Colloquio con Rino Formica, di Emanuele Ceglie
Se ieri i fenomeni di mafia e la stagione del terrorismo hanno generato, accanto a situazioni emergenziali, un “potere” dell’anti-mafia e dell’anti-terrorismo con relativi apparati di repressione ma anche legislativi e perfino culturali, oggi in Italia la gestione dell’emergenza pandemica del Cv-19 sta generando un “potere dell’emergenza” assai più potente dei primi due. Una tipologia di potere del tutto inedita in quanto associa, sin dall’origine e in un rapporto assai stretto, una forza coercitiva e al tempo stesso condivisa, la quale si esercita sui comportamenti e sugli stili di vita individuali e collettivi, legittimata dalla necessità di contrastare gli effetti mortali di una epidemia sull’intera popolazione
Esatto. Attorno al principio della tutela e della cura della salute pubblica, della vita delle persone singole e della società, si va organizzando un “sistema di potere” che si auto-legittima sulla base della condizione e dell’assunto primari che possiamo riassumere: la guerra al virus, la limitazione e il monitoraggio del contagio, l’immunizzazione della popolazione.
In questo circuito auto-alimentato dalla virulenza e persistenza della pandemia/eccezionalità politico-istituzionale/formazione del potere dell’emergenza, si inserisce un addendum rafforzativo di tale potere, si tratta della indicazione rivolta all’intera società improntata alla necessità della “convivenza con l’emergenza”.
Agli occhi di questo governo e della classe dirigente non appare la contraddizione tra i due termini: la “convivenza” con il virus, per il suo significato di temporalità indefinita e permanente escluderebbe il concetto di eccezionalità emergenziale che, all’opposto, presuppone un limite temporale.
Infatti. Se la contraddizione non appare nel campo visivo del Governo, e se -soprattutto- non appare il dislivello che si va formando tra un tale “potere dell’emergenza” e l’intero impianto costituzionale, quest’ultima contraddizione è chiara nella visione della Corte costituzionale, se prendiamo le recenti parole del suo Presidente Marta Cartabia che conviene rileggere :
“La nostra Costituzione non contempla un diritto speciale per lo stato di emergenza sul modello dell’art. 48 della Costituzione di Weimar o dell’art. 16 della Costituzione francese, dell’art. 116 della Costituzione spagnola o dell’art. 48 della Costituzione ungherese. Si tratta di una scelta consapevole. Nella Carta costituzionale non si rinvengono clausole di sospensione dei diritti fondamentali da attivarsi nei tempi eccezionali, né previsioni che in tempi di crisi consentano alterazioni nell’assetto dei poteri. (…) Anche nel tempo presente, dunque, ancora una volta è la Carta costituzionale così com’è – con il suo equilibrato complesso di principi, poteri, limiti e garanzie, diritti, doveri e responsabilità – a offrire alle Istituzioni e ai cittadini la bussola necessaria a navigare «per l’alto mare aperto» dell’emergenza e del dopo-emergenza che ci attende”.
Mentre in settori sempre più larghi della popolazione la prospettiva della “convivenza con il virus” viene contestata con forza crescente, mentre il rapporto Stato-regioni fuoriesce dai binari costituzionali e perfino dall’ambito dell’adozione di protocolli sanitari e di metodologie di monitoraggio dell’infezione omogenei mettendo in forse la stessa efficacia degli interventi, mentre sono all’opera fattori destabilizzanti della stessa operazione storica della nostra Carta fondamentale che esclude in piena consapevolezza storico-politica un “diritto speciale per lo stato di emergenza (Marta Catarbia), la politica fatica ad orientarsi verso il riassetto delle problematiche legate all’emergenza.
Dunque, quale assetto dare all’emergenza?
Si pongono problemi di assetto istituzionale e costituzionale (vedi la materia del prossimo referendum), normativo, legislativo, tecnico-amministrativo. Sono emerse questioni finora inedite nella loro urgenza: quale rapporto tra scienza e politica? Quale ruolo degli specialismi nella direzione e decisione politica? A quali condizioni, non previste dalla nostra Carta, si svolgeranno le prossime elezioni comunali e regionali le cui date sono già state stabilite dal Governo? Tra le tante complicazioni create dalle task-force e comitati tecnici, si potrebbe pensare a un tavolo istituzionale di moral suasion che assecondi l’attuale fase e che sia composto dal Presidente della Repubblica, dal Presidente della Corte costituzionale e dai Presidenti di Camera e Senato.
Negli anni più complessi e travagliati della storia politica repubblicana, gli anni tra il 1992 e il 1996, durante i quali cambiò tutto, il sistema elettorale, il sistema politico e persino quello degli equilibri internazionali, funzionò uno stretto rapporto di consultazione tra il Presidente della Repubblica Scalfaro e i Presidenti di Camera e Senato, Napolitano e Spadolini e il Presidente della Corte costituzionale Francesco Paolo Casavola. Aggiungo che non va dimenticato il messaggio al Paese di Scalfaro del 3 novembre 1993, noto come il discorso “Io non ci sto” per bloccare uno dei tanti tentativi, come lui disse, di “recar danno alla vita dello Stato”.
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