Janis (Cruz) è una fotografa di moda ed un giorno fa un servizio al famoso archeologo forense Arturo (Elejade). Lei, finita la sessione, va a cena con lui e gli chiede se può aiutarla a recuperare il corpo del suo bisnonno, ucciso dai falangisti insieme a tanti compaesani e con loro gettato in un fossa comune. Lui, che collabora con un’associazione che si occupa del recupero delle vittime del franchismo, le promette il suo appoggio.
I due diventano amanti e dopo qualche tempo lei rimane incinta. Arturo – che ha una moglie gravemente malata e non può aggiungerle la sofferenza di una separazione – cerca di convincerla ad abortire ma lei non ne vuol sapere e decide di lasciarlo e tenere il nascituro.
In clinica, si trova in stanza con una ragazza giovanissima, Ana (Smit), anche lei madre single. Poco dopo entrambe danno alla luce una bambina e tutte e due le piccole debbono trascorrere un breve periodo in osservazione. Ana va a casa dalla madre, Teresa (Sanchez-Gijon), attrice troppo presa dalla carriera per occuparsi di lei, tanto più che ha ottenuto il suo primo ruolo da protagonista in Donna Rosita nubile di Garcia Lorca, mentre Janis, tornata a casa, chiede a Elena (De Palma) – proprietaria dell’agenzia fotografica con la quale lavora e sua amica d’infanzia (che è da sempre anche un po’ innamorata di lei) – di farle riprendere subito il lavoro perché ha bisogno di guadagnare.
Un giorno Arturo le chiede di vedere la bambina; va da lei e si stupisce di vedere nella piccola dei marcati tratti sudamericani, lei gli dice che ha preso dal nonno materno colombiano; lui però è sicuro che non sia sua figlia e le chiede di fare l’esame di paternità; lei si indigna e va via. A casa, però, fa – via internet – il test di maternità e scopre che la piccola non è sua figlia.
Poco dopo cambia il proprio numero di telefono e un giorno, recatasi in una bar durante un intervallo di lavoro, viene servita da Ana. La invita a cena e la ragazza le racconta che la sua bambina è morta (colpita dalla “morte in culla”, un fermo cerebrale che interrompe il respiro dei neonati) e che lei è andata via di casa di fronte all’insensibilità della madre che, il quel tragico frangente, era partita per una nuova tournee. Janis le offre di lavorare per lei e la ragazza accetta e si trasferisce in casa sua.
La mattina successiva Janis, con una scusa, applica a lei e alla bimba il tampone per un nuovo test e ha la conferma che Ana è la vera madre della bambina. Loro diventano amiche ed amanti ed Ana confessa di essere rimasta incinta dopo essere stata violata da tre ragazzi (dalla foto che conserva Janis vede che uno dei tre è sudamericano). Una sera suona il citofono: è Arturo che chiede a Janis di scendere perché deve darle una bella notizia.
Vanno a bere insieme e lui le comunica che l’associazione ha accettato la sua domanda, così dopo qualche mese lui stesso dirigerà gli scavi. Quando lei torna a casa, Ana è rosa dalla gelosia e la tempesta di domande; alla fina lei le confessa la verità sulla bambina. La situazione sembra precipitare ma il ritrovamento dei corpi delle vittime del franchismo vede di nuovo ricomporsi anche le fratture affettive dei personaggi.
Madres parallelas ha aperto quest’anno la Biennale di Venezia. E’ stato ovviamente ben accolto dalla critica ma, nel fondo, con una certa rispettosa freddezza: scontato il doveroso omaggio al Maestro, il tono dei commenti lo liquidava spesso come un’opera di Almodovar meno riuscita, riscattata, semmai, dalla potenza del discorso politico sulla necessità di mantenere la memoria di quel tragico periodo.
Naturalmente a quella parte di nostri critici pigramente abituata a giudicare l’aderenza alla linea anziché il valore intrinseco dei film, questo giudizio calzava come un guanto. Così però non si colgono i segnali di un Almodovar maturo e profondo, coerente con l’ispirazione che gli ha dettato l’intenso Dolor y gloria, che – alla luce di questo ultimo film – diventa anche una dichiarazione artistica: attraverso la lacerante esposizione della sua memoria e delle sue paure ci comunica, per così dire, una nuova estetica.
Sono ormai nello sfondo gli allegri caleidoscopi di Pepe, Luci, Bom e le altre ragazze del mucchio, di Donne sull’orlo di una crisi di nervi, sino allo sfacciato quasi-musical Amanti passeggeri, mentre i fotoromanzeschi Tacchi a spillo, Il fiore del mio segreto e La pelle che abito acquistano una nuova luce. Come in Parla con lei, Almodovar ha bisogno di un clima da romanzo rosa per raccontare sentimenti e dolori profondissimi e soprattutto per accostarsi al grande mistero dell’amore.
Un po’ come per i protagonisti del geniale Una relazione privata di Frédéric Fonteyne, per lui il tabù più difficile da superare non è certo quello del sesso comunque coniugato ma l’accettazione della profondità degli affetti. In questa chiave Madres parallelas è un prezioso cardine della sua filmografia e la denuncia degli orrori della guerra civile, appare quasi (non suoni irrispettoso verso quelle tragedie) uno schermo per esporsi ai sentimenti con più libertà.
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