possibilità di rivoltare il paese sì. Come li metti d'accordo Forza Italia e Cinque Stelle sulla giustizia?». Un discorso più puntuale di quelli cui eravamo abituati: ho apprezzato molto la parte sulla pandemia Draghi non è il Padreterno e non potrà fare in un giorno quello che non si fa da 30 anni.Bravo, ma non farà le riforme. Il giudizio di Massimo Cacciari sul primo giorno da preside della scuola Italia di Mario Draghi è benevolo, ma poco rassicurante. L'uomo non si discute, le sue possibilità di rivoltare il paese come un calzino sì. Per dirne una: «Come li metti d'accordo Forza Italia e Cinque Stelle sulla riforma della giustizia?». Non li metti d'accordo. «Appunto». Non è la paralisi (i soldi del Next Generation Eu sono nelle mani migliori possibili), ma neppure la Valle dell'Eden. Semplicemente un film diverso. Che al momento vince il premio della critica. Con una sola eccezione. Lui. Professor Cacciari, le è piaciuto il discorso di Draghi? «Certamente è stato un discorso più puntuale di quelli che ci eravamo abituati a sentire negli ultimi insediamenti. Ho apprezzato soprattutto la parte sulla pandemia». Il virus come moltiplicatore delle disuguaglianze? «La pandemia non è affatto neutrale, non colpisce tutti nello stesso modo. A pagare di più, a parte chi crepa, sonno i giovani, le donne, i lavoratori fragili. Non so se esistano dati anche da noi, ma negli Stati Uniti le statistiche dicono che i meno abbienti, le persone disagiate, sono colpite dal contagio quattro volte di più di chi sta bene». Temo sia una statistica universale. «Il nostro sistema di protezione è squilibrato, lo dico da mesi. Non si può affrontare la pandemia senza vedere che metà della popolazione è al sicuro mentre l'altra metà passa dai disagi gravissimi alla disperazione. Bisogna rimediare prima che salti il tappo e scoppi la rivolta sociale. Quando i licenziati usciranno da sotto il tappeto che sembra renderli invisibili avremo un problema. Non potremo ricorrere in eterno alla cassa integrazione senza mettere in crisi l'Inps e su questo tema non ho sentito dire un gran che». Si aspettava l'emozione del gelido tecnocrate Mario Draghi? «Ma la sua storia intellettuale e culturale — a partire dalle scuole che ha fatto e dai primi maestri che ha avuto (i gesuiti) — non è quella di un uomo gelido. Anche in Europa ha dimostrato di essere attento ai disagi e alle contraddizioni sociali». Un tecnocrate con l'anima. «Lasci perdere l'anima. La verità è che non esiste tecnica senza politica e chi pensa il contrario ha una visione arcaica». Cito: "Saremo semplicemente il governo del Paese". Straordinariamente ovvio o ovviamente straordinario? «Di sicuro questo governo non ha una maggioranza politica. E non è nemmeno tecnico anche se è Draghi a dare le carte. I partiti non avevano scelta di fronte alla posizione di Mattarella e quella del premierè una sintesi più che una fotografia. Nel governo ci sono tutti, tranne la Meloni che pure è molto ragionevole». Uniti verso un futuro pieno di riforme? «Figuriamoci. Draghi non lo può dire, ma io sì: con questo governo le riforme non le vedremo mai». 29 Non esagera? «Draghi non è il Padreterno e non potrà fare in un giorno quello che non si fa da 30 anni. Vuole degli esempi? Lo ius culturae evocato da Zingaretti lo vedremo mai in un governo con Salvini? E sulla giustizia è possibile trovare un punto di caduta tra 5Stelle e Forza Italia? Dubito. E così sarà per il fisco o per una vera riforma della scuola". Eppure la frase più netta del premier è stata: "L'unità non è un'opzione, è un dovere". Come nel dopoguerra. «I partiti hanno il dovere preciso di appoggiarlo e di non rompergli i coglioni dopo quello che hanno combinato. E Draghi è abbastanza intelligente da non chiedere cose impossibili. Ma il richiamo alla ricostruzione del dopoguerra è benevolmente ridicolo». L'unità allora ci fu. Breve, ma ci fu. «Sì, dal '45 alla Costituente perché non si poteva fare diversamente. Poi la ricostruzione la fece la Dc con i suoi alleati lasciando fuori il Pci. Un po' di memoria storica è necessaria. Altrimenti, citando Musil come ha fatto recentemente Donatella Di, si diventa come quelle persone che non hanno mai del tutto torto in niente perché i loro concetti sono indistinti come figure tra i vapori di una lavanderia. Comunque le parole di Draghi sono comprensibili e perdonabili». Che scenario prevede, allora? «Draghi interverrà sulla pandemia, organizzerà un nuovo piano vaccini e userà i soldi del Next Generation Eu anche per affrontare le gravi crisi industriali. Quelle, da Alitalia all'Ilva, sono vere gatte da pelare. In Senato ha detto una cosa su cui mi pare si siano soffermati in pochi: i soldi non andranno alle aziende decotte». È la teoria del debito buono, che però - nell'immediato - rischia di produrre un sacco di persone a spasso. «Mi aspetto che Draghi affronti le crisi in modo socialmente sensibile. Non so se basteranno i soldi europei, ma so che il sistema previdenziale è squilibrato e per immaginare un cambiamento servirà, in questo caso davvero, il contributo di tutti. Non ci sarà la patrimoniale, ma una manovra di bilancio decisa sì». Professore, stavolta cito lei: il governo Draghi certifica il fallimento della politica. In Aula il premier ha sostenuto l'opposto. «Mica poteva dire il contrario. E' ovvio che la sua presenza è il risultato di una catastrofe politica. L'affermazione del premier la prenderei per un vezzo retorico». In questo governo ci sono 15 ministri del Nord. «Bah, secondo me Draghi neppure lo sa. E poi non è che il Nord sia sciocco ed egoista. I problemi dell'assistenza sono noti a tutti. Piuttosto sono due i punti politici da capire, la Lega e i 5 Stelle». Partiamo dalla Lega. «Sarà interessante vedere se questa svolta giorgettiana è radicata e destinata a durare con Salvini comunque leader». E i 5 Stelle?». «Vedere se esplodono o no». Per ora vogliono federarsi con Pd e Leu. «Mi pare un fatto positivo. Hanno davanti scadenze decisive (penso al voto in città come Torino, Roma e Napoli) e dunque è meglio che trovino un modo per marciare divisi e colpire uniti». E il Pd? «Si barcamena. Come sempre». Nel discorso di Draghi una citazione per Cavour e una per Papa Francesco. «Cavour lasciamolo stare. Il Papa quando si parla di ambiente ormai è un must. Per fortuna non ha citato San Francesco e il cantico delle creature». Perché lasciamo stare Cavour? «Perché per me che sono un federalista sarebbe stato meglio riferirsi a Spinelli, a Trentin o a don Sturzo piuttosto che evocare il centralismo autoritario sabaudo». 30 La Stampa, 18 febbraio 2021 Sanità e donne, una rivoluzione Linda Laura Sabbadini 1 Bassa crescita, disuguaglianze, bassa parità di genere, caratterizzano la situazione dei Paese da anni. Ieri Draghi ha delineato la strategia. Grande visione, ma osiamo di più. Parto da un punto critico, data la pandemia, il ridisegno della sanità. Estendiamola all'assistenza sociale, in un'ottica di welfare di prossimità. Bassa crescita, alte disuguaglianze sociali e territoriali, bassa parità di genere, hanno caratterizzato la situazione del nostro Paese ormai da anni. Ieri il Presidente del Consiglio ha delineato la strategia. Grande visione, ma osiamo di più. Parto da un punto critico, data la pandemia, il ridisegno della sanità territoriale. Estendiamola anche all'assistenza sociale, in un'ottica di welfare di prossimità. Sulla sanità il Presidente del Consiglio ha affrontato in modo eccellente la questione, proiettandosi verso la medicina del futuro. E sul territorio che si sviluppa la prevenzione. Ogni persona potrà essere curata all'interno del suo ambiente di vita, senza esserne traumaticamente sradicata, almeno nella maggioranza dei casi. Potrà essere attivato un sistema a rete capace di sostenere le persone anche non autonome con progetti personalizzati dei servizi. Multidimensionali, psicologici, sanitari, economici, di assistenza nella vita quotidiana. Progetti in cui fondamentale sarà il ruolo del volontariato e del terzo settore. Dentro e fuori casa. È una rivoluzione copernicana. Estenderla a tutto il settore dell'assistenza è fondamentale. L'assistenza è, infatti, una nota dolens del Paese, in gran parte a carico del lavoro non retribuito delle donne, che sono in posizione molto più svantaggiata delle europee. E ne pagano le conseguenze con maggiori interruzioni lavorative, abbandoni del lavoro, retribuzioni più basse, rinuncia a lavorare, camere più lente. C'è bisogno di una vera e propria redistribuzione del lavoro familiare non retribuito, nella famiglia e nella società. Con un maggiore coinvolgimento dei padri nelle responsabilità familiari (servono politiche) e con un investimento serio, massiccio, nelle infrastrutture sociali, servizi educativi per la prima infanzia, tempo pieno nelle scuole, servizi di assistenza per anziani, disabili, persone più vulnerabili. Abbiamo meno occupazione femminile nel nostro Paese, anche perché abbiamo investito meno in sanità, meno in istruzione, in assistenza e nella Pubblica Amministrazione. Gli occupati in questi settori per 10 mila abitanti sono più bassi della media europea. Chi lo ha pagato sono state le donne, perché non hanno potuto usufruire di questa opportunità di accesso, e perché non si sono alleggerite dei compiti di cura e assistenza che le penalizzano sul lavoro. Allora osiamo di più con un grande piano di infrastrutture sociali. I bimbi al nido devono arrivare almeno al 60%. E questo fa bene ai bimbi in primis. I servizi pubblici per l'assistenza e il lavoro di cura di anziani e disabili devono essere fortemente sviluppati. Il lavoro di cura non retribuito deve trasformarsi in lavoro di cura retribuito come in altri Paesi. Va bene investire sulla formazione e sulle Stem, anzi di più, andrebbe varato un piano contro gli stereotipi di genere serio, non con piccoli finanziamenti, come finora fatto. Va bene attivarsi contro le disuguaglianze salariali. Ma attenzione. Osiamo di più. E necessario fare quello che non si è mai fatto nella storia della Repubblica sulla parità di genere, con una strategia di breve, medio e lungo periodo. Qui non si tratta di definire " farisaico", termine discutibile, "il rispetto delle quote rosa". E' chiaro che non sono una vera parità di genere. Ma ricordo che la Legge Golfo—Mosca è stato uno strumento potentissimo contro il monopolio maschile nei Consigli di amministrazione delle imprese. E che l'inserimento di donne ha contribuito ad elevare la qualità dei curricula sia degli uomini che delle donne presenti nei Cda. Quando avremo la parità di genere non ce ne sarà più bisogno. Ma ora le quote rosa vanno estese e utilizzate anche da questo governo e servono a forzare resistenze e abbattere muri. 1 Direttora centrale dell'Istat. Le opinioni qui espresse sono esclusiva responsabilità dell'autrice e non impegnano I'Istat. 