Classici contemporanei

Paolo Borsellino, essendo Stato. Un libro di Ruggiero Cappuccio

“Oggi è il 19 luglio.È il 1992, oggi. Sono le sedici , cinquantotto minuti e due centesimi di secondo.C’è stata un’esplosione che ha prodotto una strana sensazione di silenzio. A Palermo le parole e le esplosioni hanno come fine  assoluto soltanto il silenzio. Guardavo da tempo al futuro della mia fine e la vedevo già trascorsa, già passata. Da tempo tutto era chiaro come la cenere sollevata da questo inconsueto scoppio di silenzio”

Questi i pensieri che Ruggiero Cappuccio immagina siano stati di Paolo Borsellino, amico d’infanzia e collega inseparabile di Giovanni Falcone , nei drammatici attimi prima e dopo la sua morte. L’opera si presenta come la storia  interiore di Borsellino, narrata con realismo che non avrei timore di definire  lirico . La sua vita è ripercorsa a ritroso e se ne fissano  i momenti focali ,dall’ infanzia all’ attività giudiziaria  , per comprenderne  e interpretarne l’energia umana e civile che la caratterizzava .Si presenta come  la prosecuzione di un discorso già avviato che trova la logica e ovvia conclusione nell’attimo dello SCOPPIO DI SILENZIO ,prodotto dalla deflagrazione della sua auto. È inevitabile la riflessione e la commozione. Ogni singolo passaggio trova la sua ragione d’essere dalla deposizione che Borsellino, con Giovanni Falcone, fornì al Consiglio Superiore della Magistratura il 31 luglio 1888 che paventava un’azione disciplinare nei suoi confronti. Era accusato  di aver manifestato pubblicamente dissensi e preoccupazione per “lo smantellamento del pool antimafia”.

Tale dichiarazioni dopo 24 anni per intervento di Ruggiero Cappuccio sono state finalmente rese pubbliche.

“…l’inserimento nel pool antimafia di nuovi giudici… l’assegnazione di procedimenti concernenti la criminalità mafiosa o suoi rilevanti specifici episodi a magistrati estranei al pool antimafia… l’adozione di provvedimenti anche di rilevante effetto senza preventiva consultazione dei giudici del pool… Ecco perchè , discutendosi dello stato delle indagini sulla criminalità mafiosa ho senza esitazione parlato di segnali di smobilitazione del pool antimafia, nè temo che mi si possa rispondere che il pool è stato anzi arricchito di nuovi elementi, poichè non si arricchisce certo un pool, se la sua essenza rettamente si intende, aumentando il numero dei suoi magistrati senza gli opportuni criteri di scelta e contemporaneamente disattendendo le ragioni stesse della creazione di tale organismo…”(P. Borsellino al C.S.M) E le ragioni di tale organismo erano la compattezza, la possibilità di un interscambio rapido ed esatto di informazioni tra operatori che si informavano reciprocamente allo scopo di essere efficaci in azioni concordate e condivise.” Perchè il principio fondamentale era che tutti  dovevano conoscere tutto”(P. Borsellino al C.S.M)

E allora è giusto immaginare che Borsellino si sia chiesto quale sia la condanna peggiore se quella dello Stato o quella di un picciotto, costretto a delinquere a causa di uno Stato deviato, assente, che vuole curare la piaga, che anzi l’ha prodotta ma che non vuole guarire per occulti meccanismi a lui favorevoli.

Tra la parte deviata dello Stato e la mafia, i due lembi della ferita, c’è la giustizia che opera, lavora, si impegna ed è disposta anche ad immolarsi perchè sa in anticipo che il suo destino è quello di morire per quel gioco di scatole “…in cui non ci sono armi. Non ci sono cartucce. E non c’è nemmeno il niente. Crocifissi ci sono. L’uomo ne estrae uno, stacca via con una pinza il Cristo della Croce e lo getta nell’altra scatola… perché i Cristi non servivano. Le Croci si…”

Borsellino si sentiva, come dichiarò, ” sotto una serie di colpi di spillo che ti mette in condizioni di non muoverti… Mentre volevo essere messo nelle condizioni di libertà per poter dire quello che pensi in vista, soprattutto, di un’atmosfera in  cui c’è  il crucifige, un’atmosfera in cui noi ci sentiamo realmente bloccati e non soltanto come attività giudiziaria. Adesso non vediamo nè collaborazione, nè entusiasmo.Io non vedo funzionari di polizia nel mio ufficio da mesi… le risultanze ulteriori non vengono valorizzate , tranne delle lodevoli eccezioni, ma questo non è un problema di addebito  nè a Tizio, nè a Caio, è la situazione nel complesso per cause che non sta a me analizzare …una situazione certamente non soddisfacente.Ad Agosto non ci saranno autisti e quindi non ci saranno macchine blindate . Io sono palermitano, conosco determinati ambienti, ragiono come loro ecco perchè li intercetto e li capisco.” (P. Borsellino al C.S.M)

Se è vero che le parole possono essere pietra , queste sono macigni. Lasciano intendere la profonda solitudine in cui l’uomo e il giudice Borsellino  erano stati lasciati e per questo destinati a morire da chi avrebbe dovuto stargli affianco, sostenerlo, proteggerlo , comprenderlo e comprendere.

