Ha ragione il professore Pacelli. Tutto dipende dal fatto che non abbiamo un’idea di capitale, non sappiamo che cos’è, non sappiamo com’è fatta una capitale, lo sapevano i cesari ed anche i papi, lo sapeva Mussolini e forse anche Garibaldi ma noi, noi cittadini del XX del XXI secolo, noi rappresentanti dell’Italia democratica e repubblicana non sappiamo come deve essere, che ruolo deve avere, quale immagine, quale sviluppo, non abbiamo cioè una nostra idea di capitale e finché non sapremo, finché non avremo un’idea di capitale, non potremo costruirla.
Roma è così condannata ad essere una città, una delle tante, costretta a contendersi il titolo di capitale con le altre capitali, con quella della moda, quella dell’arte, con quella dell’automobile, come ai tempi delle repubbliche marinare. E così Roma si distingue dalle altre città solo perché non può ospitare i giochi olimpici, ne l’expo e in più è penalizzata da un onere speciale e cioè quello di mettere il suo territorio al servizio dello Stato, anzi di due Stati.
Oggi non saprei dire quale possa essere una soluzione praticabile perché anch’io non ho un’idea di capitale ma so che una capitale dovrebbe avere un governo con una propria autonomia, con propri poteri, dovrebbe avere una potestà legislativa, dovrebbe cioè essere governata, non dà un consiglio comunale, ma da un’assemblea di governo, ma so anche che una soluzione come questa, la città-Stato, è certamente impraticabile.
Ha ragione il professore Pacelli. Non si può non condividere la sua analisi, ma devo osservare che se questa analisi è giusta la giusta soluzione è quella che prospettammo al Parlamento 30 anni fa, in una felice stagione politica in cui nell’aula di Montecitorio fu approvata all’unanimità una mozione per Roma Capitale e sette gruppi parlamentari presentarono altrettante proposte di legge e Bettino Craxi ebbe il merito di essere il primo presidente del consiglio a presentare un Disegno di legge per Roma Capitale.
Correva l’anno 1986. Purtroppo la nona legislatura volgeva al termine, una ennesima crisi politica la chiuse anzitempo e ciò che in quell’anno sembrava a portata di mano svanì come neve al sole. Quattro anni dopo, Il 15 dicembre 1990 viene promulgata la legge 396 “Interventi per Roma, capitale della Repubblica”. E da quell’atto scaturiscono 16 decreti ministeriali tra il 1992 e il 1999. Tanti soldi ma nessuna opera. Poi nel 2001 la norma costituzionale su Roma capitale e una nuova sfilza di 6 decreti ministeriali. Ancora soldi ma della nuova capitale nemmeno l’ombra.
Sarebbe molto facile dire oggi “ve lo avevamo detto”, i socialisti avevano proposto, con un proprio disegno di legge, a cui lavorammo io e il prof. Pacelli, una Agenzia per la capitale, una nuova forma organizzativa del potere pubblico che dovesse provvedere a tutte le incombenze tecniche ed amministrative relative all’attuazione di un piano di opere per la funzione di capitale.
Insomma la mancanza, da ormai un secolo e mezzo, di un progetto di capitale è il problema di Roma. Con il tempo i problemi si sono aggravati: la città storica è divenuta preda di ardite speculazioni, il governo del territorio non è stato più ritenuto un fatto prioritario, le periferie, preda dei palazzinari del dopoguerra, sono divenute squallidi dormitori, la città industriale si è dimostrato uno specchietto per le allodole che ha fatto solo dissipare territorio, i servizi pubblici sono divenuti un problema insolubile, preda di mille privilegi e terreno elettorale più che risorsa della capitale. Il turismo, il commercio, l’artigianato, un tempo fiorenti, sono divenuti rapidamente terra di nessuno fra norme inapplicate, carenze di programmi, contrasti ad ogni livello.
Ma di chi sono le responsabilità? Beh, questo ve lo racconto domani… 😉
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