Nell’imminenza del varo del governo giallorosso, tra entusiastici consensi e aggettivatissime riluttanze, chi scrive scelse una sorta di astensionismo critico, fondato su una argomentazione formulata prima del voto di fiducia dal direttore della Stampa Maurizio Molinari: è la prima volta al mondo che un partito di tradizione democratica fa un patto con un nuovo partito populista, vedremo tra qualche tempo se i Cinquestelle si sono fatti conquistare da un metodo che mette da parte la demagogia o, al contrario, se i Dem troveranno vantaggioso adagiarsi sul comodo annuncismo demagogico che porta consensi ma allontana le vere esigenze di governo.
In quel momento la questione del “taglio” dei parlamentari era una eredità del governo gialloverde che i grillini invocavano per tentare di recuperare mediaticamete il terreno perduto a vantaggio di Matteo Salvini e che Salvini era disposto a deglutire nel tentativo estremo di salvare l’alleanza, dopo averla affondata. Il PD manifestava tutte le sue perplessità e in quella fase metteva in evidenza tutto il carattere demagogico del provvedimento.
Sulla rivista “Critica liberale”, che era e resta schierata contro questo provvedimento (ora anche tentando la via referendaria), nel fascicolo di agosto 2019 veniva riprodotto per la seconda volta un ampio articolo a firma di Carlo Melzi d’Eril e Giulio Enea Vigevani pubblicato dal Sole 24 ore il 24 agosto che così cominciava, ben fotografando la situazione: “La riforma costituzionale che prevede il cosiddetto “taglio del numero dei parlamentari”, cioè la diminuzione di più di un terzo di deputati e senatori, sembra lo scoglio su cui rischia di arenarsi l’ipotesi di un nuovo governo che unisca Movimento Cinque Stelle e Partito Democratico. I primi paiono porre la modifica come condizione per qualsiasi alleanza. I secondi non la ritengono una priorità e anzi sono tendenzialmente contrari ad essa. Ora, la drastica riduzione dei parlamentari che cosa comporta e come incide sul funzionamento della nostra democrazia? Certo non consente un risparmio decisivo per le casse del Paese. Secondo l’Osservatorio sui conti pubblici guidato da Carlo Cottarelli, si sostanzierebbe in 57 milioni di euro all’anno, pari allo 0,007% della spesa pubblica. Una bella somma in sé considerata ma tutto sommato irrisoria se paragonata al bilancio dello Stato. Il principale argomento con cui la riforma viene presentata non si rivela, dunque, particolarmente convincente”.
Nel funambolico cambio di alleanze che ha formato il nuovo governo M5S ha preteso una “prova d’ amore” al partito di Nicola Zingaretti, non pago della già robusta sconfessione di una linea intera di argomenti alternativi ai Cinquestelle in nome di uno “stato di necessità”, rappresentato dal mettere fuori gioco la Lega e il suo leader proprio nell’imminenza della ricostituzione del patto di governo del sistema Europa: accettare la priorità del “ taglio”, così chiamato, di 350 poltrone della casta (come se quel Parlamento fosse altro da se’), dono votivo al vecchio mantra dell’antiparlamentarismo e indipendentemente dalla preliminare predisposizione di una legge elettorale capace di limitare i danni alla evidente riduzione di rappresentanza parlamentare di una parte consistente del territorio.
Un bel banco di prova del quesito di Maurizio Molinari (e, se è consentito dirlo, di chi scrive) attorno a quale strada fosse imboccata dall’inedita alleanza.
La rete impietosamente offre ogni controprova, che qui non c’è spazio di riprodurre, con dichiarazioni ex-ante di dirigenti di prima linea del PD contrari al provvedimento.
