Ieri, venerdì 11 settembre, era il diciannovesimo anniversario dell’attacco alle torri gemelle. Non ne ho parlato, sbagliando, perche’ la cosa continua a dolermi troppo per parlarne ancora e anche, devo ammetterlo, perche’ ho pensato che dopo 19 anni ai miei lettori fosse piu’ che sufficiente quello che avrebbero letto e sentito e visto dalle loro abituali fonti di informazioni. Come ho detto, ho sbagliato, molti lettori me l’hanno fatto notare ed eccomi a cercare di rimediare raccontandovi come ho vissuto la cosa personalmente. Un piccolo squarcio di vita privata di un residente a New York.
Sono circa le nove del mattino, forse qualche minuto prima. Mia moglie, che ha la radio accesa, mi grida: “Accendi la tv, e’ successo qualcosa di terribile”. Accendo. La north tower (colpita – come sapro’ dopo – alle 8.46) e’ in fiamme dal 93 piano in su. Si parla ancora di un incidente. Io minimizzo la cosa e , come nulla fosse, mi avvio alla metropolitana per andare in ufficio, che e’ a mezza strada fra casa mia e la zona delle torri. La metropolitana e’ come sempre strapiena, nessuno sa niente dell’ “incidente”. M quando il treno arriva alla fermata di Union Square l’alto parlante annuncia che non si va piu’ avanti. La gente stupita si domanda come mai, io capisco che forse e’ a causa dell’incidente. Esco sulla piazza, da cui, guardando a sud, da sempre vedo stagliarsi nel cielo le due torri.
Oggi invece il cielo azzurrissimo e’ vuoto, vuoto, vuoto. Non ci posso credere, mi si riempiono gli occhi di lacrime, qualcuno da’ la notizia agli altri passeggeri, pianti, grida, discussioni di dove e come andare. Io sempre in lacrime e enormemente confuso vado per un po’ in ufficio, poi vado da mia figlia, che abita li’ vicino, a guardare la tv. Dove sapro’ tutto: la south tower e’ colpita alle 9.03 fra il 77 e l’85 piano. Crollera’ al suolo alle 9.59, la north tower alle 10.28. Nel frattempo si vedono alla tv scene strazianti, registrate poco prima: migliaia di persone che escono correndo dalle due torri, molti che si buttano dalle finestre dei piani superiori al posto dell’impatto. Poi i crolli, che avvolgono di fumo quelli che stanno fuggendo, spesso soffocandoli e lascandoli morti in mezzo alla strada
Poi, come se vagassi senza meta, mi avvio verso casa a piedi, circondato da migliaia di persone che si dirigono anch’essi a casa a piedi(quasi sempre lontanissima, ben oltre i ponti di Manahattan).
E in mezzo a tutto questo un segno di solidrieta’: l’autista di un autobus di linea che offre alla gente di portarli dove vanno. Nelle ore e nei giorni seguenti questi gesti di solidarieta’ si moltiplicheranno all’infinito, con la citta’ bloccata senza mezzi pubblici, con tutto (negozi, uffici, ristoranti….) chiuso. E’ di certo quello che piu’ mi ha impressionato: il cambiamento della gente. Da totalmente indifferenti al prossimo, a solidali al punto di offrire continuamente aiuto anche a chi non ne ha bisogno. E’ durato poco. Poi la citta’ ha ripreso a marciare al ritmo di sempre e la gente ha ricominciato a pensare ai fatti propri. Ma quel breve segmento di bonta’ mi resterá nella memoria e nel cuore per sempre.
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