di Raffaele Aragona
I murales prendono il nome dal “muralismo” messicano, un movimento artistico di protesta contro il potere, che si sviluppava con la tecnica dell’affresco su muri pubblici, per lo più con scene di civiltà precolombiana.
Qualche settimana addietro avevo avuto occasione di scriverne su un quotidiano napoletano a proposito del desiderio di eliminare i tanti ‘murales‘ cittadini, di cancellarli, perché mi fanno urbanisticamente orrore e a volte denunciano anche errore. Ne scrivevo per una questione di decoro urbano, ma avrei voluto eliminarli non soltanto dai muri della città, ma anche dalle pagine dei giornali: mi riferivo al termine ‘murales’ che ricorre di continuo e malamente sulla stampa. Sì, perché ‘murales’ è vocabolo spagnolo e, se così riportato in uno scritto italiano, andrebbe, se mai, decisamente riportato in corsivo. In ogni caso, murales è forma plurale e non va certo usata nel riferirsi a una sola “opera”. Perciò, per farla breve, si scriva sempre ‘murale’ al singolare e ‘murali’ al plurale. La stampa dovrebbe evitare la ripetizione dell’errore che potrebbe convincere il lettore della giustezza di un uso non corretto. Lo avverte in modo esplicito anche lo Zingarelli: «La forma murales è il plurale spagnolo di mural, perciò non va usata in riferimento al singolare: la frase “un murales” è scorretta».
In quanto all’uso, sia al singolare che al plurale, seguiamo i francesi che dicono e scrivono mural e murals; facciamolo senza bisogno di far ricorso a termini stranieri, sia pure di lingue a noi vicine.
Ora, però c’è un altro motivo per interessarsi a Napoli di murali, anzi, di un particolare murale; quello apparso sulla parete di un fabbricato dei Quartieri spagnoli raffigurante un baby rapinatore rimasto tristemente vittima del suo stesso atto criminoso.
In seguito al dissenso espresso da più parti, all’intervento del Prefetto e del Procuratore Generale, un’Ordinanza del Comune di Napoli, chissà come destatosi dal continuo tollerare vicende del genere, ha finalmente ingiunto la rimozione del murale. Contro tale decisione sono insorti alcuni “intellettuali”, tra i quali uno scrittore, un avvocato, un giudice e alcuni nomi dello spettacolo, parlando di provvedimento antidemocratico e di censura; ha firmato la petizione, addirittura, anche il Presidente del Consiglio Municipale, il quale ha “intimato” al Prefetto di pensare al suo lavoro e lasciar perdere i murali (!). Sorprende non poco e sconcerta lèggere di uomini di cultura e delle Istituzioni, ma ancor prima cittadini, che intervengono contro le disposizioni delle Autorità chiedendo che non venga rimosso il ricordo del ragazzo di quindici anni ucciso da un carabiniere a séguito di un tentativo di rapina. Alla notizia della morte dell’adolescente, decine di persone assaltarono il pronto soccorso dell’ospedale dei “Pellegrini”, devastando la struttura che rimase chiusa a lungo; durante quella “spedizione” una donna di trentanove anni, madre di tre figli, pestata a sangue dal compagno, moriva proprio mentre i medici di quell’ospedale erano impegnati a contrastare la violenza di quella folla inferocita. Gli stessi genitori della donna furono malmenati. Di lì a poco, alcuni ragazzi legati al baby rapinatore spararono colpi di arma da fuoco contro la sede del Comando Provinciale dei Carabinieri. Oggi, i familiari chiedono verità e giustizia, e difendono il murale perché non cali l’attenzione pubblica sulla vicenda del giovane ucciso.
Ci son tanti “non intellettuali”, però, che la pensano diversamente. La pietà umana che accomuna tutti per questo episodio non può prevalere su un simbolismo deteriore che giustifichi i disvalori dei quali si alimenta una parte crescente della società napoletana: sopraffazione e illegalità Questo murale assume non altro che una forma di ribellione all’Autorità costituita. È naturale, quindi, che, nel rispetto delle Istituzioni democratiche, a parte gli aspetti di decoro urbano e di mancata autorizzazione, i murali possano essere concepiti soltanto come una particolare forma d’arte rappresentatrice del bello, ma non certo come elementi che rischiano di venire utilizzati quasi come un inno all’illegalità.
La persistenza del murale del baby rapinatore, invece, quasi inneggia a comportamenti criminali che facilmente nuocciono agli stessi ragazzi che si ha il dovere di difendere e rinforza i comportamenti criminali dei minorenni di quartieri degradati incoraggiandoli a fare di peggio.
«Gli incauti firmatari della petizione (…), storicamente sensibili al richiamo che da sempre esercita sui ceti scolarizzati il fondo popolare della città – scrive bene Adolfo Scotto di Luzio, sulle pagine de “Il Mattino” – non colgono questa differenza. Prigionieri dell’eterno schema italiano (e meridionale in particolare) per cui lo Stato è sempre colpevole, scambiano l’abuso con la causa della libertà. Avvezzi all’immagine, alla quale si dedicano professionalmente, ne restano prigionieri. Si battono per un murale, ma non mostrano nessun interesse per la giustizia. E così nella loro testa, la verità diventa un effetto della propaganda e non il rigoroso accertamento dei fatti».
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