Come si sa la filosofia politica studia i casi estremi della “ragion di Stato”, ovvero definisce e ridefinisce di continuo i limiti del cosiddetto “male minore”. Si vedrà se gli studiosi di questo ramo delicatissimo che confina con il diritto, la scienza politica e l’etica, accoglieranno questo episodio nella loro casistica. Per il momento non si ravvedono i “requisiti minimi” e quindi il cedimento su tutta la linea del fronte del serio dubbio attorno a questo provvedimento suona gravemente strumentale e poco etico.
E’ questa la sostanza da cui parte l’iniziativa – fin qui minoritaria – di Più Europa, sostenuta da un primo robusto elenco di giuristi italiani, di considerare l’annunciato provvedimento non un “mal minore” ma un “attentato alla Costituzione”.
Venerdì 4 ottobre alla Camera dei Deputati, Emma Bonino, Benedetto Della Vedova, Simona Viola, Andrea Mazziotti, Riccardo Magi e Piercamillo Falasca hanno presentato l’appello dei giuristi italiani che richiama tutte le questioni di principio che debbono essere tenute presenti da chi pensa che proprio la direzione di marcia – demagogica o antidemagogica – del governo sia in gioco nell’occasione.
Tra gli ordinari accademici di materie giuridiche che hanno firmato l’appello i primi nomi sono di Tiziano Treu, Nerina Boschiero, Giuseppe Pericu, Alfonso Celotto, Fulco Lanchester, Roberto Toniatti, Maria Paola Viviani Schlein, Augusto Cerri, Enrico Folliero, Francesco Zucchini. Questo l’incipit dell’ appello:
«Qualunque modifica del numero dei parlamentari non può che essere contestuale o successiva alle altre modifiche costituzionali riguardanti il ruolo e il funzionamento delle camere. In caso contrario, il taglio dei parlamentari prospettato dalla legge di revisione costituzionale attualmente in discussione in Parlamento non costituirebbe una riforma, ma una vera e propria mutilazione della Costituzione, priva di un quadro di coerente adeguamento del sistema. I Costituenti scelsero un numero alto di parlamentari perché il pluralismo politico italiano trovasse un’ampia rappresentanza in Parlamento. Oggi sarebbe anche possibile ridurre quel numero, ma non si può né accettare che la ragione di tale riforma poggi sull’irrisorio risparmio che determinerebbe (poche decine di milioni l’anno) e, men che meno, sull’esigenza di certificare, con una sorta di sacrificio esemplare, il disprezzo per il Parlamento e per la democrazia rappresentativa esibito dallo schieramento populista. Soprattutto, l’efficienza del processo legislativo e la stabilità delle funzioni di governo possono giovarsi di misure di riequilibrio, anche quantitativo, della composizione delle camere, se e solo se si accompagnano con modifiche coerenti del bicameralismo paritario”.
Nella conferenza stampa sono stati ribaditi i punti di valutazione essenziali. Emma Bonino ha dichiarato: “Penso che il taglio dei parlamentari sia un’iniziativa assolutamente demagogica, che viene giustificata con più efficienza e risparmio. Segnalo che il risparmio eventuale corrisponde al bilancio della città di Viterbo, tanto per dirvi di che cosa parliamo, ed è in effetti una decapitazione della Costituzione. Quando i padri costituenti fissarono il numero a mille, non lo fecero a caso, ma in rapporto alla popolazione. Quindi è una pura misura di antiparlamentarismo e dispiace che il PD, dopo aver votato contro per ben tre volte, si accodi a questa demagogia populista. E’ anche un rischio per la rappresentatività, perché è evidente che qualche città grande sarà rappresentata, ma i territori, le Province si possono scordare di vedere un Senatore o un Deputato, neanche a distanza”.
Benedetto Della Vedova ha aggiunto: “Ridurre il numero dei parlamentari è possibile” ma “i 5 stelle vogliono umiliare il Parlamento e fare scempio della Costituzione. Zingaretti e Renzi dicano di no. Noi come +Europa non abbiamo votato la fiducia al governo anche perché alla base dell’accordo Pd-M5s c’era questo scempio della Costituzione“.
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