31 La Stampa.18 febbraio 2021 Nell’impossibilità di proporre in forma leggibile la nota di Fabio Martini pubblicata sulla Stampa, questa che segue è l’opinione del notista politico della Stampa raccolta oggi da Rai News 24 Confini di Pierluigi Mele POLITICAJANUARY 21, 2021 1:14 PM Governo: “Cinque giorni per evitare la ‘guerriglia’ permanente”. Intervista a Fabio Martini Sono giorni di fibrillazione per la politica italiana. Come si svilupperà il quadro politico? Ne parliamo, in questa intervista, con l’inviato della Stampa Fabio Martini. Fabio Martini, il governo ha ottenuto la fiducia del Senato. Una fiducia molto problematica, che non rende facile la vita al governo. Ma davvero Conte è uscito vincitore nel duello con Renzi? «I fatti per ora parlano chiaro. Matteo Renzi voleva far cadere Giuseppe Conte e il governo ha ottenuto due fiducie. Per non entrare in contraddizione con la propria battaglia, Renzi aveva deciso di votare no e invece, per non perdere gran parte dei suoi parlamentari, ha fatto astenere Italia Viva. Il primo round lo ha vinto 32 Conte. Sul piano dell’immagine, che non è più un optional come ai tempi della Prima Repubblica ma qualcosa che viene messo in discussione ogni giorno e ogni ora dal martellamento di vecchi e nuovi media, l’esito della “partita” è ‘più controverso: Renzi, grande affabulatore, non è riuscito a farsi capire e la sua “manovra” a molti è parsa più pretestuosa che spassionata. Il presidente del Consiglio, per puntellare la propria maggioranza, si è impegnato in una caccia al volenteroso che non è un tonico per un’opinione pubblica sempre più disincantata. Per restare alla metafora agonistica, per capire l’esito finale dello scontro, occorre attendere ancora qualche settimana e la risposta ad una domanda che appare banale mentre la risposta non lo è: il presidente del Consiglio e i due partiti di governo sapranno trasformare una crisi nata per caso, in un’opportunità per potenziare il governo e dunque consentire agli italiani di stare un po’ meglio?» Dicevo sopra della fiducia risicata, questo comporterà necessariamente un allargamento al Centro della maggioranza. Vi sono state adesioni sorprendenti (vedi alcuni personaggi importanti di Forza Italia). Anche qui è una operazione non facile, bisogna offrire una prospettiva politica ai centristi. Riuscirà? «Il presidente del Consiglio ha impostato la questione in termini “alti”, rivolgendosi alle forze liberali, popolari e socialiste. Ma poi si è impegnato in un lavoro, certo fisiologico, di “porta a porta” con i singoli parlamentari. In Parlamento e fuori esistono forze sociali e politiche di orientamento liberale e popolare che attendono di essere coinvolte. La caccia al responsabile non sembra il modo migliore per “reclutarle” e infatti tutte queste forze si sono messe alla finestra. Per ora c’è più necessità che politica. Ma la partita non è finita». Veniamo a Matteo Renzi. L’ex premier ha posto, bisogna dirlo, al centro dell’attenzione problemi veri. Ma, ancora una volta, lo ha spiazzato il suo stesso carattere. Così è riuscito a trasformare il problema politico in un problema personale. È così? «Anche chi lo detesta, riconosce – o in cuor suo sa – che Matteo Renzi è la personalità di maggior talento politico apparso sulla scena italiana nella stagione seguita al bipolarismo Berlusconi-Prodi. Ma l’egolatria lo ha divorato, sin dai tempi del referendum istituzionale che – nessuno lo ha mai notato – l’allora presidente del Consiglio fece votare a maggioranza non qualificata (in zona Cesarini bisticciò appositamente con Forza Italia che aveva già votato sì) pur di andare ad una verifica popolare che non era obbligatoria. Lui la cercò e la perse. Pochi altri hanno saputo dissipare il proprio talento come lui. In questa occasione ha cercato di nuovo il centro del ring per richiamare a sé i riflettori ma il grande leader è quello che riesce a far coincidere il proprio interesse con quello del suo popolo». Pensi che Italia viva manterrà sempre la linea dell’astensione? Oppure scatenerà una sorta di “guerriglia”? «Il combinato disposto dei numeri traballanti della maggioranza e la prospettiva della guerriglia permanente, nel giudizio del Capo dello Stato, è incompatibile con la crisi economica e sanitaria che vive il Paese. Ecco perché Mattarella, nel colloquio al Quirinale, ha suggerito a Conte di trovarsi numeri certi entro e non oltre mercoledì prossimo quando il Guardasigilli Bonafede si presenterà in Parlamento con la sua relazione sullo stato della Giustizia. Italia Viva ha già preannunciato il voto contrario ma una bocciatura del ministro che è anche capo della delegazione dei Cinque stelle porterebbe alla caduta immediata del governo. Ecco perché ii governo ha sei giorni per scongiurare la guerriglia permanente e salvare sé stesso da un logoramento progressivo e alla fine esiziale». Veniamo al PD. Liberarsi di Renzi è un risultato di questa votazione. Ma sappiamo che il problema del PD è più profondo, ovvero dare un’anima a sé stesso e al governo. Per te? «Il Pd è l’erede, non diretto, di due grandi tradizioni politiche – il Pci e la sinistra democristiana – che hanno fatto del primato della politica il proprio “mantra”, stando in campo con idee e iniziativa politica. In questa fase il Pd ritiene che l’understatement sia il modo migliore per far avanzare le proprie idee. Il problema non sono tanto le intenzioni di voto, immobili, o le Regioni conquistate o tenute dal centro-destra. Anche il Pd si gioca nelle prossime settimane la “partita della vita”: provare a trasformare una crisi aperta da altri, nell’occasione per esternare la propria visione del Paese. Provando a trasformarla in azione politica concreta». 33 Per il Movimento 5stelle, questo passaggio, è stato un ulteriore bagno di realismo (a parte sul Mes). Per te? «Il Movimento Cinque stelle è rimasto defilato in questa crisi. Proponendo come argomento forte la critica durissima al “disfattista” Renzi e proponendosi come tutori dell’ordine costituito. Sì, un ulteriore bagno di realismo, che segna un nuovo passaggio verso la modifica del Dna originario, da movimento anti-sistema a partito dentro il sistema. Ma questo, prima o poi, potrebbe portare a clamorose novità nel campo del “brand” e della leadership. Credo che le prossime mosse di Conte, in coppia con Di Maio, vadano seguite attentamente». Per l’opposizione sovranista, questa crisi è stata una occasione mancata per mostrare un profilo normale agli occhi dell’Europa. Gli interventi di Salvini e Meloni non sono stati all’altezza. Qual è il tuo pensiero? «Parliamoci chiaro: se il centrodestra si fosse impegnato anima e corpo in una “campagna acquisti” eguale e contraria a quella della maggioranza, il governo non ci sarebbe più. Questo è un frammento di analisi sfuggito all’analisi dei ciarlieri commentatori della vicenda politica e noi possiamo chiederci perché: una caduta del governo Conte, avrebbe dilatato le divisioni nel centro-destra. Meloni avrebbe detto: elezioni! Berlusconi avrebbe detto: vediamo. E Salvini in mezzo. Hanno preferito lasciare in vita il governo». Forza Italia è acquisita per sempre al campo sovranista? «Una legge elettorale proporzionale restituirebbe notevoli margini di manovra e di libertà a quel che resta di Forza Italia. Da questo punto di vista anche per gli “azzurri” i prossimi mesi saranno decisivi: avranno un valore “costituente”. Da qui al semestre bianco potrebbe ridisegnarsi la politica italiana. Tutti passeranno nel “trasformatore”: Conte, i Cinque stelle, il Pd e anche Forza Italia». Per ultimo torniamo al governo: nella squadra saranno solo coperti i posti vacanti dei renziani oppure ci sarà un aggiustamento ulteriore? «Emanuele Macaluso, il dirigente del Pci scomparso in questi giorni, una volta ha raccontato che nel periodo in cui l’ala moderata del partito dissentiva da Berlinguer, il segretario mandò lui a dirigere l’Unità, Napolitano fu indicato come presidente dei deputati e Chiaromonte dei senatori. Commentò ex post Macaluso: “Allora esisteva un modo di concepire la lotta interna che non è paragonabile a quel che accade oggi”. Come dire: i migliori non si accantonavano, si premiavano. Pd e Cinque stelle hanno al proprio interno personalità e risorse per potenziare il governo: anche questo sarà un ulteriore test per capire se questa crisi avrà un esito capovolto rispetto alle intenzioni di chi l’ha promossa. Quella che si chiama eterogenesi dei fini». 