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Napoli: vergini, Sante e Sirene. Da Partenope a Patrizia

Poi sulla costa sono Napoli,
chiamata Partenope
dalla tomba della Sirena
(Gaio Plinio Secondo)

Qualcuno dice di aver sentito un flebile, addolorato lamento rompere il silenzio delle tiepide notti di primavera, e di averne invano cercato l’origine tra le pietre tufacee del Castello, sotto gli archi, tra gli scogli. Non era un canto, piuttosto un pianto, un suono dolcissimo e disperato che stringeva il cuore ma che al tempo stesso, ammaliava. E’ la voce della bellissima Parthenope la Vergine, la terza Sirena sconfitta da Ulisse, che un tempo incantava e seduceva gli uomini aprendo col suo canto le porte di altre dimensioni e di conoscenze a loro precluse? Chissà!

Non sarà vero ma di notte, quando la città tace, passeggiare per Borgo Marinari accompagnati dal solo rumore del mare ha qualcosa di magico, forse perché Megaride, quel piccolo sperone di tufo giallo collegato alla terra da un pontile, ha vissuto almeno 3 millenni di incredibili storie conservate nella sua roccia porosa, disposta a narrarle a chi sa ascoltare.

Lapide della tomba di Parthenope

Se riteniamo attendibile la cronologia omerica siamo più o meno intorno all’anno 1174 a.C, circa dieci anni dopo la caduta di Troia, quando Parthenope fu portata dalla corrente del mare proprio fino a Megaride. Lì gli abitanti del luogo, forse gli Opici, l’accolsero e la venerarono dedicandole ogni anno feste, giochi e processioni. Era una divinità e il corpo fu sepolto nel caldo tufo dell’isolotto, secondo Stazio e Strabone. O forse lì dove oggi c’è la chiesa di S. Lucia, o ancora, a Caponapoli, come sostengono altri studiosi. O forse fu spostato più volte e, come recita una lapide millenaria, finì lì dove è stata edificata da Costantino la Basilica di San Giovanni Maggiore.

Ma anche senza la certezza di una tomba, il culto di Parthenope si radicò. Nelle sue variazioni, sirena-uccello, sirena-pesce e sirena bicaudata, lo troviamo ricordato nella Fontana di Spinacorona, sull’obelisco di piazza San Domenico Maggiore, sul decoro della Federico II, nel trittico di statue sul teatro San Carlo e anche sul paliotto d’argento dell’altare nella Cappella di San Gennaro.

Fontana di Spinacorona

Non riuscendo a estirparlo, il cattolicesimo vi pose rimedio trovando il modo di trasformare una Sirena in una Santa, Patrizia.

Come per la Sirena, le origini sono molto incerte e hanno il sapore delle favole. Una giovanissima Patrizia in un anno non definito nemmeno dai poeti, tra il VII e il VI secolo d.C,, scappò da Costantinopoli insieme alla nutrice Aglaia, per non essere costretta a sposarsi come voleva il padre. Forse era una principessa maghrebina, forse una discendente di Costantino, questo non è chiaro nemmeno nella leggenda, così come non è chiaro come mai la nave, incappata in una tempesta sulla rotta della Terra Santa dove la fanciulla voleva recarsi in pellegrinaggio, fece invece naufragio sulla costa di Megaride. Accolta nel piccolo eremo dell’isolotto la giovane vergine visse poco e morì, proprio come Parthenope.  Il suo corpo fu messo su un carro trainato da due tori che, senza alcuna guida, percorsero Neapolis fermandosi a Caponapoli, dove forse c’era stata la tomba della Sirena, conservata nel convento dei padri Basiliani dedicato ai SS. Nicandro e Marciano.

Fu sepolta? Forse sì, forse no dal momento che le cronache dicono che già agli inizi dell’anno 1000 dal suo corpo trasudava manna e che, qualche secolo dopo la sua morte, dall’alveolo di un dente che le strappò un cavaliere romano devoto al suo culto, sarebbe miracolosamente uscito il sangue che ancora oggi, ogni martedì e il 25 agosto giorno di Santa Patrizia, puntualmente si liquefa nell’ampolla.

Patrizia come Gennaro, ma questa è un’altra storia.

Il prodigio era compiuto, la Vergine Parthenope si è trasformata nella Vergine Patrizia, la Sirena nella Santa che nel frattempo ha perso anche il colore ambrato proprio delle orientali per essere iconograficamente sempre rappresentata con la pelle candida.

I fatti e i luoghi dell’approdo e della sepoltura coincidono almeno fino al 1864, quando l’urna con i resti, il dente e il sangue furono spostati nella chiesa di San Gregorio Armeno. Chiesa sorta sui resti del tempio di Demetra, la dea che punì le ancelle della figlia Persefone tramutandole in Sirene: Leucosia, Ligeia, Parthenope. Il cerchio si chiude!

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Diana Negri

Napoletana, laureata in Pedagogia con indirizzo psicologico presso l’Istituto Universitario “Suor Orsola Benincasa”, vive da sempre nel mondo della comunicazione, prima come pubblicitaria, poi da 25 anni come formatrice e come giornalista professionista; ha collaborato dal 1987 al 2006 con vari quotidiani, periodici e canali televisivi. È specializzata nel marketing culturale da oltre 30 anni e crea progetti innovativi e didattici per musei, come il Museo del Tesoro di San Gennaro e il Museo Filangieri, percorsi esperienziali nell’arte, per l’associazione ArtDalb, laboratori e seminari di sviluppo personale e creativo, mixando metodologie insolite e la sua passione per Napoli.

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