Impressiona il fatto che alcuni paesi dell’Europa centrale e del nord stiano dimenticando una tragica e grande lezione della storia, quella legata al disastro della guerra e della seconda guerra mondiale in modo particolare. La Germania, innanzitutto, che di quel conflitto fu l’artefice primo e principale. Ma anche l’Austria e la Finlandia, che l’accompagnarono e la prima con slancio entusiastico. Purtroppo seguite dall’Italia. Sorprende l’Olanda, che la subì nella sua impossibilità di reagire.
In queste settimane, insieme a larga parte del mondo, l’Europa sta affrontato una nuova guerra che si combatte negli ospedali e nelle strutture sanitarie, nei paesi e nelle città, che sono i nuovi campi di battaglia, una guerra più subdola dalla quale occorre difendersi.
Nel caso di un conflitto militare, che partisse dall’attacco ad uno dei paesi Nato, tutta l’alleanza atlantica, dagli Stati Uniti all’intera Europa occidentale, sarebbero chiamati ad intervenire in difesa dell’alleato colpito.
In questo conflitto sanitario, invece, finora ognuno va per proprio conto e pensa solo ai propri interessi economici e finanziari.
Ma che Unione Europea abbiamo costruito in questi sessant’anni ed oltre che ci separano dal trattato costitutivo di Roma del 1958?
Possibile che un vuoto di memoria tanto angoscioso circoli indisturbato per l’Europa in casa di quei paesi che maggiormente subirono le conseguenze della guerra militare? E’ possibile che lì non si sappia comprendere che anche questa è una guerra?
Cosa direbbe l’allora segretario di stato americano Marshall, quello del gigantesco piano economico – a spese dell’America- che consentì la ricostruzione europea dopo il 1945, di fronte allo spettacolo di infingardagine che va in scena Berlino a Vienna a Helsinki a L’Aia, timorose di dover mettere mano ai loro portafogli per sostenere partner già colpiti?
Pensano forse quei signori che i loro paesi saranno immuni dalla pandemia? Non ricordano che anche Sigfrido aveva il suo tallone di Achille?
Queste osservazioni non sono dettate da spirito di rivalsa per il fatto che quei paesi siano restii ad aiutare l’Italia ed altre nazioni come Spagna e Grecia. No! Preoccupa, invece, la loro ottusità, l’incapacità di comprendere che essi stanno minando le basi dell’unità europea, che ha portato la pace e la prosperità nell’intero continente. Non capiscono che di questo passo cresce la tendenza di altri a seguire l’esempio del Regno Unito. Non valutano la spinta che si è messa in atto a livello globale dove altri grandi protagonisti, dalla Cina alla Russia fino a Cuba, sono scesi in campo con i loro aiuti, ma pronti a giocare ben altre partite sul piano politico internazionale.
Le risorse che non vengono poste in essere dall’Unione Europea come entità solidale verranno da altre parti. Anche in questo campo vale il principio secondo cui se si determina un vuoto ci saranno altre componenti che lo riempiranno.
Da parte italiana, dopo l’aut aut posto all’UE dal presidente del consiglio Conte, il problema è, eventualmente, quello di attivare canali autonomi per far fronte alla situazione ed evitare che la recessione già in atto precipiti in depressione di lungo periodo. C’è da salvaguardare il livello occupazionale, che passa per la tenuta delle imprese, c’è da sostenere il reddito di milioni di cittadini e delle loro famiglie, c’è da mantenere aperti svariati settori produttivi dall’alimentare ai servizi alle attività strategiche e di difesa.
Un compito enorme, che tuttavia il Paese può affrontare con le sue forze, sapendo che ciò richiede sacrificio, solidarietà e unità.
Partiamo dall’ultimo punto: l’unità nazionale, che richiede uno sforzo di coincidenza verso l’obiettivo comune da parte di tutte le forze politiche, delle componenti economiche e sociali del paese. Che si vada verso un governo di unità o di solidarietà nazionale, sono formule che competono alla responsabilità dei protagonisti e del presidente della Repubblica. Tuttavia, la questione non può essere tirata in lungo e una soluzione ad oras va stabilita.
La solidarietà c’è; c’è tra le persone comuni, in ogni dove e con ampiezza, non è un fattore da importare, caso mai è l’Italia può esportarla a favore di altri che, non si voglia, dovessero patire i problemi sanitari che oggi la stanno attraversando.
Sacrificio significa attivare risorse sufficienti a fronteggiare la crisi in atto. Un buco mensile di 100 miliardi nel reddito nazionale, come valuta la Confindustria, e una caduta complessiva del Pil che può raggiungere e superare le due cifre nell’anno in corso, non consentono di nascondersi. Queste risorse vanno attivate, messe in campo e destinate a famiglie, lavoratori dipendenti e autonomi, e imprese.
La ricchezza finanziaria degli italiani è stimata attorno ai 4.000 miliardi di euro, altrettanti 4.000 miliardi è la valutazione dei beni immobiliari. E’ in quel complesso che va individuata la prima fonte, attraverso appropriati strumenti di prelievo, da un’imposta patrimoniale ad un prestito irredimibile (come nel caso della Rendita Italiana del secondo dopoguerra).
La manovra finanziaria va accompagnata da un piano di “ricostruzione” e di “rinnovamento” della struttura economica e, soprattutto, amministrativa e giudiziaria, per dar vita ad un nuovo ed efficace modello e sistema di paese.
Lungo questa via l’Italia mostrerà una capacità di reazione fondata su una forza propria, tali da costituire condizioni in grado di attivare canali finanziari di origine internazionale, tanto più se quegli interventi interni avranno portata sufficiente anche a mettere in salvaguardia il livello del debito pubblico attuale o, addirittura, di cominciare a ridurlo.
Quel che si richiede oggi all’Italia e al suo governo è mettere tutte le carte in tavola, assumendo atteggiamenti seri e responsabili all’interno e nei confronti europei. Dopo di che, anche l’Unione Europea dovrà assumersi le sue responsabilità.
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