In materia di brand e sviluppo territoriale ci sono tante scuole di pensiero. Chi dice che nel mistero della storia stanno tutte le virtù della fascinazione attrattiva. Chi dice che invece serve solo la vecchia costosa pubblicità. Chi punta sulla modernità dell’offerta ludica. Chi sulla tradizione dell’offerta culturale. Chi lascia fare alla natura. Chi cerca di nascondere la natura storpiata e deturpata. Chi dice che il passaparola si costruisca con la buona fruizione basata sui caratteri abituali della “ospitalità”. Eccetera, eccetera.
Di solito chi ha responsabilità (politiche, amministrative, imprenditoriali) tende a razionalizzare la logica degli investimenti: i soggetti pubblici promuovono il contesto, i soggetti di impresa promuovono il prodotto. Conta ovviamente la sinergia tra i due fronti. Ma siccome il branding non è il marketing, non basta saper vendere. Bisogna anche saper essere. Ovvero saper raccontare, saper testimoniare. E qui si scopre che il soggetto più importante è il variegato e magari contradditorio sistema sociale. Il “popolo” in persona. Fatto di ambiti silenti e ambiti parlanti, fatto di professionalità comunicative e artistiche e di soli consumatori, fatto di segmenti che tendono a comportamenti costruttivi e altri che hanno sempre da criticare (le due cose cono entrambe legittime). Così che la società in questo campo esprime una multiformità di messaggi, stratificati nel tempo, con buona dose di originalità e credibilità e una dose ugualmente importante di ripetitività e di sostanza stereotipata. Quindi tutto va governato, tutto va analizzato, tutto fa parte di un approccio integrato.
Una tendenza crescente nel mondo è che una spinta forte a mutare condizionamenti del passato e a cercare nuove strade narrative – in cui far convergere, nei limiti del possibile, la voce della società, quella delle istituzioni e quella dei soggetti economici – è rappresentata dalla possibilità di concorrere ad assicurarsi un evento importante, possibilmente internazionale e possibilmente mediatizzato. Così da imparare a fare meglio quel “governo sistemico” che di solito comincia con gli atti di candidatura, scorre attraverso la progettazione sostenibile, si consolida con la gestione dei programmi e si conclude con una “rendicontazione” narrativa che deve puntare a migliorare il posizionamento e il coefficiente di attrattività del territorio interessato. Le città sono determinanti in queste dinamiche, per molteplici fattori: possiedono tutti gli attrezzi e gli argomenti che servono; hanno i saperi, le storie e le risorse; hanno (le città italiane soprattutto) più notorietà dei territori circostanti e anche delle stesse regioni che le contengono; riescono meglio a svolgere compiti di regia.
Il caso di Expo 2015 a Milano ha messo a punto tutta la modernizzazione possibile di questi argomenti. Ma il caso di Matera 2019 ha portato questa metodologia anche in territori geneticamente poveri rispetto a questo “balzo” svolgendo quindi un effetto pedagogico prezioso per gruppi dirigenti e per giovani orientati a nuove professioni (terreno questo su cui Paolo Verri, direttore generale di Matera 2019 sta agendo con carsica determinazione). In questo 2019 il cantiere di Matera porta a termine in ottobre la sua esperienza ed è di nuovo Milano a riprendere il relais con un cantiere lunghissimo, quello delle Olimpiadi invernali del 2016 che vedono la coppia Milano-Cortina proporre una formula mista di città-territorio che si presta a molte nuove innovazioni anche nella regia della politica di branding. Stanno in questo perimetro l’attribuzione del label Unesco al territorio agro-vinicolo di Valdobbiadene e altre manifestazioni minori. Per il 2020 corriamo per il label Unesco con “Padova giottesca”. A fine anno meriterà un bilancio il quadro degli eventi sul cinquecentanrio di Leonardo in Italia e nel mondo. Sovrastano comunque i temi della cooperazione euro-mediterranea, che sono l’unico vero grande fattore di contrasto ai guai e ai drammi che, abbandonati solo alle tensioni politico-militari, certi contesti rischiano di perpetuare. Territori che hanno bisogno invece di pace e integrazione, cose che solo lo stretto rapporto tra economia e cultura può assicurare.
E’ per dar voce all’insieme degli argomenti qui accennati che sorge il progetto del “Festival delle città narranti”, nato nell’ambito di Associazione Brand Milano, trasferito nel cantiere progettuale di “Osservatorio sul Public Branding” dell’Università IULM, sposato dalla Fondazione “Francesco Saverio Nitti” nell’anno delle celebrazioni nittiane (2019-2020) con epicentro nella meravigliosa Villa Nitti a Maratea (nella foto) e per questo sostenuto anche dalla Fondazione Matera 2019 che in questo luogo (sempre in Basilicata) potrebbe svolgere il racconto del suo racconto di un anno.
In preparazione c’è il numero zero di questo Festival probabilmente per fine settembre-inizio ottobre. Con alcuni casi scelti, altri ora in selezione. Poi dal 2020 la formula dovrebbe andare a regime e diventare uno straordinario ambito per fare rete attorno a una moderna disciplina, a nuove validissime professioni, a forti interessi di cooperazione al di là delle tante barriere in cui purtroppo anche paesi meravigliosi come quelli mediterranei finiscono sempre per cacciarsi.
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