In apertura
“Quando si diffonde la preoccupazione per la libertà di stampa – o per meglio dire – di espressione in un paese è brutto segno. Brutto segno per la democrazia. Si riproducono altri motivi di criticità. Il maggiore è rappresentato da un governo che non rispetta il diritto dei media di svolgere critica. Perché non rispetta in generale la democrazia dei contrappesi. Quello che è grave è concentrare dichiarazioni e misure tutte orientate a creare clima di delegittimazione per il lavoro giornalistico e per la libertà di espressione (che vale per la carta stampata e per la rete). In aggiunta esercitando un pesante ruolo di propagandismo che è un altro veleno e che fa parte di una brutta storia italiana. Dunque serve più Europa per tutelare anche questo inalienabile diritto”.
Sentiremo dopo le tre aperture la voce di Emma Bonino registrata ieri da RadioRadicale a Roma per la nostra occasione di oggi.
Nella parte di introduzione
Insomma uno sviluppo che ci vede meno liberi, meno produttivi, meno qualitativi.
E che apre interrogativi sul rapporto tra comunicazioni e politica che in questo ultimo anno ha assunto in Italia livelli di guardia.
Questo intreccio rende possibili molti punti di vista anche trasversali. Cominceremo con una domanda apparentemente innocente “Che aria tira?”. La risposta è affidata a Ernesto Auci, giornalista economico e già direttore del Sole 24 ore la cui larga esperienza toglierà probabilmente qualche innocenza a questa domanda.
E parimenti c’è un doppio problema per l’Italia:
Eravamo pochi anni fa ancora al 77° posto nella classifica di Freedom House, poi – dopo i governi Berlusconi, presi di mira per il conflitto di interessi – abbiamo riguadagnato posizioni, restando tuttavia con problemi causati soprattutto dai territori a marginale controllo dello Stato e a forte influenze delinquenziale, fino ad arrivare al 43° posto.
Ora vedremo gli sviluppi. L’istituto fondato negli Stati Uniti da Eleanor Roosevelt è attento a tutto: norme, applicazioni, fatti giudiziari, contesto politico-legislativo.
Non so come reagirà prossimamente quando nell’inventario italiano si troveranno documenti come questo che sto per riferire. La fonte non è un italiano qualunque. E’ il capo dello Stato, Sergio Mattarella, nel messaggio inviato all’Unione dei Cronisti Italiani pochi giorni fa a congresso: “Anche in Italia si verifica un alto numero di intimidazioni e atti ostili nei confronti dei giornalisti che esercitano la loro fondamentale funzione. Le istituzioni della Repubblica e la società civile hanno il dovere di sostenerli e non lasciarli soli” .
Anche qui, il contesto ha mille sfumature di grigio, ovvero ha molteplici ragioni di disagio. Sentiremo punti di vista molto qualificati, come Marta Boneschi e Carmen Lasorella, su aspetti anche diversi del tema.
Dunja Mijatović, Commissaria per i diritti umani del Consiglio d’Europa ha detto al riguardo:
“Da molti anni, la Giornata mondiale della libertà di stampa è un’occasione per riflettere sullo stato della libertà di stampa e promuovere un giornalismo libero, pluralista e sicuro. I problemi sono pertanto ben noti, come lo sono anche le norme e le soluzioni concrete a disposizione delle autorità pubbliche per aumentare la sicurezza e la libertà dei giornalisti, Invertire la tendenza attuale non è una questione di mezzi, ma di volontà politica. Gli Stati membri dovrebbero rispettare appieno le norme che hanno sottoscritto“.
Nel rapporto citato il passaggio sull’Italia non è solo genericamente sulla condizione di classifica. Individua anche un clima. E’ scritto:
“Le grandi città, tra cui Roma, e le terre del Mezzogiorno (Campania, Calabria, Puglia e Sicilia) continuano ad essere territori sempre più difficili e pericolosi per i giornalisti. Non solo i gruppi criminali, però, sono una minaccia per il giornalista, spesso anche le forze dell’ordine non facilitano il lavoro del reporter, anzi lo ostacolano, con minacce e perquisizioni, che arrivano fino alla confisca di materiale, strumenti e documenti di lavoro. Spesso anche i politici al Governo non mancano di rivolgersi alla stampa con toni violenti, se non proprio minacciosi, con la revoca della scorta, il taglio dei finanziamenti pubblici alle testate e la continua delegittimazione della professione”.
In questa Europa il tema media informazione comunicazioni presenta questa volèe, ma ne presenta anche molte altre rispetto alle dinamiche di impresa, agli aspetti concorrenziali globali, alla qualità oggi del dibattito pubblico in cui sono iscritte anche le criticità comunicative dell’Europa stessa.
Non ci sarà spazio per tutto. Ma intanto grazie a Marco Incerti, a lungo professionista e ricercatore su questi temi a Bruxelles oggi a capo della Comunicazione dell’Istituto europeo di Firenze.