34 Avvenire, 18 febbraio 2021 Per un "debito di futuro": il programma generazionale di Mario Draghi Francesco Riccardi Non ha parlato di miliardi di euro, Mario Draghi, ieri in Senato. Perché, assai prima di quello monetario, oggi il vero debito da onorare è tra le generazioni. La responsabilità del presente è saper unire e governare competenze, energie e risorse per garantire una società e un pianeta migliore a chi oggi è più piccolo o ancora deve venire al mondo. È questo "debito di futuro" che il premier ha messo al centro del suo programma di governo, chiedendo la fiducia al Parlamento. Un debito che è insieme sociale, ecologico, umano. Può sembrare un paradosso per un governo dell’emergenza, com’è questo, preoccuparsi del futuro anziché di uno stringente presente. Se però si legge in filigrana il discorso del presidente del Consiglio, la vera urgenza indicata è proprio quella di unire l’azione immediata con le riforme di lungo periodo, progettando – ora – per i decenni a venire. È lo spirito di chi è grato dei sacrifici compiuti dalla generazione che ha preceduto lui (e noi, baby-boomer) e sente il dovere di far fruttare quell’eredità, per consegnarla moltiplicata ai ragazzi di oggi e di domani. Senza che neppure uno di quei talenti resti sottoterra o vada disperso perché «ogni spreco oggi è un torto che facciamo alle prossime generazioni, una sottrazione dei loro diritti». Così se l’urgenza immediata è il piano vaccinale da riorganizzare coinvolgendo tutti e l’avvio della riforma sanitaria in senso territoriale, la sollecitudine parallela è l’innalzamento del capitale umano. È la scuola: per far recuperare agli studenti ciò che hanno perso in termini di preparazione e crescita umana in questo anno di pandemia. Progettare nuovi percorsi che attraverso l’istruzione e la formazione – umanistica, scientifica e quella tecnica con pari valore – garantiscano alle giovani generazioni le competenze necessarie per costruire da protagonisti il loro futuro anziché subirlo. Domani, quando usciremo dalla pandemia, «non sarà semplicemente un riaccendere la luce» dopo un blackout temporaneo, ma un faticoso ricominciamento, un necessario ripensamento di stili di vita e modelli di sviluppo. In ogni campo: dalla produzione di energia fino al turismo, con l’obiettivo di affrontare realmente i problemi drammatici del cambiamento climatico, dell’inquinamento e del dissesto idrogeologico. «Vogliamo lasciare un buon pianeta, non solo una buona moneta», sintetizza il presidente del Consiglio dopo aver citato i moniti di papa Francesco sulla difesa della Terra «opera del Signore». Quello del rispetto dell’ambiente, della transizione ecologica è infatti l’altro filo rosso, anzi verde, che percorre la trama di tutto l’intervento del premier. E che lega insieme i nodi dello sviluppo e della povertà in crescita testimoniata dai dati Caritas (citati e meditati dal premier), dell’enorme disoccupazione potenziale e della difesa selettiva delle imprese, agevolando le ristrutturazioni, favorendo la ricollocazione dei lavoratori. Assieme alla valorizzazione della presenza femminile in tutti i campi, del lavoro e della rappresentanza, azzerando i gap, favorendo la conciliazione con la cura familiare, il più ampio sviluppo delle potenzialità. Ben oltre «la farisaica osservanza delle leggi sulle quote rosa». Frase che non è piaciuta a tutte e a tutti, ma che riassume il cuore di una questione di equità, molto più di un’aritmetica uguaglianza. Nella visione del presidente del Consiglio, l’impegno dell’oggi sarà tanto più proficuo quanto meno sarà schiacciato sulla contingenza del presente e invece proiettato sul futuro con una visione d’insieme. E così sul fisco, ad esempio, inutile e dannoso pensare a interventi a pezzi, facile preda di interessi corporativi. Meglio un progetto complessivo di una commissione di esperti che ridisegni il sistema, a partire dall’Irpef. Con due obiettivi dichiarati – «mantenere la progressività e ridurre il carico» – e un terzo che noi speriamo sottinteso: una maggiore equità per le famiglie con figli. Perché, assieme all’urgenza della difesa del Pianeta, c’è quella non meno impellente di invertire il drammatico calo demografico nel quale siamo precipitati. Un preoccupante deficit di futuro. Lo stile di Mario Draghi è stato sobrio, asciutto, a tratti persino monotono, tranne quando ha parlato di «senso di responsabilità delle forze politiche», di «spirito repubblicano». Di questo che viene definito con semplicità «il governo del Paese», che «per far bene» ha bisogno del «sostegno convinto del Parlamento». Perché «oggi, l’unità non è un’opzione, l’unità è un dovere». Dovere guidato «dall’amore per l’Italia»: il massimo sentimento sovranista, espresso dal premier «irreversibilmente» europeista e sovranazionalista («non c’è sovranità nella solitudine»). Questo governo – che non è di nessuna forza politica in particolare e insieme lo è della quasi totalità rappresentata in Parlamento – può essere il garante che onora il «debito di futuro» verso le nuove generazioni. Solo, però, se sarà capace di mantenere lo sguardo fisso sui ragazzi di domani, al di là delle convenienze di ogni partito. Una prova d’amore per l’Italia e gli italiani. 35 Il Mattino, 18 febbraio 2021 Draghi, l'ora delle scelte nel Paese delle proroghe Massimo Adinolfi Dovremo dire dove vogliamo arrivare nel 2026 e a cosa puntiamo per il 2030 e il 2050»: questo è l’orizzonte. È l’orizzonte che il Programma nazionale di Ripresa e Resilienza deve additare, nelle parole che il Presidente del Consiglio ha impiegato ieri al Senato. Prima cauti, guardinghi, restii a tributare un omaggio senza riserve, i senatori si sono sciolti in un applauso lungo, caloroso e condiviso, solo alla fine, mentre un Draghi ancora impacciato chiedeva ai commessi il permesso di sedersi. Ma se ne comprende il motivo: non è per nulla facile compiere le scelte coraggiose che il governo Draghi sarà chiamato a prendere, e non è chiaro se i partiti sapranno davvero sostenerle, e il paese intero farle proprie. Scelte capaci di orientare e investire le risorse materiali e intellettuali a disposizione nei prossimi anni su un percorso virtuoso, senza disperderle in interventi a pioggia, senza cedere alle mille corporazioni di cui è fatto il nostro paese, senza subire la spinta di «specifici gruppi di pressione», come ha detto Draghi parlando della madre di tutte le riforme, quella fiscale, e senza rinunciare a una visione di medio-lungo periodo. «Nel frattempo»: così ha cominciato il premier. Nel frattempo «dobbiamo occuparci di chi soffre adesso», ed è non solo giusto ma finanche doveroso. Di fronte a una crisi economica durissima, a effetti sulle diseguaglianze «con pochi precedenti storici», a un numero di vittime della pandemia che sfiora le centomila unità, a un calo dell’aspettativa di vita drammatico, prodottosi in pari misura solo durante le due guerre mondiali, questo è davvero il tempo di chi soffre adesso. Ma tutto il discorso del Presidente del Consiglio ha richiesto alle forze politiche, al Parlamento e ai cittadini di guardare anche, con uguale determinazione e ancora maggiore coraggio, a un altro tempo, quello in cui si compiono le «scelte decisive», si attuano le riforme necessarie, si costruisce il futuro in termini di crescita economica e di progresso civile. Quest’altro tempo non viene dopo, anzi non si può più rimandare: «non esiste un prima e un dopo», ha detto Draghi. In un paese la cui costituzione materiale è fondata sul rinvio, è detto in poche, concise parole cosa c’è da cambiare. E non perché ce lo chiede l’Europa. Draghi, il salvatore dell’euro, non ha ripreso il ritornello con il quale le classi dirigenti italiane hanno provato per decenni, in buona o cattiva fede, a legittimare interventi di riforma e misure impopolari in nome delle regole europee. Per Draghi, a chiedercelo sono piuttosto le nuove generazioni, ed è a loro che il premier si è riferito in più di un passaggio. Un governo di «nuova ricostruzione» – come lo ha definito nel discorso – è un governo che sente viva la sua responsabilità dinanzi «ai figli e ai nipoti» ai quali consegnerà il frutto delle scelte (o, in caso di fallimento, delle non scelte) che viene compiendo oggi. E questo è daccapo il punto. Perché al premier è chiaro che il Recovery Plan e le misure di riforma necessarie al suo successo non vogliono dire affatto che si può stare tranquilli: di soldi ce n’è per tutti, ne abbiamo tanti e li possiamo mettere un po’ qua e un po’ là, senza scontentare nessuno. Non è chiaro invece se anche i partiti politici lo abbiano ben presente, e se, al di là dei partiti, lo abbiano presente anche le parti sociali (non citate nel discorso) e i mille pezzi diversi di cui è composto il nostro Paese. Quando ad esempio Draghi dice che il governo deve proteggere tutti i lavoratori, «ma sarebbe un errore proteggere indifferentemente tutte le attività economiche» sta dicendo quello che non tutti, anzi: quasi nessuno si è voluto fin qui sentir dire e che, in termini di cultura economica, vale per imprese, sindacati e partiti come una rivoluzione. Un elogio implicito dello stimolo del mercato e della concorrenza, insieme a una limpida indicazione dei doveri dell’autorità pubblica, nello sfruttare a dovere quello stimolo. Tutto, beninteso, si può dire però di Draghi meno che sia un rivoluzionario. L’intero discorso aveva anzi accenti di assoluto pragmatismo, di sana e robusta concretezza. C’è un «frattempo» che deve essere governato, un insieme di paure, ansie bisogni che non possono restare inascoltati, e l’arte di governo consiste proprio nel sapere coniugare il «frattempo» in cui vivono tutti coloro che sono stati colpiti dalla crisi con il tempo in cui costruire il paese da lasciare in eredità alle nuove generazioni. Ma non si può continuare solo con le proroghe, e la sensazione che Draghi stesse parlando dell’ultima esperienza di governo, al di là del ringraziamento per il modo in cui ha fronteggiato l’emergenza nei primi mesi dell’epidemia, è più che giustificata. E tuttavia, siccome non di rivoluzione si tratta, ma nemmeno di taumaturgia di un uomo solo, bisogna aspettare e vedere se davvero il governo riuscirà a suscitare, nei partiti e nel paese, il desiderio, oltre che il dovere, di un tempo nuovo e migliore. 