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Rapporti con i cittadini e rinnovamento dell’amministrazione

Una porta appena dischiusa per invertire impoverimento professionale e insufficiente strategicità

In questi ultimi giorni ha preso corpo l’accelerazione di un progetto che in sé è il plastico rovesciamento di un luogo comune: c’è troppa burocrazia, bisogna licenziare, ridurre, alleggerire…

Per anni quel convincimento – che sommava risentimenti antiburocratici, ma anche percezione di una efficienza inferiore ai bisogni – ha fatto parte di un tavolo di negoziati che ha consumato ore, giorni, mesi anni attorno ad un copione teatrale assurdo: sbandierare propositi quasi sempre impraticabili (che hanno impoverito la cultura propositiva della politica) contro rituali sindacali iper-difensivi (che hanno rafforzato l’idea del posto garantito e non del posto utile al Paese).

Due posizioni che hanno cristallizzato stereotipi, ridotto a annunci gli sforzi di riforma reale della PA, fatto invecchiare pericolosamente l’età media dei funzionari, costruito piste parallele per ampliare gabinetti, task forces, consulenti. Una necessità funzionale anche alla politica in fase di “impoverimento dei partiti” e poi di taglio delle rappresentanze nelle istituzioni, per collocare in ruoli “alle dirette dipendenze” personale politico spesso senza arte né parte. O comunque con un’arte prevalente: quello di dipendere più dalle relazioni di “filiera” che dal proprio cv.

La brevità dell’incipit rende un po’ sommaria una vicenda italiana che, malgrado sussulti frequenti, piani prestigiosi (resta come magistrale riferimento il Rapporto Giannini, trasmesso alle Camere dall’allora ministro per la FP il 16 novembre 1979 che annoverava all’inizio dei titoli dei capitoli un’espressione-chimera che poi nemmeno quel Rapporto riuscì a conseguire: l’azienda-Stato), malgrado l’abnegazione di pochi e le comparazioni impietose, ha abbassato la soglia di competitività dell’Italia e ha frenato la forza dell’azione riformatrice in tanti campi rispetto al cui funzionamento la leva della pubblica amministrazione era decisiva. Nel bene e nel male.

Una luce nell’oscurità della pandemia

La pandemia, i 200 miliardi ora in palio per una corretta programmazione italiana in Europa, il rovesciamento dei rischi in opportunità (che potrebbe essere il motto da scrivere sulla bandiera italiana nell’anno di lotta decisiva contro la crisi sanitaria e sociale) sta producendo appunto il rovesciamento della pratica ininterrotta della “riforma mancata” (anche quando essa fu tentata e più volta sbandierata e alcune volte – si pensi alla riforma del titolo V – malamente orientata).

Nei giorni scorsi l’intervista del ministro per la Pubblica Amministrazione Renato Brunetta[1] – tornato a Palazzo Vidoni dopo il mandato dal 2008 al 2011 con il governo Berlusconi –  annuncia la disponibilità di 6,8 miliardi stanziati da precedenti governi per i nuovi contratti e annuncia lo scongelamento dei concorsi fermi per la pandemia pari a 118.879 nuovi posti disponibili. Ma soprattutto annuncia un “turnover fisiologico: almeno 500 mila ingressi per cinque anni, 100 mila l’anno, pari al numero di dipendenti pubblici che andranno in pensione secondo le stime della Ragioneria generale dello Stato”.

In pochissimi giorni è come se avesse preso l’inesorabile strada della soffitta la vecchia recita dei finti licenziamenti contro le barricate per l’inamovibilità.

E ha preso invece forma una fioritura di speranze, di proposte, di sguardi allungati al medio-termine (dopo anni di occhi in basso, alla punta delle scarpe) persino con l’attenzione alle modalità concorsuali e di selezione che è certamente la cruna dell’ago crucialissima per capire se si scherza e si imbrogliano le carte a vantaggio di un nuovo assalto della politica ovvero se si aprono le porte non solo a un paese stremato dalla fragilità dell’innervatura istituzionale nel corpo stesso dello sviluppo socio-economico ma anche a favore di una generazione – i giovani – che sta pagando un prezzo altissimo dalla chiusura del mercato del lavoro.

Non è un caso che FDD, il Forum delle diversità e delle disuguaglianze, coordinato da Fabrizio Barca, non abbia perso tempo mettendo a disposizione del governo un piano di virtuosità concorsuale elaborato da Carlo Mochi Sismondi (Forum PA) in collaborazione con Patrizia Piergentili aperto anche ai contributi dell’associazione Movimenta[2].  

Va detto che le luci sono ancora puntate sulle polemiche sollevate proprio da giovani che hanno trovato nel giornale online Open lo spazio per esprimere disappunto di metodo su un provvedimento considerato più impeditivo che coinvolgente[3]. Il Ministero ha dato prime risposte. La cosa più giusta è immaginare che siano gli stessi giovani a organizzare il monitoraggio del processo in atto e ad esercitare un diritto di controllo vitale per loro stessi, ma anche al servizio di una riforma che nasce sullo storico sterminio delle buone intenzioni.

