Scrivo dall’interno dell’onda emotiva suscitata nel mondo dal duro discorso di Putin di stasera 21 febbraio. Ovviamente, non so immaginare come andrà a finire la crisi ucraina, ma condivido alcune considerazioni, credo quasi ovvie.
- Putin si è messo da solo nella condizione di quelle decisioni che chiamo del terzo tipo, quelle che come fai sbagli. Se tornasse indietro, ci smentirebbe della sua immagine di macho con i suoi, in patria e altrove. Se andasse avanti con la guerra, non potrebbe mai finire bene – lui, malgrado tutto il suo gas, contro il resto del mondo: in particolare gli Stati Uniti, che non sono mai da sottovalutare, malgrado i problemi attuali che si sono auto-inflitti; e la Cina, che della Russia non fu mai complice sin dai tempi di Mao e Stalin ed è troppo lungimirante per esserlo adesso, e, soprattutto, ha bisogno di un mondo tranquillo per esercitare la sua futura leadership in condizioni di benessere per i suoi abitanti: Xi Jinping è più intelligente e lungimirante di molti altri capi di governo, Putin compreso (questi si può tollerare finchè da fastidio alla tracotanza americana, ma una sua guerra sulla Via della Seta sarebbe davvero troppo…).
- Comunque questa situazione di “spalle al muro” è pericolosissima: il mondo è nelle mani della psiche di un individuo che ha un arsenale atomico, oltre al gas.
- Putin ha voluto risparmiare negli stipendi dei suoi ghost writers: ha detto loro di copiare i discorsi che Joseph Goebbels preparò per Hitler. Cito Wikipedia sul tema dei Sudeti: “A seguito dell’Anschluss (annessione) dell’Austria da parte della Germania nazista nel marzo 1938, il successivo obiettivo di Adolf Hitler fu l’annessione della Cecoslovacchia. Il pretesto furono le supposte privazioni sofferte dalla popolazione tedesca residente nelle regioni di confine nel nord e nell’ovest della Cecoslovacchia, conosciute collettivamente come “tedeschi dei Sudeti“. La loro incorporazione all’interno della Germania avrebbe lasciato il resto della Cecoslovacchia senza facoltà di resistere alla successiva occupazione.”
Nel caso di adesso, è evidente che, dopo l’Ucraina, toccherebbe alla piccola Moldavia, e poi… - Putin si sta prendendo una grave responsabilità a danno della sua personale immagine di fronte agli storici futuri, di interrompere settantacinque anni di pace in Europa, un processo epocale ben descritto da Steven Pinker nel suo monumentale “The better angels of our nature”, ove il professore documenta il secolare progresso delle grandi nazioni verso una pace durevole a livello planetario. Forse che Putin, coinvolto da forze sotterranee radicate nel suo passato, vuol cancellare il confronto con il grande e pacifico suo conterraneo Gorbaciov?
- Gli stessi gost writers, forse poco colti, non si sono resi conto di quanto siano arretrati di millenni; mi permetto di ricordare la favola, con il suo grande semplice pathos:
Superior stabat lupus, longeque inferior agnus.
Tunc fauce improba latro incitatus iurgii causam intulit:
“Cur – inquit – turbulentam fecisti mihi aquam bibenti?”
Laniger contra timens:
“Qui possum – quaeso – facere quod quereris, lupe? A te decurrit ad meos haustus liquor.”
Repulsus ille veritatis viribus:
“Ante hos sex menses male – ait – dixisti mihi”.
Respondit agnus:
“Equidem natus non eram!”
“Pater, hercle, tuus – ille inquit – male dixit mihi!”
Atque ita correptum lacerat iniusta nece.
Haec propter illos scripta est homines fabula qui fictis causis innocentes opprimunt.
E – scusate – traduco con Wikipedia, ad uso dei giovani di oggi che non amano il latino, neppure quello benevolo di Fedro:
«Un lupo e un agnello, spinti dalla sete, erano venuti allo stesso ruscello.
Il lupo stava più in alto e, un po’ più lontano, in basso, l’agnello.
Allora il malvagio, incitato dalla gola insaziabile, cercò una causa di litigio.
“Perché – disse – mi hai fatto diventare torbida l’acqua che sto bevendo?
E l’agnello, tremando:
“Come posso – chiedo – fare quello di cui ti sei lamentato, o lupo? L’acqua scorre da te alle mie sorsate!”
Quello, respinto dalla forza della verità:
“Sei mesi fa – aggiunse – hai parlato male di me!”
Rispose l’agnello:
“Ma veramente… non ero ancora nato!”
“Per Ercole! Tuo padre – disse il lupo – ha parlato male di me!”
E così, afferratolo, lo uccide dandogli una morte ingiusta.