36 Libero quotidiano, 18 febbraio 2021 La fiera delle banalità - Tanta Retorica I politici sanno usare solo la lingua. Draghi promette: «Mobilitazione sui vaccini», «ridurre l'arretrato accumulato dagli statali», «riformare fisco e giustizia». I senatori ripetono delle ovvietà per ore. Noi aspettiamo i fatti. Vittorio Feltri Ieri in Senato si è svolto il festival della retorica e vincitore è stato come previsto Mario Draghi, sul quale erano puntati i riflettori delle tv. Non poteva essere diversamente. Dopo gli ultimi giorni della politica impegnata a lodare e a leccare senza ritegno il premier, il momento di votare la fiducia ha fatto registrare un picco nello spreco di saliva. Seguo le vicende del Palazzo da una vita, ma non mi era mai capitato di assistere a uno spettacolo tanto disgustoso sotto il profilo meramente estetico. Draghi ha parlato 50 minuti per illustrare le proprie intenzioni programmatiche. Troppi. Ma di questo va perdonato perché egli non poteva deludere le attese dei senatori, che mentre lo ascoltavano preparavano i loro interventi edulcorati finalizzati a catturare la simpatia dell'oratore numero uno. Il potenziale presidente del Consiglio, pur dilungandosi eccessivamente ha detto cose sensate, aggiungerei ovvie. Ha accennato anche all'esigenza di vaccinare in fretta gli italiani, ma ciò non potrà avvenire dato che il ministro della sanità è lo stesso che agiva sotto Conte, senza concludere nulla di positivo. La situazione vaccinale poi è aggravata dalla presenza nello staff tecnico di tale Arcuri, il quale ha dimostrato platealmente di essere incapace e forse peggio. Quindi il nostro titolo odierno d'apertura, "la fiera delle banalità", riassume perfettamente l'andazzo della nostra politica, impegnata a dare aria ai denti dei suoi protagonisti e a togliere ossigeno ai cittadini, in attesa da mesi ormai di ricevere le iniezioni salvifiche. Ciò che ha maggiormente tediato nella giornata trascorsa sono stati i pistolotti espressi dai parlamentari impegnati a commentare l'esposizione del premier in pectore. Abbiamo udito una serie di tali luoghi comuni da far venire i brividi. Al microfono si sono succeduti per ore personaggi modesti, nessuno dei quali ha trascurato di elogiare Supermario assicurandogli amore eterno e fedeltà. Non uno di essi ha avuto la prudenza di dire: buon lavoro signor presidente, ora le diamo la fiducia per spirito di rassegnazione, II mio commento è tanta retorica, la fiera delle banalità. Sappia che la giudicheremo dai fatti ovvero dalla sua capacità di tradurre in realtà gli impegni assunti davanti al popolo incredulo poiché abituato a prenderselo in saccoccia. Assistendo al teatrino andato in scena a Palazzo Madama abbiamo avuto la conferma: il Paese non sa rinunciare allo stile da operetta, al centro del quale trionfano le frasi fatte e il conformismo più spietato. Tanto per citare una scemenza, lei Draghi, riprendendo un concetto caro al Papa, ha detto: bisogna rispettare la natura. Falso. È la natura che deve rispettare noi, visto che tra inondazioni, terremoti, caldo e freddo eccessivi e stragi di animali ne combina di ogni colore. Anche il Covid ce lo propina la natura: essa lo ha generato, mica io e nemmeno mia sorella. 37 Libero quotidiano, 18 febbraio 2021 L'Italia fotografata dal premier è tutta da rifare Pietro Senaldi C'è poco da stare allegri. D'accordo che si chiama Parlamento, ma iniziare a dibattere alle 10 del mattino e andare avanti fino a notte inoltrata significa prendere l'istituzione un po' troppo alla lettera. Fortuna che il premier Draghi parla poco, perché quando lo fa non è di poche parole. Sempre meglio comunque, soprattutto quanto a contenuti, della verbosa e variegata maggioranza che lo sostiene. SuperMario è un Garibaldi C'È TANTO DA LAVORARE L’Italia descritta da Draghi è da rifare. La fotografia scattata è di un Paese ko. Per risolvere i problemi non basterà la presenza dell'ex capo della Bce, che ammonisce i parolai: «Vi ringrazio per la stima, ma giudicatemi per quello che farò» All'incontrario. II motto dell'eroe dei due mondi era «qui si fa l'Italia osi muore», e così a schioppettate arrivo l'Unità. L'eroe delle tre banche (Bankitalia, Bce e Goldman Sachs) l'ha declinato secondo i tempi: siccome si muore di Covid e crisi, conviene rifare l'Italia ed essere tutti uniti nello sforzo. Intento apprezzabile, purché si capisca che, ora come allora, non bisogna agire di lingua bensì di moschetto. Chissà se i parlamentari che, dopo essersi a lungo ascoltati, tra ieri e oggi gli avranno votato la fiducia, hanno afferrato il messaggio. Come i garibaldini, sono mille, ma appaiono meno ardimentosi e più spaesati; senz'altro non sono una falange compatta. La giornata nei corridoi di Palazzo Madama è stata tutt'altro che avvincente. Draghi è dei nostri, sghignazzavano a sinistra, perché ha detto che il futuro dell'Italia è nell'Unione Europea e che è importante coniugare progresso e rispetto dell'ambiente; è un compagno, un ricco illuminato, punta a riformare il fisco ma a mantenere la progressività. No, vuole un'immigrazione regolamentata e investimenti che producano ricchezza anziché sussidi, perciò ha il cuore a destra, da buon altoborghese liberale; ha perfino bastonato Speranza per aver chiuso lo sci senza preavviso. Spettacolo avvilente di una politica che non si è ancora allineata al passo di marcia del nuovo comandante e impiegherà i prossimi tre giorni a spartirsi una cinquantina di poltrone da viceministro. ORGOGLIO NAZIONALE Ma cos'ha detto il supereroe calato nella fossa dei leoni per domarli? Nulla che non avrebbe potuto affermare l'italiano medio, seppure esprimendolo in maniera più pedestre. Ha cercato di ridestare l'orgoglio nazionale spiegando che siamo un Paese meraviglioso e all'estero ci stimano più di quando non lo facciamo noi. Però quando è passato alla radiografia della situazione, la realtà è apparsa tutt'altro che favolosa La sanità va riformata perché i medici sono lontani dai pazienti, che devono farsi ricoverare per essere curati. La pubblica amministrazione è refrattaria al lavoro e ha approfittato del lockdown per non fare nulla, tant'è che è sommersa dagli arretrati. La giustizia è stata derubricata a branca dell'impiego statale, e come tale, afflitta dai medesimi problemi di inefficienza e paralisi. Chissà se questo vuol dire che Brunetta e Cartabia avranno mano libera? Quanto alla scuola, terza nota pubblica dolente, si è perso solo del gran tempo, tant'è che, senza timore di sfidare sindacati e decine di migliaia di professori, Draghi ribadisce in Aula la sua idea di prolungare l'anno scolastico e accorciare le vacanze. E poi ci sono le tasse, che SuperMario, senza 38 dirlo chiaramente, giudica complicate, irrazionali, inique e dal peso ingente e mal distribuito, comunque da rifare da cima a piedi, e non è compito da politici ma da qualcuno che ci capisce; questo il banchiere lo scandisce a chiare lettere. FINITA LA RICREAZIONE Lo sapevamo tutti, che le cose non andavano. Il romano d'America e d'Europa, che nei 50 minuti di discorso ha un solo svarione, quando per dire «il nostro Paese» gli scappa «il vost..», ha sancito papale che il regno è nudo, perché i precedenti regnanti lo hanno spogliato per decenni. E adesso l'unica cosa da fare è rimboccarsi le maniche e non rompere le scatole. Le giornate di ieri e di oggi sono, nella mente del premier, l'ultima ricreazione della politica, alla quale l'unto da Mattarella concede l'onore delle armi, dichiarando con una pietosa menzogna che il suo arrivo non è un passo indietro dei partiti ma uno in avanti, perché così si avvicinano ai problemi della gente. Come a sottintendere che, fino a ieri, se ne sbattevano. «Vi ringrazio per la stima, ma giudicatemi dal lavoro che farò» ammonisce la platea il nuovo premier, marcando la distanza tra sé e i parolai del Parlamento. Draghi non nomina reddito di cittadinanza né pensioni, ma non perché non intenda porvi mano. Lo si capisce quando parla di sacrifici da fare per i figli, come era usanza delle vecchie generazioni, e di lotta agli sprechi, ognuno dei quali è un torto ai giovani. Interviene invece sull'immigrazione e denuncia come un'anomalia non più accettabile la politica d'accoglienza dell'Italia, specie se paragonata agli altri Paesi Ue, che il banchiere europeista richiama ai loro doveri di solidarietà. Tante belle parole, finora buone per cullare la prima notte degli italiani agli ordini di Draghi, che ha specificato di andare a Palazzo Chigi per durare, perché solo così si incide. Altrimenti anche lui finirà vittima del sonno della ragione che da lustri accomuna politici e cittadini. 39 Libero quotidiano, 18 febbraio 2021 Applausi tiepidi. Pragmatico e di ghiaccio. Mario non scalda i partiti. II premier non suscita entusiasmi né antipatie. Soltanto l'errore sul numero dei ricoveri lo rende umano. Il Senato gli dà un'ampia fiducia, per ora al buio Fausto Carioti «Draghi è l'oncologo famoso che dopo la visita ti guarda con la faccia di uno che ne ha viste tante e ti dice che forse riuscirà a salvarti, o forse no. Nessuna empatia da parte sua Nemmeno tu lo ami, ne faresti volentieri a meno, ma te lo tieni perché non hai alternative». Il presidente del consiglio ha finito da poco di illustrare i progetti del suo governo e uno dei senatori di centrodestra che a notte fonda gli voteranno la fiducia esce nella sala Garibaldi di palazzo Madama e dice quello che tanti altri eletti, di ogni colore, pensano. La metafora vale per l'Italia, ma pure per i partiti: Mario Draghi non è uno dei loro, però debbono ingoiarlo. Amen, almeno per ora. Infatti, alla fine, il tabellone dice che ad opporsi all'esecutivo sono solo i Fratelli d'Italia, un pugno di dissidenti grillini e pochissimi reduci di sinistra. Ma questo non deve ingannare, e nemmeno le venticinque interruzioni di applausi rimediate nei 51 minuti di discorso: i battimani sono brevi e senza passione, la liturgia si trascina stanca per tutta la giornata, anche nei pochi interventi dell'opposizione. Draghi non suscita entusiasmi né antipatie viscerali. Sarà senza dubbio sincero quando dice che «non vi è mai stato, nella mia lunga vita professionale, un momento di emozione così intensa e di responsabilità così ampia», ma è vero pure che lui riesce a mascherarlo benissimo, con frasi asciutte e un volto imperturbabile, persino attento durante sei ore di soporifero dibattito. Solo un errore lo rende all'improvviso umano, quando sbaglia (lui, l'economista) il numero dei ricoverati per Covid in terapia intensiva: dice «due milioni», per fortuna sono mille volte meno. Gli stessi Cinque Stelle, che pure sono il partito con più ministri, al termine delle sue «dichiarazioni programmatiche» restano seduti, senza battere le mani. Vito Crimi, che sarebbe tuttora il capo politico del movimento, continua a scrivere sul cellulare («fingeva di farlo», diranno gli altri). Per gli orfani di Giuseppe Conte la ferita è ancora aperta A cose fatte, il commento più diffuso è: «Sembravano le considerazioni finali del governatore della Banca d'Italia». Ossia quel rito polveroso che si svolge a fine maggio nel palazzo di via Nazionale, del quale Draghi è stato protagonista per sei anni: l'elenco dei mali del Paese diagnosticati da una tecnocrazia tanto sapiente quanto distante dalla pancia degli italiani. Detta dai politici, non è un complimento. Fiducia obbligata, quindi. A maggior ragione perché data al buio, senza che Draghi abbia scoperto le carte del programma, di cui si sa ancora