L’incudine e il martello è la soluzione dell’«indovinello doppio» di Mirella Argentieri proposto la volta scorsa. E, a proposito della sua raccolta di enigmi, si è accennato a Leone Santucci, che ebbe a definire «ombre poetiche» le doppie significazioni, che i versi assumono in tale tipo di composizioni.
Leone Santucci, canonico della chiesa di S. Giovanni a Lucca, fu uno stimatissimo poeta vissuto tra il 1636 ed il 1724; oltre ad opere di carattere religioso, egli compose circa centocinquanta sonetti enigmistici, che si ritrovano riprodotti in diverse preziose edizioni (Parma 1760, Genova 1761, Viterbo 1765, Venezia 1788, Palermo 1714, Bologna 1730, ecc.) tutte comunque a firma di Caton l’Uticense, imperfetto anagramma del nome e cognome del sacerdote.
Sono enigmi che fanno respirare un’aria di modernità; in più di un’occasione pare quasi che l’autore anticipi le attuali tecniche enigmistiche. È frequente, infatti, l’uso di bisensi inseriti armoniosamente nel solito gioco di metafore e di analogie. La raccolta contiene esempi stupendi come questo enigma davvero mirabile che si spiega con la sciabola.
Femmina io sono, Amazzone guerriera,
e il nome mio fra i cavalieri è chiaro:
per fasto anch’io, delle Regine al paro,
guardie armate ho d’intorno e giorno e sera.
Questa pelle d’uccisi, orrida e nera,
che avvolgo al sen sul pellicoso acciaro,
ornamento non è per mio riparo,
che ignuda vo’, quando combatto altera.
Per dove passo empio di sangue e morte;
e quando par che mia virtù s’arrende
e si spieghi pugnando, io son più forte:
grido al mortale allor (né so se apprende
malgrado suo la minacciata sòrte)
che da un filo sottil la vita pende.
Una delle tante edizioni di questi sonetti del Santucci, quella genovese del 1761, contiene, inserito tra gli altri, un sonetto certamente apocrifo, in testa al quale si legge:
«Sonetto di Londra proposto con regalo di 1000 Doppie a chi lo spiega, depositato nel Banco di Andebord di Londra con la spiegazione dell’Autore, suggellata in Rogito di Notaro ed al Banco predetto deve rivolgersi chi vuole indicare la propria spiegazione. Novembre 1748».
Il sonetto, dopo tanti anni, è rimasto un mistero, nonostante il ricco premio promesso a chi ne avesse fornito la spiegazione: mille doppie, duemila zecchini d’oro, cioè, espressamente depositate in un Banco londinese.
Son di me Figlio, Fratel, Padre, ed Avo,
e son Vergine, Madre, Balia, e Moglie;
son vile e cerca ogn’un trarmi a sue voglie:
son drago crudo, Aquila Regia e schiavo.
Siam sette, e solo l’altrui vizi lavo
col morir di mia man, né mai mi toglie
la vita (alcun), finché delle mie spoglie
andando altero a me la vita cavo.
Fui terra, ed acqua, e degli altri elementi
vivo, e son mortal qual uomo anch’io
né carne, ed ossa nel mio corpo senti.
Ma se ottener da me hai tu desìo,
fa’ che un morto m’uccida, e i miei parenti
si pascan di mia carne, e sangue mio,
che sarai come Dio
amato in terra, e riverito insieme,
e gli posteri tuoi di regal seme.
Nei secoli scorsi sono stati innumerevoli i tentativi di spiegazione, ma tutti certamente deboli: il sole, il tempo, l’inchiostro, Gesù Cristo. Non sono mancati nei secoli scorsi i tentativi di spiegazione del gioco, come quando, nel 1902, “La Domenica del Corriere” volle riproporre l’enigma addirittura indicendo una gara. I risultati non furono entusiasmanti: l’Italia, la gola, il peccato, la semenza, il giorno, l’invidia, il vigneto, il pane sono alcune delle fantasiose risposte date dai lettori. Questa varietà di spiegazioni dovrebbe forse convincere che l’enigma rimarrà definitivamente irrisolto: chissà che l’autore, esasperando in quei versi i contrasti e le incongruenze tipiche dell’enigmistica secentesca, non abbia voluto soltanto divertirsi alle spalle dei lettori più ingenui. Oppure può darsi che si tratti semplicemente di uno di quegli “enigmi impossibili”, la cui spiegazione non è assolutamente univoca; così come accade per certe antiche novelle, nelle quali è frequente imbattersi in una sorta di strane questioni, impropriamente definite «enigmi», ma che dell’enigma hanno poco o nulla del tutto.
Davvero una bella presa in giro fu, ad esempio, quella operata da un anonimo dell’altro secolo il quale fece circolare uno strano indovinello: «Uno, due, tre: / Fante, Cavallo e Re» e intorno a esso per anni si sono inutilmente accaniti numerosi volenterosi.
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