Nella citata intervista il ministro Brunetta assicura che concorsi, test, valutazioni saranno all’altezza della posta e si svolgeranno alla luce delle “buone pratiche delle organizzazioni internazionali”. In tv – a 8 e mezzo – Fabrizio Barca ha giustamente spiegato che i titoli, pur necessari, non comprovano le qualità del fare e questa grande prova richiede modernità e intelligenza concorsuale attorno a cui il “Vademecum” offre indicazioni. In qualche modo si è alzata la soglia del dibattito metodologico. Si vedrà la qualità di questo negoziato. La formula sintetica di Brunetta non è una novità, ma fa bene sentirla invocare in questo momento: “Il mio obiettivo è ridare ai dipendenti pubblici l’orgoglio e l’onore di far parte della Pubblica amministrazione. Essere dipendenti pubblici significa fare l’interesse del Paese”.

Un segmento qualificante del rinnovamento: la relazione diretta con i cittadini

Lo scorcio finale di questo articolo vuol mettere l’accento su un profilo ancora sottotraccia negli orientamenti, che al momento giustamente parlano di strategia centrale per il “rafforzamento della sanità e degli enti locali”.

Nella comprensione che ogni settore applicativo abbia la sua importanza a fronte di una partita di ringiovanimento di un quinto dell’amministrazione italiana (altro dato che dovrà essere monitorato) e che quindi ogni specialismo abbia diritto a manifestarsi per la sua parte di strategicità, la lunga battaglia che chi scrive ha fatto e fa ancora per una riqualificazione dell’accompagnamento comunicativo e informativo da parte del sistema pubblico di una società che contiene una percentuale di analfabetismo funzionale che ha carattere velenoso per ogni riforma e per ogni modernizzazione, invita a considerare questo settore – che sbrigativamente chiamiamo “comunicazione pubblica” – come un ambito che la stessa crisi pandemica ha posto tra le disfunzionalità e dunque tra le strategicità.

Proprio il riferimento ai giovani, ai portatori di nuovi linguaggi e nuove abilità di gestione della trasformazione digitale (anche al servizio di un patto generazionale al servizio dei meno abili e meni alfabetizzati, affinché ogni giovane funzionario si porti sulle spalle un Anchise anziano da coinvolgere nel cammino), induce a ricordare che il portato della crisi cambia gli obiettivi. Esso insiste, giorno per giorno, non sulle vecchie linee della messaggistica, del confezionamento delle decisioni, della verticalizzazione dei servizi di diffusione di normative e di promozione di accesso (tutte cose che hanno il loro posto e il loro ruolo), ma su un grande dispiegamento funzionale (che in larga parte dell’Europa è attuata anche in campi in Italia quasi marginali[4]) che si traduce in un servizio di spiegazione e accompagnamento sociale.

Un servizio attento parimenti ai rischi del bisogno e alle opportunità del merito, tanto per ricordare anche a Renato Brunetta un motto caro alla sua generazione politica.

Parliamo di una “comunicazione pubblica” che contiene anche la sua rinnovata ed europeistica trasformazione della componente istituzionale, ma che soprattutto riprende dalla cultura organizzativa della “sfera pubblica” tutta la sussidiarietà e la collaborazione verso l’insieme dei soggetti che costituiscono negoziato di interesse generale. E che in questo periodo, guardando il calendario della politica, fa memoria che anche il rinnovamento gestionale della Rai come servizio pubblico è parte di questa preoccupata possibilità. 


[1] «Assunzioni, piano in 5 anni. Si comincia da enti locali e Sanità», Intervista a Renato Brunetta, Il Messaggero, 7.4.2021, a cura di Andrea Bassi.

[2] In rete come “Vademecum, Fattore Umano

[3] https://www.open.online/2021/04/10/concorsi-pubblici-riforma-brunetta-giovani-esclusi

[4] L’analisi di quel delta chi qui scrive lo ha trattato in un rapporto di sintesi tra situazione italiana e situazione europea in Rivista italiana di comunicazione pubblica (in rete su FB) l’8.10.2020 – Ripreso il 10.10.2020 in https://stefanorolando.it/?p=4156

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Stefano Rolando

Stefano Rolando è nato a Milano nel 1948, dove si è laureato in Scienze Politiche e specializzato alla Scuola di direzione aziendale della Bocconi. Tra vita e lavoro si è da sempre articolato tra Milano e Roma. E' professore universitario, di ruolo dal 2001 all’Università IULM di Milano dopo essere stato dirigente alla Rai e all'Olivetti; direttore generale dell'Istituto Luce, alla Presidenza del Consiglio dei Ministri e del Consiglio Regionale della Lombardia. Insegna Comunicazione pubblica e politica e Public Branding. Ha scritto molti libri sia su media e comunicazione che di storia, politica e questioni identitarie. Da giovanissimo è stato segretario dei giovani repubblicani a Milano, poi ha partecipato al nuovo corso socialista tra anni settanta e ottanta. Poi a lungo non appartenente. Più di recente ha lavorato sul civismo progressista (Milano e Lombardia) e su un progetto politico post-azionista in relazione al quale è parte della direzione nazionale di Più Europa.

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