pochissimo, oltre al fatto che ci vorrebbero «almeno due legislature per portarlo a termine», come ridacchia un ex ministro. Il nuovo premier, ad esempio, non parla del Mes, il fondo salva-Stati europeo: eppure è stato proprio per questo che Matteo Renzi ha terremotato Conte e la coalizione giallorossa. Sull'immigrazione, altro tema divisivo, Draghi se la cava col minimo sindacale: si batterà a Bruxelles per «un meccanismo obbligatorio di redistribuzione dei migranti pro-quota» e per «una politica europea dei rimpatri dei non aventi diritto alla protezione internazionale», beninteso salvaguardando «il pieno rispetto dei diritti dei rifugiati». L'essenza dell'ovvio e del giusto, perfetta per non deludere nessuno, da Matteo Salvini a Roberto Speranza. Storia simile sul fisco. Annuncia «un intervento complessivo», che riguardi tutte le tasse e 40 includa «una revisione profonda dell'Irpef+, tale da «ridurre gradualmente il carico fiscale e preservare la progressività». Nulla dice, però, riguardo alle altre imposte, quelle che potrebbero essere alzate per recuperare gettito: e il pensiero corre subito alla patrimoniale invocata dai suoi amici della Banca d'Italia... Già spiazzato per come è stata composta la squadra dei ministri, il centrodestra incassa con disagio un passaggio in cui Draghi avverte Salvini, pur senza nominarlo, che «sostenere questo governo significa condividere l'irreversibilità della scelta dell'euro», nonché «la prospettiva di un'Unione europea sempre più integrata». E ancora che gli Stati nazionali devono rimanere «il riferimento dei nostri cittadini, ma nelle aree definite dalla loro debolezza cedono sovranità nazionale per acquistare sovranità condivisa», poiché «non c'è sovranità nella solitudine». Troppo persino per i senatori di Forza Italia: «Perché infierire così su Salvini?», si chiedono due di loro, senza trovare risposta. Sul terreno dei principi, in compenso, Draghi non lascia a bocca asciutta nessuno. Quando dice che «la nostra missione di italiani è consegnare un Paese migliore e più giusto ai figli e ai nipoti», promette «velocità» nelle vaccinazioni, «un funzionamento più efficiente dei tribunali» e «un rapido ritorno a un orario scolastico normale», elenca cose che leghisti e forzisti sottoscrivono con convinzione. Resta da capire come tutto questo sarà realizzato in pratica. Oggi il copione sarà ripetuto alla Camera. E da domani, finalmente, i fatti potranno rimpiazzare le parole. 41 Il Foglio, 18 febbraio 2021 Dalla brevitas alla gravitas. Con dosi di intelligenza trasferite nel linguaggio della politica di unità. Gran Draghi, con una pecca Giuliano Ferrara Impeccabile. Impenetrabile. Come un discorso indiretto, in terza persona, e chi ha letto il Bellum Gallicum sa di che cosa parlo. Ho sempre avuto il mito dell'impenetrabilità Volevo esserlo e mio padre, con una tenerezza ridente che non ho mai più ritrovato nella vita, mi sconsigliava di coltivare quell'ambizione. Di me si vede tutto e il residuo del tutto. Di Marco Draghi si vede solo quello che decide di far vedere, e si ascolta in un italiano magistrale, asciutto, pulito senza ostentazione, soltanto, esclusivamente quello che intende esprimere in quel momento. Nella dissipazione si può dissimulare, eludere, sviare con il paradosso e il sofisma, cose che capitano agli irresponsabili che chiacchierano e scribacchiano, ma nella continenza del funzionario e dello statista si realizzano la responsabilità, il dovere di essere sinceri nell'efficacia. Churchill è forse in questa linea l'unica importante eccezione, ma era il discendente di un duca. Ma non voglio insistere sul tono, sullo stile, che pure sono l'essenza di un discorso politico. Aggiungo appena, in margine, che questa lunga e impegnativa interruzione del silenzio era fatta di brevitas, perché si può essere analitici e diffusi ma senza sbrodolature, e di gravitas, evidente nel decisionismo di fatto, nella generosità verso il passato lontano e recente, nel suo modo tutto politico di castigare un'idea primitiva e infantile della cosiddetta competenza. Chi la competenza ce l'ha, non se ne dà l'aria. E da molto tempo sostengo che, nonostante gli studi sui modelli matematici o econometrici, la vera competenza di Draghi è la politica. Una sola obiezione. Un uomo di stato europeo, proiettato sulla scena internazionale, non può sottrarsi al codice dell'uniformità ambientalista. Deve rasentare un ragionevole catastrofismo, paradosso dei paradossi della cultura e del discorso dominanti. Macron, Merkel e Biden non fanno eccezione alla regola. L'unica eccezione è stata impalatabile, scollacciata, barbarica, e si sa di chi questiono qui. Però avrei cercato di inserire una clausola di ragionevolezza e di chiusura alla temperie apocalittica. Ci ha provato, non dico di no, collegando ambiente, clima e sostenibilità dello sviluppo con l'insistenza su investimenti e tecnologie, ma dalle sue parole non è mai emerso il dubbio razionale, non dico una punta di scetticismo, dico un avvertimento sui rischi di una nozione soggettivista, e insieme dottrinale e dogmatica, del nuovo pensiero ecologista, della nuova religione francescana nel suo utopismo anacronistico. Anzi, con quella citazione di Bergoglio ha portato un neo-messianesimo di sapore ereticale e ideologico in Parlamento, che non è il luogo adatto. Ma sono sofisticherie di dettaglio. Draghi ha immesso una gran dose di intelligenza e fiducia nel linguaggio della politica di unità e responsabilità nazionale, lo ha fatto in un segno evidente di continuità e rinnovamento, più che delle politiche, della cultura politica. Non ha buttato alle ortiche la storia istituzionale di questo paese e della sua classe dirigente semplicemente perché ne è a suo modo un campione rappresentativo, oggi sicuramente il più illustre e il meno scialbamente tecnocratico, marcato dall'esperienza del mondo occidentale. E' il caso di dire, e spiace per l'opposizione benedetta ma tardosovranista dei Fratelli d'Italia, spiace per le fisime dell'Infiltrato: "Rule, Britannia! Britannia rule the waves". 42 Il Foglio, 18 febbraio 2021 La formidabile lezione del professor Mario Draghi - Un nuovo rapporto tra Stato e Cittadini. Più sussidiarietà e concorrenza, meno dirigismo. Luciano Capone Nel primo e articolato discorso di Mario Draghi da presidente del Consiglio è presente una traccia che indica un cambiamento nel modo di intendere il rapporto tra stato e cittadini, tra stato e mercato, tra stato e società. Questa diversa sensibilità è apparsa all'inizio del suo intervento, quando Draghi si è rivolto a "coloro che lavorano nelle attività più colpite o fermate per motivi sanitari", dicendo che il governo si impegnerà "a fare di tutto perché possano tornare nel più breve tempo possibile, nel riconoscimento dei loro diritti, alla normalità delle loro occupazioni". Le riaperture delle attività economiche nel linguaggio del governo Conte erano accompagnate spesso da termini come "concesso" e "permesso", mentre ora Draghi parla di "riconoscimento dei diritti" di chi lavora. Nella sostanza potrebbe non cambiare molto se la diffusione del contagio dovesse costringere il governo a ulteriori restrizioni, ma nella scelta lessicale il passaggio da un diritto ottriato a uno riconosciuto non è banale. E questa attenzione è sottolineata anche nel passaggio successivo, quando il premier afferma l'impegno quantomeno a "informare i cittadini con sufficiente anticipo di ogni cambiamento nelle regole". Anche nella gestione della pandemia, i cittadini non possono essere trattati da sudditi. Un nuovo rapporto tra stato e cittadini: più sussidiarietà e concorrenza, meno dirigismo. Lo stato secondo Draghi I limiti del perimetro pubblico, i vaccini, la riforma della Pa, il dinamismo della società Il ruolo centrale ma non centralizzatore dello stato è evidente anche riguardo alla sfida immediata più importante insieme al Recovery plan: il piano di vaccinazione. Draghi chiede il coinvolgimento delle realtà pubbliche e private radicate sul territorio e finora escluse, come la Protezione civile e i volontari, e una presenza capillare dei centri vaccinali: "Non dobbiamo limitare le vaccinazioni all'interno di luoghi specifici, spesso ancora non pronti: abbiamo il dovere di renderle possibili in tutte le strutture disponibili, pubbliche e private". Inoltre per Draghi bisogna fare tesoro degli errori fatti sui tamponi "che, dopo un ritardo iniziale, sono stati permessi anche al di fuori della ristretta cerchia di ospedali autorizzati". Dalla velata critica alle primule ("luoghi specifici" e "ancora non pronti") alla richiesta di un maggiore coinvolgimento di altre realtà, è evidente che il piano che Draghi ha in mente è ispirato ai principi di sussidiarietà orizzontale e verticale, che è l'opposto di quello centralista di Arcuri. In un contesto in cui, a causa della crisi sanitaria ed economica, si chiede alla mano pubblica di fare di più e molte più cose, Draghi riconosce che è necessario intervenire su molti fronti (ambiente, scuola, sanità, disuguaglianze, politiche attive), ma mette in guardia sui pericoli di un'eccessiva estensione delle competenze statali. "Il ruolo dello stato e il perimetro dei suoi interventi dovranno essere valutati con attenzione. Compito dello stato è utilizzare le leve della spesa per ricerca e sviluppo, dell'istruzione e della formazione, della regolamentazione, dell'incentivazione e della tassazione". La necessità di una delimitazione del perimetro statale indica che non bisogna sottovalutare i rischi dello statalismo, e non a caso le modalità d'intervento indicate sono quelle storicamente più neutrali (regolamentazione, tassazione e incentivazione) e meno dirigiste rispetto alle invocazioni di un ritorno dello "stato imprenditore". In questo senso, più che aumentare le competenze statali, è importante far svolgere meglio quelle che già ora sono affidate alla Pubblica amministrazione: dalla scuola alla sanità passando per la giustizia. Nel nuovo rapporto tra stato e cittadino viene presentata l'urgenza di una riforma della Pa: "La fragilità del sistema delle pubbliche amministrazioni e dei servizi di interesse collettivo è, tuttavia, una realtà che deve essere rapidamente affrontata" attraverso "investimenti in connettività", "aggiornamento continuo delle competenze dei dipendenti pubblici" e migliorando la selezione delle assunzioni. L'altra importante novità, anche dal punto di vista lessicale, è il ritorno di un concetto che ormai in Italia sembrava dimenticato: concorrenza. Che Draghi ha declinato riguardo al mercato ma anche in riferimento alla parità di genere, che non pub essere garantita da un "farisaico rispetto di quote rosa" imposte dall'alto bensì da una "parità di condizioni competitive tra generi" dal basso. Per ripartire non serve più stato, ma uno stato migliore. E una società più dinamica. 