Per una volta sento il bisogno di scrivere una nota solo a me stesso e per me stesso. Poi, se nessuno avrà il coraggio di pubblicarla, la leggerò a me stesso. Pazienza!
Devo riavvolgere il filo logico che mi passa per la mente in questi giorni mentre lavoro ad un progetto centrato sulla ricerca e le tecnologie per i beni culturali. Sono giorni che vivo tra avatar, sistemi di intelligenza artificiale, sistemi esperti capaci di suggerire tutto a tutti: cosa vedere, cosa fare, dove andare, che mezzo prendere, cosa guardare e perchè. Questi sistemi sono in grado di elaborare, sulla base di quello che hai fatto, quello che ti piacerebbe fare e guidarti fino lì. Questo mi spaventa un po’ e, se devo dire la verità, mi condiziona visto che, per piacere o per lavoro, sono uno che con i monumenti ha spesso a che fare.
Perchè mi condiziona? Vi faccio un esempio. Io quando cammino per strada non guardo quasi mai il culo a una signora. Non lo faccio perchè ho avuto una educazione borghese e non lo faccio perchè non si fa. Oggi a maggior ragione non lo farei. Con quei sistemi attivi si rischia. Si rischia molto.
Supponete che per un paio di volte lo fate, magari solo perchè non ne potete fare a meno. Succede che lo smartphone, per via della elaborazione intelligente di quei dati, quando gli chiederete di andare a visitare la Basilica di Santa Maria Maggiore vi manderà dritto dritto verso la facciata posteriore che è chiusa da anni.
Con questo tipo di angoscia parlavo, anche se non in questi termini, con un amico ingegnere molto bravo e attivo nel settore delle tecnologie informatiche per i beni culturali. Ci sono rimasto male quando, suggerendo l’uso di un attore per rappresentare drammaturgicamente il pensiero Greco nell’area a sud di Salerno mi ha detto: no! Se lo fa un avatar c’è la tecnologia, se lo fa un attore so cose vecchie, già viste, chi le vuole! Ci vuole la tecnologia!
Allora, se produco narrazioni con un sistema automatico è tecnologia, se le scrivo avendo studiato il teatro no. Ci deve essere qualche cosa che non funziona, mi sono detto. Quello che cercavo di far passare come utile al settore della cultura è esattamente quello che sto facendo in questo momento: scrivere, cercare di farmi capire al meglio e, nei limiti del possibile, suscitare una emozione.
No, No, NO! Questa non è una tecnologia. Punto e basta.
Ora, poichè non ho l’intelligenza artificiale di un sistema esperto, ma solo quella naturale e debole tipica di un uomo di sessantasei anni cocciuto come un mulo, ho aperto il dizionario Treccani della lingua italiana alla voce “tecnologia”.
Leggo: L’applicazione e l’uso degli strumenti tecnici in senso lato, ossia di tutto ciò che può essere applicato alla soluzione di problemi pratici, all’ottimizzazione delle procedure, alla presa di decisioni, alla scelta di strategie finalizzate a determinati obiettivi…
Strumenti tecnici in senso lato è proprio “téchnè” in Greco che in latino diventa “ars”, arte pur con le dovute differenze di interpretazione filosofica che esulano questa riflessione, è quello che faccio anch’io.
Ma è nel periodo successivo che il dizionario porta acqua al mio mulino, dove parla di soluzione di problemi pratici. Il principale problema pratico di chi voglia avvicinare il maggior numero di persone alla funzione sociale della cultura è darle un senso ed un significato che sia interpretabile, sia pure a livelli diversi, da chi ci si accosti costruendo gli strumenti intellettuali per questo scopo. È proprio quello che facciamo tutti i giorni da anni.
Se scrivo una sceneggiatura, scelgo una scenografia ed un attore per rappresentare la metafora di un periodo storico non sarò certo Shakespeare, questo lo so, ma le reazioni del pubblico in tanti anni ho imparato a gestirle attraverso le emozioni. Almeno ho imparato a provarci. Mi avvalgo di stumenti tecnici per la soluzione di un problema pratico proprio come dice il dizionario. Quanto all’ottimizzazione delle procedure, alla presa di decisioni, alla scelta di strategie finalizzate a determinati obiettivi se volete rendervene conto venite in un museo quando si prepara una mostra o in teatro di posa quando si gira un film.
Mi sento ringalluzzito. Se Treccani mi sostiene forse anche loro si convinceranno. Continuiamo a leggere il dizionario.
(La tecnologia) …si riferisce… più in generale, ad un insieme di elaborazioni teoriche e sistematiche, applicabili globalmente alla pianificazione e alla razionalizzazione dell’intervento produttivo. Per Bacco! È quasi fatta, elaborazioni teoriche e sistematiche, ma parla di noi! Costruire e rappresentare ciò che è necessario alla interpretazione del significato che un artista ha dato alla sua opera in un altro tempo. Quanto alla razionalizzazione dell’intervento produttivo è il nostro pane quotidiano. Si riferisce certamente ai conti nelle produzioni che più sono culturali e meno pane ti danno. Comunque sono contento. Vuoi vedere che piano piano mi avvicino alla meta.
