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Un anno vissuto pericolosamente

Il bilancio annuale del 2020 sarà, alla fine, di oltre 100.000 morti e di una riduzione del PIL di poco meno del 10% (170 miliardi circa). Sono stime di chi scrive, elaborate sulla base dei dati diffusi dall’Istituto Nazionale di Statica (uno dei pochi presidi di correttezza metodologica e comunicativa).

Il rapporto “IMPATTO DELL’EPIDEMIA COVID-19 SULLA MORTALITÀ TOTALE DELLA POPOLAZIONE RESIDENTE PERIODO GENNAIO-NOVEMBRE 2020”, prodotto dall’Istat insieme all’Istituto Superiore di Sanità, ci dice infatti che i 547.369 decessi registrati dalle anagrafi nel periodo marzo-novembre superano di quasi 86.000 unità quelli medi registrati nello stesso periodo nei cinque anni precedenti (contro i 55.576 decessi da Covid riportati per lo steso periodo dal database della Protezione Civile). Poiché i soli decessi da Covid registrati dalla Protezione Civile a dicembre sono oltre 18.000 il superamento della soglia dei 100.000 decessi anagrafici aggiuntivi è, purtroppo, una previsione fin troppo contenuta.

D’altra parte l’ultima edizione disponibile dei CONTI ECONOMICI TRIMESTRALI dello stesso Istat riporta una variazione “già acquisita” del PIL del -8,3% dopo i primi tre trimestri e, poiché i dati parziali disponibili per ottobre e quelli immaginabili per novembre e dicembre non indicano certo miglioramenti, una stima annuale vicina al -10% appare, purtroppo, realistica (anche se le stime ufficiali sono, per ora, intorno al -9,0%). Per dare un’idea di ciò che questa cifra significa si pensi che la stima della perdita del Pil nel terribile anno di guerra 1943 è del -13%.

Sia dal punto di vista del numero dei decessi sia da quello della caduta dell’economia l’Italia ha fatto leggermente peggio degli altri grandi paesi europei paragonabili. Su queste pagine abbiamo cercato di darne conto rielaborando i numeri che una confusa e reticente comunicazione pubblica ha fornito all’opinione pubblica.

Sarebbe forse ingeneroso definire “disastrosa” la gestione sanitaria ed economica della pandemia da parte delle autorità competenti, ma gli atteggiamenti propagandistici di soddisfatto autocompiacimento dei principali responsabili (il Presidente del Consiglio, il suo supercommissario, il vertice del Comitato tecnico scientifico) appaiono quantomeno fuori luogo. La gestione non sarà stata disastrosa ma certamente inadeguata e per alcuni aspetti fallimentare (si pensi alla impreparazione e improvvisazione di fronte alla prevedibile “seconda ondata”). Le incertezze di queste giorni sulle riaperture scolastiche e le contradditorie notizie sul piano vaccini sono un’ulteriore testimonianza di inadeguatezza.

Bisogna onestamente riconoscere che di fronte a un evento così straordinario la possibilità di commettere errori nella individuazione delle risposte è molto ampia e che non esistono soluzioni ottime da tutti i punti di vista. Tuttavia la gestione della crisi è stata caratterizzata da due elementi ulteriori assolutamente evitabili: l’incoerenza e l’assenza di trasparenza.

Il Governo, ed in particolare il Presidente del Consiglio e le sue emanazioni che hanno concentrato su se stessi un’enorme quantità di potere, sono apparsi privi di un approccio strategico alla crisi, non solo nella fase iniziale (cosa comprensibile) ma anche in quella successiva. La gestione delle informazioni e della comunicazione è stata omissiva e propagandistica, caratterizzata da un’arroganza paternalistica che, anche in questo caso, definire fuori luogo è un eufemismo. Purtroppo (per la democrazia italiana) il comportamento delle leadership delle opposizioni, improntato a una costante quanto incoerente polemica, non è stato da meno.

Su queste pagine mi ero permesso, ai primi di marzo, di auspicare una “tregua politica” che consentisse di ridurre il peso della competizione per la ricerca del consenso immediato sulle responsabilità decisionali; maggioranza e opposizione hanno invece scelto la strada della contrapposizione demagogica, del protagonismo mediatico a tutti i costi.

Ci aspettano, nella migliore delle ipotesi, tre o forse sei mesi di convivenza con l’epidemia. Le strutture ospedaliere sono già sovraccariche (25.000 ricoverati al 4 gennaio) e la quota dei positivi sui casi testati è tuttora al di sopra della soglia che consentirebbe un efficace azione di controllo.

Contenere le conseguenze sanitarie senza far precipitare la nostra economia in un baratro è difficile, servirebbero scelte complicate e coraggiose, servirebbero “scelte politiche”, cioè compromessi tecnicamente intelligenti che trovino un equilibrio tra i diversi interessi da rappresentare.

Ma la politica da rappresentanza è diventata rappresentazione, anzi – come ha scritto il massmediologo Christian Salmon “riapparizione” sempre più immiserita e fine a se stessa in cui “L’homo politicus vi appare non più come il portatore del cambiamento annunciato, ma come uno spettro rischiarato da quelle stesse fiamme che si accingono a divoralo”.

Buon anno.

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Daniele Fichera

Daniele Fichera. Ricercatore socioeconomico indipendente. Nato a Roma nel 1961 e laureato in Scienze Statistiche ed Economiche alla Sapienza dove è stato allievo di Paolo Sylos Labini, ha lavorato al centro studi dell’Eni, è stato a lungo direttore di ricerca al Censis di Giuseppe De Rita e dirigente d’azienda e business development manager presso grandi aziende di produzione e logistica italiane e internazionali. E’ stato inoltre assessore al Comune di Roma dal 1989 al 1993 e Consigliere regionale del Lazio dal 2005 al 2010 (assessore dal 2008 al 2010) e dal 2015 al 2018. Attualmente consulente per l’analisi dei dati e l’urban innovation per diverse società e centri di ricerca.

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