Questa favola è scritta per quegli uomini che opprimono gli innocenti con falsi pretesti.»
(E mi scuso anche con Volodymyr Zelensky, ma l’accostamento con l’agnellino della favola sta nei numeri dei relativi paesi.)
Allora: guerra nucleare in arrivo, oppure Putin prima o poi finirà come Sadam Hussein e Gheddafi? Staremo a vedere, noi dalla finestra: infatti, scrivo questa nota per un diverso contesto che ho in mente, facendo seguito ad alcuni miei articoli che Moondo benevolmente pubblicò nei primi mesi del 2020. Sostenni allora che in Europa eravamo tutti in stallo in attesa della decisione dei tedeschi, che erano come l’asino di Buridano, il quale, di fronte a due mucchi di fieno non sapendo quale scegliere, morì di fame.
Cioè, – sostenevo – la Germania da lungo tempo non sta esercitando la sua leadership naturale verso un reale processo di unificazione europea, ma coltiva l’alternativa di una Germania uber alles di preminenza nazionale sui suoi vicini. Contemporaneamente, i vicini della Germania non accettano l’idea di avere un maggiore benessere ed una maggiore importanza stando nel seno di un’Europa unita, magari a preminenza tedesca, e cercano invece di mantenere una modesta sovranità nazionale da affidare in gestione a piccoli politicanti locali.
Grazie a quello stallo, l’Europa ancora oggi non conta niente a livello geo-politico, malgrado viaggi elettorali di persone per bene come Macron, Draghi e Di Maio. E non è neppure in grado di giocare il ruolo di razionalità che le toccherebbe per storia e geografia, a favore della pace del mondo.
La chiara evidenza adesso è invece quella di un dittatorello come Putin che si permette di minacciare la grande Europa per prendersi un pezzo delle terre che stanno al suo confine, e pure minaccia di danneggiarla pesantemente, togliendole quelle forniture di gas che la natura gli ha concesso in dote e che i suoi predecessori comunisti hanno sviluppato sul continente (o imposto, fino a far desistere l’Italia dal nucleare).
E il prezzo che l’Europa chiederebbe ad un disturbatore della quiete continentale sarebbe quello di eventuali e dubbie e contestate ritorsioni (sanzioni), decise da un partner che sta a novemila chilometri oltre oceano?!…
Davvero si può pensare che Putin farebbe così il gallo se a latere, politicamente come è geograficamente, si trovasse un’Europa unita? Invece: l’Europa sembra soltanto un’espressione geografica, come avrebbe detto Klemens von Metternich (senza che ancora appaia un antagonista, come era Cavour per lo statista austriaco).
Forse che adesso ci diamo tutti insieme una pensata? Al di là di quelle disgrazie strettamente economiche che presagivo nei miei articoli di due anni fa, quando davo per quasi sicuro nel futuro il default dell’Italia in occasione della prossima crisi mondiale (la pandemia?), destino del tutto non ancora esorcizzato, se continueremo come se niente fosse. Magari senza il gas russo e con i prezzi dell’energia a livelli astronomici, in attesa di allevarci davvero le energie rinnovabili, malgrado le resistenze “fossili”, cui il gas appartiene.
Allora: spero che questo richiamo che non troppo benevolmente stasera ci manda Putin funzioni da trigger per una reale unificazione europea a livello dei poteri sostanziali: economia, tassazione, finanza, difesa, diplomazia, energia, ecc.
Diceva un comico italiano molti anni or sono: fusse che fusse a vorta bbona.
Giorgio GaruzzoGiorgio Garuzzo nasce a Paesana (Cuneo) il 30 novembre 1938.
Laureatosi nel 1961 nel primo corso di laurea in Italia per ingegneri elettronici, ha iniziato la sua lunga carriera in industria nel febbraio 1962, lavorando per dodici anni nel centro di ricerca sui grandi calcolatori elettronici fondato da Adriano Olivetti, partecipando allo progettazione degli elaboratori italiani delle serie Elea e GE che negli anni 1960 fortemente contribuirono alla prima informatizzazione dell’industria italiana. Nel libro “quando in Italia si facevano i computer”, pubblicato come e-book nel 2015, racconta la sua giovanile esperienza nell’ambito di quell’avanzata avventura industriale.
Tra il 1973 ed il 1976, è stato membro del Comitato Esecutivo di Gilardini, un gruppo quotato in Borsa, in rapida espansione nei settori dei componenti automobilistici ed industriali.
Nel maggio del 1976 l’ing. Carlo De Benedetti, presidente di Gilardini, venne nominato Amministratore Delegato di Fiat, e l’ing. Garuzzo lo seguì in Fiat come suo consigliere personale.
