Artisan post

Per un manifesto degli artigiani del cibo

Alcuni ritengono sia il marchio del produttore, altri quello di chi lo immette nel mercato, altri ancora che la vera garanzia venga dalle indicazioni riportate in etichetta: nessuno sembra invece prestare particolare attenzione alle caratteristiche produttive.

E’ a mio parere un errore: nel mercato del cibo, ormai largamente globalizzato, i marchi  hanno rapporti piu’ spesso con la finanza internazionale, che li acquista e li vende, mentre gli ingredienti sono  per lo piu’ celati sotto sigle misteriose , tanto piu’ incomprensibili quanto piu’ si tratta di sostanze di dubbio effetto per la salute.

Quanto alle caratteristiche produttive, la vera distinzione non e’ tra produttore e produttore (usano le stesse macchine, gli stessi sistemi di analisi, per la maggior parte gli stessi ingredienti a parita’ di prodotto), ma tra produzione industriale e produzione artigianale, una distinzione sulla quale i consumatori vanno sempre piu’ fissando la loro attenzione, come dimostra la crescente frequenza con la quale i prodotti alimentari piu’ diversi, dalla birra alle patatine fritte, dalla pasta secca al gelato, vengono qualificati come “artigianali” anche quando non sono tali, profittando di una lacuna nelle leggi vigenti che sembra ignorare la fase produttiva.

Cibo sano? Il processo di produzione va riportato in etichetta.

Questa situazione, che riconosce implicitamente la superiore qualita’ del prodotto artigianale anche da parte dei produttori, merita  una presa di consapevolezza del problema da parte del potere pubblico per l’adozione delle misure amministrative e normative sulla     individuazione della   figura  del’artigiano (oggi imprecisa   ed equivoca)    collegandola     alle   particolari caratteristiche del relativo processo produttivo. Ad un necessario chiarimento in tal senso e’ rivolto il “Manifesto” che segue.                                      

  1. Artigiano significa prevalenza della manualità nello svolgimento di un’attività, uniformandosi (per i tempi, la materia prima, le fasi e il processo seguiti) alla tradizione, pur apportandovi gli adeguamenti ritenuti necessari ma senza compromettere le linee fondanti del sistema;
  2. Artigiano non significa rifiuto dell’uso della macchina a favore della pura manualità, ma utilizzo della strumentazione più moderna adeguata al particolare processo produttivo seguito, nel rifiuto di una serialità che nulla concede alla fantasia creativa;
  3. Artigianalità significa conformità alla tradizione nelle materie prime utilizzate, nella combinazione di esse e nella loro territorialità in quanto espressione della tipicità delle specie del territorio;
  4. Non esiste un Artigianato del cibo se non come complesso (filiera) di lavorazioni artigianale nel senso anzidetto che dalla produzione agricola tradizionale (sementi, concimi, antiparassitari) alla  trasformazione del prodotto (olio di frantoio, vino di fattoria, grano di specie autoctona, ecc.) alla commercializzazione (uso di prodotti non importati) ed infine, al confezionamento del cibo secondo le ricette della tradizione;
  5. Le ricette per la preparazione del cibo artigianale sono quelle filtrate attraverso la storia, la tradizione, l’esperienza, frutto di essa direttamente o indirettamente: basta pensare alla “caprese”, frutto di una sapiente combinazione di acidi (pomodoro) e grassi (mozzarella) che assicurano la massima digeribilità, alla pizza napoletana (acidi, grassi, carboidrati) o all’origine storica della “rosticciana”, un modo di cucinare la carne, nata in Toscana per l’utilizzazione di animali da cortile da parte della famiglia del mezzadro senza violare i patti di mezzadria;
  6. Non è vero che il cibo artigianale sia più costoso: l’onere della manodopera compensa largamente il minor pregio della materia prima (il “petto alla fornara” della cucina romana utilizza carne poco pregiata pur risultando ottima al gusto);
  7. Il cibo artigianale è tendenza moderna nel quadro più vasto del rifiuto della industrializzazione selvaggia del cibo che tende a modificare i gusti per sostenere un prodotto che nella maggior parte dei casi non ha niente più a che fare con quello originario (si pensi al processo produttivo delle patatine fritte) con conseguenze negative sulla salute dell’individuo;
  8. Il cibo artigianale sta diventando un residuato storico anche per la scarsa consapevolezza del consumatore di ciò che acquista o mangia. Ad esempio dei cibi precotti venduti al bar o (camuffati) al ristorante nulla sa il cliente a proposito delle sostanze usate per la preparazione;
  9. La diffusione del prodotto industriale va facendo smarrire anche l’arte della predisposizione al cibo artigianale: i cuochi moderni tendono a battere la concorrenza attraverso combinazioni nuove di materie prime fatte per esaltare più la novità che il gusto;
  10. Occorre garantire l’intera filiera dell’artigianalità del cibo: essere artigiana una delle fasi e per questo affermare l’artigianalità del prodotto può essere ingannevole e fuorviante (ad esempio la pizza napoletana confezionata con grano di una specie diversa da quelle italiane).

Difesa del cibo artigianale tradizionale significa difesa della cultura, delle tradizioni, della storia del nostro Paese che si esprimono anche nella cucina, espressione non secondaria della cultura in senso materiale di un popolo. La vera tutela del Made in Italy è anche tutela del cibo artigianale ed insieme dei suoi ingredienti più tipici.

Purtroppo Governo e Parlamento hanno fin qui mostrato, non tanto di ignorare quanto, di voler eludere l’assunzione di precise scelte in proposito e’ stato probabilmente il timore di porre ostacoli alla ripresa industriale a consigliare di attendere tempi migliori per introdurre misure che, secondo  potenti pareri ed interessi,  potevano recare danni alla produzione industriale. E’ stato un grave errore: il made in Italy compreso il prodotto industriale italiano veramente e non solo perchè prodotto in Italia ma anche in quanto rispettoso delle sue caratteristiche tradizionali, si tutela veramente qualificandolo in base a questa caratteristica, adeguatamente garantita dal potere pubblico.

Il nuovo Parlamento vorra’ tenerne conto? La burocrazia statale, regionale e comunale usciranno da una inerzia (quando non di peggio) per percorrere nuove strade? Staremo a vedere.

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Mario Pacelli

Mario Pacelli è stato docente di Diritto pubblico nell'Università di Roma La Sapienza, per lunghi anni funzionario della Camera dei deputati. Ha scritto numerosi studi di storia parlamentare, tra cui Le radici di Montecitorio (1984), Bella gente (1992), Interno Montecitorio (2000), Il colle più alto (2017). Ha collaborato con il «Corriere della Sera» e «Il Messaggero».

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