43 Domani, 18 febbraio 2021 Valori, dati ed esperti. Il metodo Draghi per disciplinare i partiti Stefano Feltri Un uomo solo non può salvare un paese intero, neppure se quell'uomo è Mario Draghi Ma un presidente del Consiglio sostenuto dalla più vasta maggioranza di sempre può avere la legittima ambizione di imporre un metodo di lavoro. Nel lungo discorso della fiducia in Senato del nuovo premier ci sono tante cose, accomunate da un approccio trasversale si identificano valori di fondo ben chiari dai quali discendono gli obiettivi generali delle politiche, poi si analizza la situazione sulla base di dati precisi, si individuano le possibili politiche di intervento e si sceglie quella coerente con gli obiettivi da raggiungere. Un'applicazione di questo metodo Draghi è al mondo del lavora la pandemia ha colpito tutta l'economia (4 milioni di ore di cassa integrazione tra aprile e dicembre 2020) ma con impatti differenziati, donne e giovani, specie se con contratti a tempo determinato, hanno subìto le conseguenze peggiori. Nel 2020 gli occupati si sono ridotti di 444mi1a unità, ma i contratti a termine sono diminuiti di 393mila e gli autonomi di 209mila Date queste premesse, ne discende inevitabilmente che ogni intervento di protezione sociale deve concentrarsi su queste categorie e non su quelle meno colpite. Tradotto: limitarsi a prolungare il blocco dei licenziamenti come è ora aggraverebbe questa ingiusta ripartizione del costo della crisi. Per interagire con Draghi, par di capire, bisognerà adeguarsi al suo metoda Dove ci sono i dati si usano, perché le decisioni prese senza dati alla base sono soltanto ideologiche, dunque possono essere imposte a colpi di maggioranza ma senza possibilità di sintesi tra visioni opposte. Per questo Draghi sembra voler dare priorità alle materie e agli interventi con un punto di partenza e di arrivo misurabili anche gli interventi di messa in sicurezza del territorio e manutenzione delle opere, per esempio, devono essere fatti sulla base «dei più recenti sviluppi in tema di Intelligenza artificiale e tecnologie digitali». Non tutti gli interventi sono uguali, soldi, tempo ed energie devono essere indirizzati dove possono ottenere il risultato più coerente con gli obiettivi da raggiungere. L'opposto della logica con cui sono state finanziate impegnative politiche dei governo Conte2, dal cashback al superbonus edilizio, che distribuiscono miliardi a pioggia e misurano il proprio successo semplicemente dal numero di persone che usufruisce dell'incentivo, invece che considerare se l'incentivo modifica i comportamenti nel senso desiderata Questo significa applicare una qualche forma di analisi costi e benefici ogni volta che è possibile, anche e soprattutto al Recovery plan: basterebbe questa promessa a marcare la differenza con il keynesismo da bar del governo Conte, in base al quale ogni spesa pubblica è buona spesa. Draghi ha ben chiaro che anche in un mondo di risorse virtualmente illimitate come quello attuale — 209 miliardi europei, tassi di mercato sul debito vicini allo zero — il concetto di costo opportunità rimane i soldi, il tempo e il capitale politico impegnato su un progetto non sono stati usati per uno alternativa «Ogni spreco oggi è un torto che facciamo alle prossime generazioni, una sottrazione dei loro diritti», dice Draghi. ora, questo approccio ha un limite la politica, e la comunicazione politica della stagione populista in particolare, vive di semplificazione In alcuni casi la complessità può diventare eccessiva per le normali dinamiche del dibattito politico e dunque — sostiene Draghi — lo sforzo di sintesi va esternalizzato ai tecnici: è il caso della riforma del fisco, perché è meglio modificare varie tasse insieme invece che cercare singoli compromessi su ogni revisione. Draghi suggerisce di lasciare il lavoro a una commissione di esperti. Questo è possibile soltanto a una condizione che le forze politiche siano d'accordo sull'obiettivo che gli esperti devono raggiungere. Per questo Draghi ha fatto un discorso che non è soltanto di metodo ma anche di valori. Passaggio dall'economia pre Covid a quella post Covid senza affidarsi alla mera distruzione creatrice del mercato ma con il tentativo di minimizzare i costi sociali (ed economici) in una prospettiva di equità anche intergenerazionale, non basta cioè spostare il costo della fase di aggiustamento sul futuro o sui meno garantiti, Una volta ottenuta la fiducia su questa cornice politica, nessuno potrà opporsi ad affidare al premier o alle commissioni di esperti l'elaborazione degli strumenti tecnici più adatti allo scopo. Questo è il metodo Draghi presentato ieri. Che poi riesca a imbrigliare il dilettantismo e la miopia dei partiti è tutto da vedere. 44 Domani, 18 febbraio 2021 Primo passo per rivedere il Recovery. Ora bisogna indicare gli obiettivi e i risultati Fabrizio Barca Il discorso di Draghi va nella direzione auspicata dal Forum disuguaglianze e altre associazioni della società civile: la governance sarà centrata sul ministero dell'Economia e si appoggerà alla pubblica amministrazione, invece di creare una regia parallela Con l'intervento al Senato del presidente del Consiglio Mario Draghi abbiamo ora alcune informazioni su come il nuovo governo affronterà il Piano di Ripresa e Resilienza. Ma non sappiamo ancora se nel farlo verrà superata la tara di una cultura arcaica dell'intervento pubblico chiusa ai saperi della società. 0 se, viceversa, verrà costruito un confronto aperto e informato, per ognuno degli obiettivi strategici. Che richiederebbe assai poco tempo. Vediamo Sappiamo che si partirà dalla Bozza di Piano chiusa dal precedente governo, «approfondendolo e completandolo» e tenendo conto degli orientamenti del parlamento. Viene ricordata la «scadenza molto ravvicinata di fine aprile», ma con un condizionale — «avrebbe» — che lascia aperta una finestra. Viene messa forte enfasi sull'obiettivo di «migliorare il potenziale di crescita della nostra economia», ma poi si ritorna sugli obiettivi più innovativi assegnati dall'Unione, dichiarando che le Missioni (pur rimodulabili e accorpabili) «resteranno quelle enunciate nella Bozza del governo uscente», che a transizione ecologica e digitale affiancava, fra l'altro, il contrasto delle disuguaglianze di genere, generazionali e territoriali. Uno dei problemi di quella bozza non era nei titoli, ma nella mancata specificazione di risultati attesi verificabili che possano divenire «certezze su cui contare» per cittadine e cittadini. Su questo il presidente del Consiglio non ha parlato. Ha allungatolo sguardo, ragionevolmente, oltre il 2026, ma non si è impegnato ancora affinché la grammatica del Piano divenga quella dei «risultati». Che, ricordiamolo, è l'unico metro per motivare attuatori e beneficiari e, prima ancora, per escludere dal Piano progetti inutili. Tutto passa al ministero.Sulla governance, la scelta è di mantenerne il cardine «nel Ministero dell'Economia e Finanze», a cui il boccino fu trasferito a fine 2020, «con la strettissima collaborazione dei ministeri competenti». E' una dizione compatibile con la proposta che il Forum Disuguaglianze e diversità e molti altri hanno avanzato sin dallo scorso autunno di assicurare al Piano una governance dentro il perimetro ordinario delle amministrazioni pubbliche. Ma dovrà essere urgentemente completata dagli altri passi proposti: affidamento delle responsabilità nazionali di guida a strutture e vertici dei ministeri, da irrobustire o rinnovare senza esitazioni, anche con immissioni esterne forte e celere investimento di risorse umane nelle filiere pubbliche territoriali (Comuni, prima di tutto) che attuerà il 60 per cento circa degli interventi. Quest'ultimo passo sarebbe, peraltro, in sintonia con l'enfasi che il Presidente del Consiglio ha messo sul rinnovamento della pubblica amministrazione. Ha usato il termine "riforma", ma, ci auguriamo, solo perché così Bruxelles definisce gli interventi sulle istituzioni Infatti, ha enfatizzato la selezione «nelle assunzioni delle migliori competenze e attitudini in modo rapido, efficiente e sicuro, senza costringere a lunghissime attese decine di migliaia di candidati»: esattamente una delle quattro gambe dell'intervento che chiediamo. Primi cenni. Nel discorso non vi sono indicazioni di merito sulla direzione di revisione del Piano, se non una forte enfasi sui profili attinenti la tecnologia e l'istruzione tecnica, una limitata attenzione al sistema del welfare, peraltro opportunamente citato come requisito della parità di genere, l'assenza di ogni riferimento ai cattivi e buoni lavori, al lavoro irregolare, agli impatti della tecnologia 45 sul lavoro in termini di offerta e condizioni di lavoro, ai lavori sottopagati, al lavoro in schiavitù. Una dimensione, quest'ultima, già povera nel Piano e che domanda un deciso rafforzamento, se la forte apertura ai temi della crisi generazionale e della prospettiva di genere vogliono tradursi in fatti. Ma il silenzio che voglio rimarcare, perché se permanesse sarebbe irrecuperabile, riguarda il dialogo sociale. Cosa manca. II "terzo settore" è citato solo come opportunità per realizzare "leva finanziaria". Le "parti sociali" solo perché la Commissione fiscale danese, citata a esempio di metodo per la riforma fiscale, le incontrò. Viceversa, non si pensa, o comunque non ci si impegna, a incontrarle per la chiusura del Piano. L'avevamo scritto, l'ultima volta il 13 scorso su queste pagine, nel richiamare le critiche puntuali, le proposte precise sul Piano, avanzate dal Forum DD e da molti altri, che attendono risposta. Non si sopravvalutino i propri saperi, non si lasci che decisioni politiche siano prese senza confronto, come fossero tecniche. Si impegnino — abbiamo scritto e torniamo a scrivere - i nuovi ministri e le nuove ministre a presidiare il confronto fra le loro tecno-burocrazie, selezionate e rinnovate, e il partenariato. Si ascolti, si valuti, e poi si diano le risposte, positive o negative che siano, ma motivate e pubbliche. E' il solo modo per trasformare il Piano in una strategia-paese, ricostruire fiducia e riparare un tessuto democratico gravemente lacerato. 