Tra il 1976 ed il 1978, l'ing. Garuzzo è stato responsabile dell’ufficio Nuove Iniziative del Gruppo Fiat, promuovendo, tra l’altro, la creazione di Comau, complesso nel campo delle macchine utensili e dei sistemi di produzione, nato dall’integrazione di sette aziende pre-esistenti.
Tra il 1979 e il 1984 fu Direttore del Settore Componenti Fiat che includeva oltre 50 aziende del comparto componentistico per l’auto e per l’industria, aziende che riunì in nove raggruppamenti, di molti dei quali fu anche presidente o amministratore delegato: Aspera (compressori per refrigerazione e piccoli motori), Borletti (strumenti di bordo, condizionamento), Comind (componenti in plastica e in gomma), Gilardini, IVI (vernici), Fiat Lubrificanti, Magneti Marelli (componenti elettrici ed elettronici), Weber (carburatori e sistemi di iniezione), Sepa (sistemi elettronici); il Settore raggiunse nel 1982 un fatturato aggregato di 2.250 miliardi di lire, con un buon profitto complessivo.
Dal 1984 al 1990 l’ing. Garuzzo fu CEO - Chief Executive Officer di Iveco, la società multinazionale del gruppo Fiat produttrice di veicoli industriali. Dopo le forti perdite riscontrate sino ad allora, Iveco raggiunse il punto di pareggio nel 1985; venne successivamente sviluppata anche tramite acquisizioni (Ford Truck e Seddon Atkinson nel Regno Unito, Pegaso in Spagna, Astra in Italia, Ashok Leyland in India), fino a raggiungere nel 1989 un fatturato superiore agli 8.000 miliardi di lire, con una posizione di leadership sul mercato europeo e un ragguardevole profitto. Da tale posizione Iveco condusse un programma di rinnovamento totale della gamma di prodotto e di 22 stabilimenti in 6 paesi d’Europa, con un investimento di oltre 5.000 miliardi di lire, in larga misura autofinanziato.
In aggiunta, nel 1989 l’ing. Garuzzo assunse la responsabilità di Fiat Agri e promosse l’acquisto della divisione dei trattori e delle macchine per l’agricoltura di Ford, coordinando la creazione di un gruppo integrato, che, con la denominazione di New Holland e con un fatturato nel 1990 di 5,1 miliardi di dollari, divenne uno dei due leader mondiali nel comparto, giungendo rapidamente ad un ragguardevole profitto, che ne consentì la quotazione in borsa alcuni anni dopo.
Tra il 1991 ed il 1996, l'ing. Garuzzo ha ricoperto il ruolo di direttore generale di Fiat, con responsabilità di tutti i settori autoveicolistici, che includevano Fiat Auto (automobili), Iveco (camion ed autobus), New Holland (trattori, macchine agricole e macchine movimento terra), Magneti Marelli (componenti), Teksid (fonderie), Comau (sitemi di produzione), Ceac (batterie elettriche) e Centro Ricerche Fiat. Tale carica comportava la presidenza del Consiglio di Amministrazione di Fiat Auto S.p.A., di Iveco N.V., di New Holland N.V. Nel 1992 la responsabilità dell’ing. Garuzzo fu estesa a tutto il settore industriale, con l'aggiunta di Fiat Ferroviaria (treni ad assetto variabile), Fiat Avio (parti per aerei ed elicotteri, turbine a gas e propulsori spaziali), Snia (bioingegneria, fibre e prodotti chimici).
Nel 1991 partecipò alla fondazione di ACEA, l’Associazione Europea dei Costruttori di Automobili, di cui fu presidente negli anni 1994 e 1995.
Nel libro pubblicato nel 2006 “Fiat – I segreti di un’epoca” (ed. Fazi, traduzione inglese ed. Springer), racconta gli eventi della sua esperienza in Fiat e delle realizzazioni industriali nel contesto economico e sociale dell’Italia di quel ventennale periodo.
Dal 1996 si occupò di investimenti in “private equity”, esperienza che lo indusse nel 2007 a promuovere la fondazione e la quotazione di Mid Industry Capital SpA (da lui presieduta sino al 2015).
E’ sposato con Rosalba Avaro ed ha un figlio, Carlo.
L’Istituto Garuzzo per le Arti Visive (IGAV) è un’organizzazione “non-profit”, fondata nel 2005 e finanziata in gran parte dalla famiglia Garuzzo, che ha lo scopo di supportare l’arte contemporanea e in particolare ad aiutare i giovani artisti italiani emergenti a farsi conoscere sia in Italia sia, soprattutto, nei contesti internazionali. Ha sinora organizzato 86 mostre in 58 musei di 19 nazioni, e gestisce l’esposizione della Collezione Permanente alla Castiglia di Saluzzo.