Leggiamo ancora la Treccani: La ricerca connessa alla tecnologia incide tanto sulla conoscenza teorica della realtà e della natura costitutiva dei materiali quanto sul loro uso e sulle loro proprietà con influenze dirette sull’organizzazione sociale e politica.
Qui il dubbio sta solo nella interpretazione della natura dei materiali da elaborare. Certo non può essere letterale e riduttiva, non puo essere tecnologico solo quello che attiene alla materia propriamente detta, altrimenti tutti gli ingegneri che elaborano “bit”, entità immateriali per antonomasia, non farebbero tecnologia. No! Occorre includere anche loro. L’immateriale manipolabile con algoritmi, procedure e metodologie deve essere incluso tra le tecnologie. Ma allora è fatta! Noi che elaboriamo suoni per produrre musica, noi che elaboriamo parole per produrre versi, noi che elaboriamo luce ed immagini per dare forma ad una emozione siamo uguali a loro. Il nostro lavoro è una continua ricerca tecnologica dedicata alla costruzione di una identità sociale costruita intorno alla nostra Storia ed alla comunità stretta intorno a quella stessa identità: la polis. Appunto.
Possiamo a testa alta chiedere di operare all’interno del sistema della cultura e continuare la nostra opera di modesti cantastorie, la Treccani certifica che il nostro lavoro è una tecnologia e non perchè usiamo apparati compiuterizzati, ma perchè il nostro pensiero e la nostra opera trasformando luce, gesti e parole in emozioni è una ricerca ed una tecnologia.
Resta un fatto che mi cruccia. A Minturno, splendida città – porto romano, poco nota, ma di grandissimo fascino e significato storico, Il turista troverà lungo il percorso la seguente spiegazione per la verità estremamente sintetica ed esaustiva:”Imponente struttura ipogea, scandita in senso longitudinale da file di pilastri che suddividono l’ambiente in quattro navate coperte da volte a pseudo-crociera”.
Se invece di essere un cartello fosse un avatar assistito da intelligenza artificiale o la frase fosse proposta attraverso un sistema cocleare che appositi sensori intercettano per dare informazioni alle persone con sordità profonda come cambierebbe il significato?
Una mia amica, valente archeologa, mi ha fatto notare un caso ancora più interessante all’interno della stazione Termini di Roma dove una parte delle antiche mura Serviane sono state inglobate nello shopping center del piano inferiore. Le mura sfiorano l’ambiente occupato da Mc Donald dove è facile vedere gruppi di bimbi consumare il loro pasto preferito o festeggiare un compleanno circondati da palloncini colorati. Ecco l’occasione giusta per raccontare ai piccoli che sono di fronte alla prima cinta muraria della loro città, ecco l’occasione per stare dentro o fuori della città romana solo spostandosi ad un altro tavolo. La spiegazione messa a loro disposizione dice: “Muro di controscarpa dell’aggere Serviano“.
Se fossero più tecnologiche le due informazioni resterebbero solo quello che sono: uno stupido esempio di estromissione calcolata e volontaria della comunità dei cittadini dalla propria storia e dalla propria cultura.
Meno male che il digitale c’è, direbbe il partito della tecnologia. Io mi sono iscritto a quel partito fin dalla prima ora perchè digitale per me significa manipolazione totale ed assoluta di una immagine e del suo movimento, per me significa creazione di una illusione percettiva che metta in moto aree e sistemi cognitivi diversi, per me significa abbandonare la realtà per rappresentare la verità.
Il digitale, come cultura, non come tecnologia, l’ha inventato Leonardo da Vinci. È lui che ci ha insegnato a tenere insieme due elementi congiunti… l’uomo e il concetto nella mente sua. Il primo è facile, il secondo difficile, perchè si ha a figurare i movimenti appropriati agli accidenti mentali di ciascun animale, cioè desiderio, sprezzamento, ira, pietà e simili.
Il nostro lavoro di ricerca e di sperimentazione nei linguaggi delle immagini e dei suoni applicati alla comunicazione culturale è proprio questo, non si tratta di riprodurre la realtà in modo che sia riconoscibile e identificabile, si tratta si rappresentare qualcosa che venga scambiato per vero. Lo stesso Leonardo usa verbi e di conseguenza pensa a strumenti diversi nel descrivere i due processi: “copiare” nel primo caso “simulare” nel secondo. Ah! Se avesse avuto il digitale.
Ho finito. Chissà se qualcuno accettasse mai di pubblicare questo sproloquio, certo è che nell’interesse di tutti quelli che producono tecnologie per la valorizzazione dei beni culturali, mi piacerebbe un titolo Pascoliano: “C’è qualcosa di nuovo oggi nelle tecnologie, anzi d’antico”.
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