46 Domani, 18 febbraio 2021 Il premier più anziano è il solo che parla come i ragazzi del clima Con il discorso di Draghi al Senato, l'ambientalismo diventa un pilastro dell'unità nazionale e del ruolo internazionale dell'Italia, al pari di atlantismo ed europeismo Ferdinando Cotugno La frase che rimarrà, il «whatever it takes» ecologista di Mario Draghi, è questa: «Vogliamo lasciare un buon pianeta, non solo una buona moneta». Quella più importante però è di qualche minuto prima. «Ogni spreco è un torto che facciamo alle prossime generazioni, una sottrazione dei loro diritti». Draghi l'ha pronunciata nel contesto del debito pubblico, parlando di investimenti da fare al meglio e di risorse scarse, malo spreco di una risorsa presente vista come sottrazione di diritti futuri è un programma di governo ben più che monetario, è un manifesto. Il destino ecologico dell'Italia oggi è affidato a un uomo che non ha un passato ecologista, ma che ha dimostrato di saper cogliere il senso dei passaggi storici improcrastinabili. Il «whatever it takes» pronunciato nel 2012 non era solo il capo di una banca centrale che faceva la cosa giusta dal punto di vista finanziario, ma la risposta globale a una domanda di cambiamento. L'ambientalismo di oggi ha lo stesso significato: un appuntamento con la storia Il programma ambientale esposto da Draghi al Senato è fatto di tre orizzonti temporali, tutti ben oltre il limite di questa legislatura. Il primo è il 2026, anno finale del Next Generation EU, quando dovremo aver speso interamente e bene i fondi per ripartire, più di un terzo dei quali per progetti di impatto ecologico. Il secondo è il 2030, entro il quale l'Italia, come ogni paese dell'unione europea, si è impegnata a ridurre le emissioni di CO2 del 55 per cento. Il terzo è il 2050, quando le emissioni di CO2 della nostra economia dovranno essere arrivate a zero. Mario Draghi è il debuttante più anziano alla presidenza del Consiglio, il suo mandato coprirà al massimo un biennio, ma nel suo primo discorso al parlamento ha posto il limite del la sua azione politica per l'ambiente a quasi tre decenni da oggi, quando lui non ci sarà più e i suoi figli saranno anziani. Sono orizzonti facili da enunciare per l'Onu o l'Unione europea, più complessi da usare come riferimento nella pratica parlamentare quotidiana. Draghi sa di dover navigare le ristrettezze del presente, ma ha ribadito che il suo piano per il clima è intergenerazionale, con un senso di ricostruzione e dopoguerra, a favore di figli e nipoti, «nella speranza che ci ringrazino». Il cambio di tono Non si potrà che valutare sul campo cosa riuscirà a fare, ma a livello retorico il respiro ambientalista della politica italiana non era mai stato così lungo. Il suo debutto politico è stato più enunciazione di visione e metodo che contenuti specifici. La «sfida poliedrica» che ha presentato non riguarda solo la transizione energetica, ma anche fragilità idrogeologica, biodiversità, protezione dei territori, turismo, e dovrà fare ricorso a digitale, educazione, cloud computing. L'ecologia è stato uno dei terni portanti del discorso al Senato, insieme alla lotta contro il virus, alla sanità, all'istruzione, alla parità di genere. La chiave politica è questa: l'ambientalismo oggi per l'Italia deve essere come l'atlantismo e l'europeismo, un nuovo pilastro dell'unità nazionale chiesta al Parlamento e un elemento centrale della nostra collocazione internazionale, qualcosa che si può discutere solo mettendosi ai margini della sfera pubblica Draghi ha ricordato in coda al discorso, appena prima del climax finale sull'amore per l'Italia, i due impegni internazionali del 2021, entrambi con una chiave green. Prima la presidenza del G20, che ha come parole d'ordine «People, Planet, Prosperity» e che 47 «coinvolgerà tutta la compagine di governo». Questi tre concetti, ha suggerito ai suoi ministri tecnici e poli devono essere i vostri concetti. E poi il ruolo di co-organizzazione della Cop26, anticipato dall'evento Youth4Climate di Milano. Incontri che «l'Italia avrà la responsabilità di guidare», per «ricostruire e ricostruire meglio». La sfida di Draghi è sminare una linea di conflitto che sul tema tenderà a gonfiarsi nei prossimi mesi tra le litigiose forze della maggioranza. Il «nuovo modello di crescita» implica decisioni politiche, ci sarà da scontentare grandi aziende, settori dell'economia e parti della società La Francia, che politicamente e istituzionalmente ha avviato la transizione ecologica quattro anni prima dell'Italia, è un esempio delle tensioni che rischiano di svilupparsi quando dalle parole si passerà non solo a investimenti ma a obblighi, li miti e nuovi stili di vita. E in quest'ottica sono importanti due passaggi in apparenza politicamente scarichi del suo discorsa il primo è il richiamo all'ecologia integrale, con la quale nella enciclica Laudato sì del 2015 Papa Francesco ha definitivamente schierato la chiesa cattolica sul fronte della lotta ai cambiamenti climatici. La difesa del creato I partiti di destra della maggioranza arrivano all'appuntamento con la transizione ecologica poveri di strumenti per affrontare il tema e soprattutto raccontarlo ai propri elettori. «Ambientalismo senza ideologie», aveva chiesto Matteo Salvini durante le consultazioni. Se non un'ideologia, almeno una cornice di pensiero serve, per orientarsi ed essere coinvolti. Draghi, da allievo di gesuiti, l'ha indicata con discrezione la difesa del Creata Se non potete ispirarvi a Greta Thunberg, ascoltate il pontefice. ll secondo elemento è il richiamo allo spopolamento delle aree interne, tema che è stato patrimonio della sinistra (basti pensare al lavoro di Fabrizio Barca) ma che può diventare potabile anche a destra, in chiave di difesa di agricoltura (una delle attività più colpite dal cambiamento climatico), tradizioni, identità biologiche e culturali Se non potete farlo per l'atmosfera, che non ha confini e quindi sfugge a letture sovraniste, fatelo per il suolo e la terra. 48 La Verità, 18 febbraio 2021 L'uovo di Draghi va di traverso al Pd. Non è Diavolo né Messia, ma almeno Super Mario non sbanda a sinistra Maurizio Belpietro A parte lo scontato europeismo e la liquidazione di mister Invitalia, su blocco dei licenziamenti, tasse da ridurre, collocazione internazionale e scuola il programma di governo non liscia certo il pelo a sinistra M5s e sindacati. Più nebuloso su altri argomenti. Lo diciamo subito, così sgombriamo il campo dalla questione principale, che prescinde dalle posizioni politiche e dalle questioni di principio. Nessuna persona di buon senso può augurarsi che Mario Draghi fallisca. Per quanto qualcuno possa nutrire diffidenza nei confronti di un banchiere, per di più centrale e dunque abituato a confrontarsi con le politiche monetarie sovranazionali e non con i problemi spicci della gente, non si pub sperare che il suo tentativo di concludere la legislatura con un governo di unità nazionale finisca male. L'esperimento voluto da Sergio Mattarella pub non piacere, ma se si concludesse nel peggiore dei modi, ossia senza rispondere con adeguate misure all'emergenza sanitaria ed economica in cui si dibatte il Paese, i primi a farne le spese sarebbero gli italiani. Dunque, per parte nostra, pur continuando a preferire le elezioni agli esecutivi non voluti dal popolo, confidiamo nel fatto che non è Diavolo né Messia, ma almeno Super Mario non sbanda a sinistra. Al Senato, l'economista presenta un piano di buon senso: giusto stroncare le primule e eliminare il blocco dei licenziamenti. Scontati i passaggi pro Ue. Noi gli auguriamo successo, però aspettiamo di vedere i fatti che l'ex governatore faccia bene, anche se la squadra che si è scelto per affrontare le sfide del Covid e della crisi economica non ci sembra la più affidabile, soprattutto perché a farne parte sono stati chiamati alcuni esponenti del precedente governo, i quali non hanno certo dato grande prova negli ultimi diciotto mesi. Ciò detto, andiamo al sodo, cioè al discorso con cui il nuovo presidente del Consiglio ha chiesto la fiducia al Senato della Repubblica. In tre quarti d'ora Draghi ha messo in fila tanti bei propositi, ma senza dire nulla di particolarmente impegnativo. Parlare dei giovani, del debito che la nostra generazione ha nei loro confronti, del bisogno di far fronte alla pandemia con un piano vaccinale tempestivo, della necessità di rendere più efficiente la pubblica amministrazione, la scuola e la giustizia civile, è a dir poco scontato. A nessuno, neanche al più scalmanato grillino, verrebbe di dire il contrario. E sull'ambiente, sulla sostenibilità della produzione, chi potrebbe dichiararsi contrario? Il premier, in pratica, si è presentato a Palazzo Madama con un programma che il Parlamento non può respingere, tanto le questioni poste all'attenzione delle Camere sono da considerare di buon senso. Tuttavia, Draghi si è ben guardato dallo specificare come lui e il suo governo abbiano intenzione di realizzare ciò che promettono. Forse è scontato che in un discorso di insediamento non si forniscano i dettagli dei provvedimenti che si ha in animo di adottare. Certo che se qualche specifica fosse stata fornita, tutti si sarebbero fatti un'idea più precisa di ciò che Draghi intende fare. Ovvero di come egli pensi di snellire la pubblica amministrazione, di rendere più veloce la giustizia, di risolvere il grande tema dell'immigrazione. Il presidente del Consiglio, tuttavia, non è stato totalmente vago e generico durante il suo intervento. Quando ha voluto, qualche messaggio lo ha lanciato e abbastanza chiaro. Tanto per dire, a proposito dei vaccini, pur senza evocare il nome di Domenico Arcuri né criticandone l'operato, Draghi ha archiviato senza troppi giri di parole la storia delle primule, ovvero dei tendoni disegnati dall'archistar Stefano Boeri per il piano vaccinale, e ha aggiunto che per raggiungere l'obiettivo di immunizzare gli italiani, con l'aiuto dell'esercito, della protezione civile e dei volontari, si ricorrerà a ogni struttura, pubblica e privata che sia, come, con ritardo, si è fatto coni tamponi. 