Non so quanto giustamente si usa dire che un “segreto” della bontà del caffè napoletano sta nella bontà dell’acqua che si usa.
Se è così questo potrebbe essere un altro dei motivi per ricordare che il 22 marzo si celebra la giornata mondiale dell’acqua.
È una ricorrenza che si ripropone dal 1992 per ricordare che su tutta la Terra c’è un crescente problema di disponibilità di questa preziosa, anzi vitale, risorsa.
È bene che sia tenuta sempre desta l’attenzione e ne sia avvertita l’opinione pubblica. Ma non sempre, anzi quasi mai, alle celebrazioni rispondono fatti concreti. Tanto che i propositi e gli impegni assunti a Johannesburg nel 2002 di portare l’acqua a un miliardo e mezzo di persone che non l’hanno, sono molto lontani dalla realizzazione e il raggiungimento di questo obiettivo è continuamente differito nel tempo. Allo stesso modo in cui tarda a realizzarsi l’impegno a ridurre drasticamente il numero delle persone che sulla Terra muoiono materialmente di fame e, comunque, soffrono penuria di cibo.
L’osservazione che deve accomunare questi due gravi irrisolti problemi – sete e fame – è che essi non dipendono dalla mancanza di acqua e di cibo, bensì dalla mancata adduzione dell’acqua e dalla impossibilità economica di acquistare il cibo. Questo è un modo realistico di affrontare la questione facendo giustizia degli alibi della non equa distribuzione delle risorse sulla Terra.
Nel caso dell’acqua non vi è quasi area abitata del pianeta in cui non vi siano grandi riserve idriche: superficiali e sotterranee. Basta guardare un planisfero per vedere quanto ne siano dotati anche i paesi poveri e in via di sviluppo. Solo che qui, al contrario di quanto avviene nei paesi ricchi ed economicamente sviluppati, non esistono impianti di captazione dell’acqua e di irregimentazione negli acquedotti che la distribuiscano capillarmente nelle abitazioni. E non esistono perché non vi sono soldi per costruirli. E, se vi sono, càpita che i governi preferiscano riservarli ad altre spese: generalmente non di vita, ma di morte, come sono le spese per rafforzare l’apparato bellico per guerre e guerriglie più o meno locali.
Allora, si dice, deve intervenire la solidarietà internazionale. E questa interviene verbalmente con appuntamenti periodici nel corso dei quali, sotto l’egida delle Nazioni Unite, capi di Stato e di governo affrontano il problema, prospettano soluzioni, assumono impegni, sottoscrivono protocolli. Tutti i problemi dell’ambiente e delle risorse da oltre trent’anni sono così caratterizzati. L’acqua tra questi.
Per l’acqua, però, la soluzione è più concretamente a portata di mano. A condizione che “qualcuno” sia disposto a investire. Questo qualcuno si chiama, generalmente, multinazionali dell’alimentazione e settori affini: Coca Cola, Pepsi Cola, Monsanto, Danone eccetera. Multinazionali disposte a investire perché l’acqua è un “affare” e investire conviene. Soprattutto perché questi investimenti vengono anche parzialmente finanziati e agevolati dalla Banca Mondiale la quale chiede, in cambio, ai Paesi destinatari la concessione del controllo delle tariffe alle Società che effettuano gli investimenti.
In questo sta l’affare e in questo consiste il rischio di quella che è, in questi termini, una vera e propria privatizzazione di una risorsa che è, invece, un bene comune e, in quanto tale, di proprietà pubblica.
Argomenti di questo tipo sono stati fatti valere anche in Italia, e, quindi, in Campania e a Napoli dove l’acqua, come dicevo, viene ritenuta anche la risorsa principe per un principesco caffè.
Ed è veramente buona l’acqua campana: quella che scorre dai rubinetti, non quella imbottigliata e della quale gli italiani sono tra i maggiori consumatori della Terra. Mi riferisco all’acqua che viene soprattutto dal Molise e dall’Irpinia. Prevalentemente da questa provincia campana che è stata a lungo il maggiore fornitore di Napoli tramite l’acquedotto di Serino costruito nel 1885. Sino a quando la popolazione è cresciuta e i bisogni sono aumentati, per cui quell’acqua si è “mescolata” con altre. Ma è sempre buona.
Ricordiamolo, dunque, nella ricorrenza del 22 marzo che è un bene prezioso che non va sprecato e tanto meno inquinato. E rendiamoci conto che se ha risvolti planetari di eccezionale vastità e gravità, non ne ha qui da noi. L’acqua c’è, costa poco o niente e sono altri i motivi di preoccupazione o addirittura di impazzimento.
L’impazzito per l’acqua è il titolo di una breve novella di Salvatore Di Giacomo. Il protagonista, un acquafrescaio, «aveva dato di volta… non aveva voluto mangiare, non bere; s’era spogliato nudo e voleva precipitarsi dal balcone». Avete appurato perché è impazzito? Chiedono le vicine alla mamma disperata. «Gioia mia – è la risposta – pe l’acqua d’o Serino. L’acqua nosta nun se veve cchiù. A che simmo arrivate! Come fosse veleno!».
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