Detta in grande sintesi – come per molti problemi italiani – la dicotomia che genera finta tranquillità è che nel rapporto tra libertà e diritti sanciti la situazione in Italia sia piuttosto buona (ho in mano il massimario relativo a venti ambiti di diritti sanciti, redatto da tre valenti giuristi) ma nelle valutazioni internazionali tra quei diritti sanciti e le condizioni applicate e rispettate il rapporto interno ai paesi fondatori dell’Europa ci vede ultimi in classifica.
Ed è proprio la modesta qualità del dibattito pubblico in materia di media e comunicazione a impensierire e a dover responsabilizzare la politica. Nel sistema scuola e università lo spazio criticvo-interpretativo non è molto sollecitato. Il sistema imprenditoriale spende in eventi più di lobbying che di partecipazione e alfabetizzazione. Le istituzioni non hanno scelto questo campo come strategico per una nuova cultura collettiva dell’innovazione.
Anche su questo argomento ‘opinione di Marco Incerti sarà preziosa.
Il ruolo di governo che svolge competenze per orientare politiche nel campo delle comunicazioni è diventato policentrico. Dunque – tra Presidenza del Consiglio, MISE, MEF, Autorità, eccetera – possono anche ingenerarsi contraddizioni. Ma in questo campo si legge invece una certa linearità.
Poche iniziative di riforma e adeguamento strutturale, molti tweet apodittici dove emerge il fastidio per la critica e una ideologica idea di supremazia della rete e della disintermediazione. La maratona degli stati generali dell’editoria non è animata da alcuna strategia. Finora ha partorito solo la chiusura di Radio Radicale con pretestuosità e senza bilancio qualitativo di questa esperienza. Il tutto condito dalla stravagante idea del sottosegretario Vito Crimi che aprendo gli stati generali dell’editoria ha detto: ““Dobbiamo individuare quali meccanismi implementare per ristabilire la “reputazione, la credibilità e l’autorevolezza del giornalismo”.
Incredibile. Il governo – sottosegretario Crimi – deve trovare il modo di rendere il giornalismo reputato, credibile e autorevole????
L’ing. Paolo Vigevano – che fu all’origine dell’istruttoria per promuovere le determinazioni normative a favore del progetto di Radio Radicale è qui – e gli sono molto grato per questo – per ribadire anche da questo convegno alcuni argomenti. Svolgerà il suo intervento dopo la videoregistrazione di Emma Bonino in apertura dei contributi.
Insomma un paese inventore, brevettatore, innovatore e produttore rischia ormai la trasformazione genetica che riguarda un paese prevalentemente consumatore, dipendente, a basso profilo tecnologico-scientifico, con una dimensione etica (nodo centrale della questione delle libertà di parola e di espressione) che non a caso ci ha visto in bassa classifica internazionale rispetto a molti parametri.
C’è oggi una geopolitica della trasformazione digitale del sistema delle comunicazioni in cui ogni paese europeo – ove l’Europa non decidesse con forza una politica nel settore – è condannato a subire e non ad agire.
Raffaele Barberio, dirige un brillante e coraggioso giornale on line su comunicazioni e innovazione, Key 4Biz, e ci aiuterà molto a mettere in rilievo le sfide perse e quelle tentabili.
Da quando il governo americano ha messo in campo una delle più potenti campagne istituzionali dell’età contemporanea per convincere – con manipolazioni e falsità tecnico-scientifiche i dati e le previsioni – i cittadini e il Congresso a non ratificare l’accordo di Kioto, gli studiosi comunicazione hanno avuto a disposizione un formidabile caso per non associare più alla parola “propaganda” solo i regimi totalitari del ‘900 ma anche le democrazie dell’Occidente.
Questo governo da un lato propone liti (finora un teatro che manipola la chiarezza di campo tra governo e opposizione, qui le due parti vengono riassunte per ottenere piena occupazione mediatica dalle stesse componenti di governo), dall’altra chiede a tutti di limitare i giudizi al terreno definito dal “contratto di governo”, in cui questa materia è mal definita e ha finora fatto emergere più fastidiosità (“i giornaloni su cui scrivono i professoroni”) che analisi.
Infatti fuori da questi paletti c’è una prateria di politiche pubbliche nemmeno tentate dal governo in carica, perché l’energia prevalente nel settore è collocate nell’istanza propagandistica che muove appunto si soggetti al governo. E la propaganda è una malattia storica dell’approccio alla comunicazione, che sta impedendo alle istituzioni (anche per scarso coraggio degli apparati) di svolgere il loro ruolo senza subire questo intreccio tra ideologia e convenienze elettorali.
Inutile dire che in questo quadro la nostra preoccupazione per la ricomposizione imminente degli organi di garanzia e controllo (quali sono le Autorità per le comunicazioni e per la privacy) è alta.
Ma su questo Benedetto Della Vedova avrà da fare considerazioni che sono parte di una linea e di un progetto nettamente alternativo al quadro politico che si è imposto in Italia.
La videoregistrazione integrale della Conferenza (conclusa da Benedetto Della Vedova e con dieci contributi svolti) è stata trasmessa in diretta da Radio Radicale ed è accessibile al link:
https://www.radioradicale.it/scheda/574273/il-proprio-pensiero-con-la-parola-lo-scritto-e-ogni-altro-mezzo-conferenza-sulle
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