49 Una sconfessione bella e buona della linea Arcuri, che invece avrebbe voluto soprintendere da solo alla campagna vaccinale. Sul blocco dei licenziamenti, tema caro alla sinistra, finanziato a spese delle aziende, non ha preso alcun impegno, ma ha fatto intendere che il provvedimento, adottato solo dall'Italia e da nessun altro Paese europeo, è a scadenza e prima o poi sarà revocato. Sul fisco, invece, Draghi non ha mostrato margini di incertezza e, riferendo l'esperienza danese e quella italiana di quarant'anni fa con Bruno Visentini, ha lasciato capire che le aliquote vanno ridotte, sia quella più alta che quella più bassa, elevando la fascia di esenzione. C'è un altro tema su cui l'ex governatore non ha usato mezze parole e riguarda la scelta di campo internazionale. Per il presidente del Consiglio, all'Europa non ci sono alternative e neppure all'euro e fin qui avremmo potuto scommetterci, anche perché un ex presidente della Bce non può certo dire il contrario, fosse solo per la necessità di dover tranquillizzare i mercati. Draghi però è andato oltre, descrivendo come irreversibile la scelta di campo atlantica. In pratica, stiamo con l'America, non con la Cina (ma neanche con la Russia), e così si conclude il lungo flirt con Pechino iniziato con l'avvento dei grillini, che per ragioni oscure negli ultimi tempi preferivano strizzare l'occhio a Xi Jinping piuttosto che a Donald Trump. Nel discorso c'è stato il tempo anche per parlare di scuola, con un giudizio non proprio positivo di quel che è stato fatto nell'ultimo anno e un proposito di estensione dell'anno scolastico che sicuramente non piacerà alla Cgil e ai compagni, che del precedente ministro sono stati fino a ieri i principali suggeritori e sostenitori della didattica a distanza. Nel complesso, sulle cose in cui è stato chiaro (e non sono state molte), Draghi ha fatto un discorso più moderato che di sinistra, senza fare troppe concessioni a Leu e al Pd neppure su temi ideologici come quello dell'immigrazione e dei porti aperti all'invasione. Naturalmente, il programma dovrà essere misurato dalla prossima settimana, perché le parole spesso si scontrano con la realtà, con le maggioranze parlamentari e coni legami europei, e questo governo non potrà sfuggire alla regola. P er parte nostra, ci limiteremo a raccontare i fatti come sempre facciamo, senza pregiudizi e senza timori di alcun genere, in particolare non avendo paura di dispiacere a qualcuno. L'ex governatore per noi non è il Diavolo, come pensano e non dicono molti compagni, ma non è neppure il Messia, come invece non pensano ma già scrivono molti giornali. Ciò che è, e soprattutto ciò che vuole fare, lo capiremo presto. E speriamo che serva all'Italia. 50 Il Fatto quotidiano, 18 febbraio 2021 "Finalmente uno statista": coro dei giornalisti ultrà per Mario Santo Subito- I social dei direttori grondano melassa Marco Franchi AGGETTIVI "ELEGANTE, AUTOREVOLE, APPASSIONATO, SERIO, COLTO, PERFETTO" Come allo stadio, una curva entusiasta e una meravigliosa, ipnotica, inesauribile ola digitale. Mario Draghi parla e i commentatori ticchettano su smartphone e tablet i loro omaggi in tempo reale. Il draghismo è un sentimento collettivo: è difficile, a memoria, ricordare un leader politico a cui sia stato tributato un apprezzamento tanto unanime. Da giornalisti, politici, associazioni, interpreti avario titolo dell'opinione pubblica. A ogni parola di Draghi corrisponde un cinguettio amoroso. Questa è una breve cronaca del discorso di Draghi nelle parole degli altri. Gianni Riotta, La Stampa: "Discorso politico da leader politico, vaccini, Europa, Usa, riforme fisco, amministrazione giustizia, patriottismo. Chi si aspettava la gestione burocratica di un tecnocrate sbagliava. Non giudicate il premier dai suoi nemici e propagandisti, è ben diverso e migliore". Maurizio Molinari, direttore di Repubblica: "Una ricetta che somma pensiero e azione. Sommare ambiente e impresa è la parte più innovativa del discorso". Massimo Giannini, direttore de La Stampa: "Il governo del Paese. Semplicemente. #Draghi". Mario Sechi, direttore dell'Agi: "Uno statista, finalmente #Draghi". Claudio Cerasa, direttore del Foglio: "Discorso atlantista, europeista, anti sovranista. Attenzione all'efficienza, ai giovani, al coraggio, ai salari delle donne. Compatibilità tra difesa ambiente e difesa progresso. Obiettivi di lungo periodo, ma piedi piantati per tema. Pochi applausi, buon segno e gran discorso". Lorenzo Pregliasco, analista politico: "Un discorso di alto livello, finalmente". Stefano Cappellini, Repubblica: "Ambientalismo, keynesismo, laburismo, solidarismo. Draghi punto di riferimento dei progressisti italiani, direi". Andrea Salerno, direttore di Lai: "Un discorso serio e senza scampo. L'aula ascolta e si chiede di fronte a un programma così serio e impegnativo: ma noi ne saremo capaci? Come una classe il primo giorno di scuola".

Filippo Sensi, deputato del Pd, ex portavoce di Renzi e Gentiloni: "Il nuovo whatever it takes:L’unità non è un’opzione, è un dovere’ # Draghi”. Ernesto Carbone, ItaliaViva: “Sento il discorso del PdC, penso a quanto fango, a quanta violenza in quei 10 giorni. Ma ne è valsa la pena Grazie sempre a Matteo Renzi, Teresa Bellanova, Elena Bonetti, Ivan Scalfarotto, senza il loro coraggio tutto questo non sarebbe stato possibile”. Christian Rocca, direttore Linkiesta: “Che meraviglia sentire uno che parla in buon italiano come una persona normale e non come un pomposo azzeccagarbugli”. Pietro Raffa, esperto di comunicazione politica: “# Draghi è il primo che parla di come sarà il mondo dopo la pandemia, citando riscaldamento globale e danni ambientali. Visione”. Giorgio Gori, sindaco di Bergamo, Pd: “Visione, concretezza, sobrietà. Stamattina abbiamo ascoltato il discorso di un vero leader riformista. #Draghi”. Carlo Bonomi, presidente di Confindustria: “Ci auguriamo che i partiti condividano e sostengano il forte appello all’unità che ha lanciato Draghi, ribadendo il dovere di cittadinanza”. Maurizio Landini, segretario della Cgil: “Un discorso programmatico di alto profilo quello del presidente Mario Draghi, con una netta collocazione europea dell’Italia per costruire un’Europa nuova e socialmente sostenibile”. Massimo Miani, presidente del Consiglio nazionale dei commercialisti: “La parte dell’intervento dedicata alla riforma del fisco è giusta e condivisibile”. Stefano Bonaccini e Giovanni Toti, governatori: “Pieno sostegno della Conferenza delle Regioni alla reciproca e leale collaborazione. Siamo certi che la competenza e l’autorevolezza del presidente del Consiglio permetteranno di superare la fase difficile dovuta alla pandemia e di cogliere fino in fondo tutte le opportunità collegate al Recovery Fund”. Unione Buddhista Italiana: “Presidente, conosciamo e apprezziamole sue capacità il suo impegno appassionato per il bene del Paese. Ci ritroviamo nella sua analisi e apprezziamo molto la sua visione rispetto alla questione ambientale”. Accademia della Crusca: “Un discorso da uomo colto, perfetto, che ha dimostrato ancora la sua elevata statura. Inutile andare a caccia di imperfezioni linguistiche, non troveremmo niente di più di un lapsus dettato dall’emozione”.

Il Giorno, 18 febbraio 2021 Ora si attivino i cambiamenti più urgenti Nuovo governo, le attese in Lombardia Sandro Neri Tra le caratteristiche della nuova squadra di governo nata intorno a Mario Draghi colpisce la provenienza di molti ministri, anche di primo piano. Nove sono lombardi. Pur appartenendo a diversi partiti sono accomunati dalla provenienza territoriale. E questo è un dato che non pochi hanno sottolineato. Che sia un caso o no e che Draghi abbia davvero tenuto conto di questo, è innegabile che il nuovo esecutivo non potrà prescindere da due elementi. Il primo è che la Lombardia, la regione più colpita dal virus, produce un quinto del prodotto interno lordo nazionale e per questo diventa strategica più che mai per tutte le politiche di ripartenza. Il secondo elemento è che la burocrazia non potrà continuare a mettere i bastoni fra le ruote all’autonomia dei singoli governi regionali che da tempo auspicano di poter gestire con maggiore flessibilità le risorse delle quali dispongono e di poter approntare anche la campagna di vaccinazione anti-Covid sulla base delle effettive esigenze dei loro territori. La nuova compagine governativa sembra ideale per poter rilanciare il progetto autonomista approvato con un referendum consultivo in Veneto e in Lombardia nell’ottobre 2017. Il nuovo ministro Mariastella Gelmini è stata peraltro a lungo il coordinatore regionale lombardo di Forza Italia, primo partito del centrodestra in questa regione. Il fatto che alla Lega siano stati affidati ministeri come lo sviluppo economico e il turismo conferma l’attenzione che il nuovo premier intende rivolgere ai ceti produttivi del Nord, sempre più insofferenti alle politiche varate dal Conte-bis e ora speranzosi che da questo nuovo esecutivo possano generarsi nuovi stimoli verso la crescita. Ovviamente l’entità dello sviluppo socioeconomico dipenderà da come verrà affrontata nei prossimi mesi l’emergenza sanitaria. Il braccio di ferro sul piano vaccini fra il commissario nazionale Domenico Arcuri e l’assessore regionale lombardo al Welfare Letizia Moratti è indicativo di quanto siano distanti i due approcci alle azioni di contrasto al virus. La riconferma del ministro Roberto Speranza potrebbe far pensare a una continuità con la gestione discutibile della pandemia sin qui seguita. Ma il governo dovrà decidere, già a partire dalla scadenza del decreto del 5 marzo, se cambiare orientamento e favorire le istanze delle categorie più colpite che da tempo invocano riaperture in sicurezza. Oppure se prolungare gli attuali divieti, col rischio che tantissime attività possano chiudere per sempre. Il primo banco di prova sarà quello della scadenza, il 31 marzo, del blocco dei licenziamenti.

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