Il testo di Cappuccio dà tanto più da pensare se vi leggiamo in controluce le riflessioni drammatiche che dovettero essere davvero quelle di Borsellino nel momento dello “Scoppio di Silenzio ” che lo ferì a morte ma di cui era stato sempre consapevole durante il suo “servizio” di civiltà reso ai Siciliani , prima di tutto, ai Siciliani che voleva sensibilizzare perchè ogni lotta è anche lotta culturale.

” Il problema della lotta o comunque delle indagini sulla criminalità mafiosa io lo sento profondamente , l’ho sentito , sono stato disposto ad affrontare sacrifici, non vedo perchè l’opinione pubblica non debba essere interessata a questo problema ; anzi è pericoloso quando l’opinione pubblica non viene interessata a questo problema . È grave ,con  riferimento alle indagini  criminali mafiose, che l’opinione pubblica non se ne disinteressi come se si trattasse di una lotta tra giudici e mafiosi  visto che non è una lotta tra giudici e mafiosi, nè tra poliziotti e mafiosi  ma un problema che interessa tutti” ( P. Borsellino al C.S.M) 

In queste parole c’è tutta la profondità di un uomo che crede fermamente non solo nella bontà ma anche nella necessità della lotta contro la mafia , una lotta che non poteva prescindere anche dall’urgenza  di portare la società civile a riconoscere un nemico  che è al suo interno e che si nutre del suo Silenzio omertoso .

“Si muore perchè si è soli ” scrive Cappuccio e e si muore anche e soprattutto di Silenzio omertoso.

Quello che angoscia , che scuote , che genera un perenne sentimento di impotenza e impedisce un varco di salvezza è proprio l’omertà ovvero il silenzio di quanti non sanno e non vogliono sapere o sanno e fanno finta di non sapere per evitare ” la porta stretta” o , ancora , sanno perchè sono corresponsabili.

Ad uccidere Borsellino e Falcone e tanti uomini vissuti per una buona  giustizia non sono stati solo la parte di Stato deviata e la mafia ma soprattutto il Silenzio che produce la solitudine glaciale che imprigiona e arresta ogni azione. Nessuno può nulla nella solitudine del proprio impegno e il silenzio diventa ancora più colpevole se generato dall’indifferenza, dal fascino comodo che nasce dall’illusorio benessere che produce il farsi i fatti propri. In un mondo di ladri nessuno è senza colpe ed essere onesti e competenti sembra essere una condanna. Se si è competenti si è liberi , se si è liberi non si ci piega al compromesso e se si è liberi si è anche onesti e, quindi, scomodi perchè nulla ad essi si può chiedere di ciò che non è lecito e questo dove, in una persistente e latente illegalità, la domanda e l’offerta sono la regola. Le colpe più gravi sono dei  mezzi di comunicazioni, spesso asserviti e complici, della politica connivente , della cultura latitante.

Le leggi e le istituzioni non possono nulla se non sono sostenute dalla  cultura e da un costume di vita corretti. E per cultura  intento anche l’azione onesta degli intellettuali che devono agire  coerentemente  in ogni luogo e in ogni situazione perchè   la coerenza non è attività meramente tecnica che non impegna la moralità di chi la professa , ma è pratica costante nelle grandi come nelle piccole cose, nelle piccole come nelle grandi realtà.

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Antonella Botti

Sono nata a Salerno il 3 Marzo del 1959 ma vivo da sempre a Sessa Cilento, un piccolo paese di circa 1300 anime del Parco Nazionale del Cilento. Ho studiato al Liceo classico “Parmenide” di Vallo della Lucania ed ho conseguito la laurea in Lettere moderne. Sono entrata nella scuola come vincitrice di concorso nel 1987, attualmente insegno Letteratura Italiana e Latino al Liceo Scientifico di Vallo della Lucania. Ho pubblicato due testi di storia locale: "La lapidazione di Santi Stefano" e "Viaggio del tempo nel sogno della memoria". Da qualche mese gestisco un blog, una sorta di necessità interiore che mi porta a reagire al pessimismo della ragione con l’ottimismo della volontà. I tempi sono difficili: non sono possibili "fughe immobili".

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