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Conte, gli Stati Generali e la fine del provincialismo

Il Presidente del Consiglio, nell’indire i cosiddetti “Stati Generali”, ha avuto un’idea opportuna. Questo personaggio, mal digerito dalla politica politicante, di destra e di sinistra, ha avuto un colpo di genio che nessuno avrebbe immaginato: riportare l’Italia al centro dell’attenzione europea, e lo ha fatto nel pieno di una stagione densa di difficoltà di ogni genere, sanitarie ed economiche, purtroppo non ancora conclusa.

Molti vecchi animali politici come tanti di noi, hanno giudicato frettolosamente in maniera controversa, se non addirittura negativa, l’iniziativa di Giuseppe Conte, quasi un intruso nel mondo del bel pensare degli addetti ai lavori. Epperò questo “Giuseppi” venuto dal nulla ha il merito di aver aperto un capitolo essenziale che vale per la situazione italiana e, in misura più vasta, per il panorama europeo. Nel senso che finalmente viene resa evidente la necessità di uscire dagli orticelli nazionali per impostare un’azione di livello comunitario.

Chi qui scrive non ha alcuna comunanza politica con il presidente del consiglio, tuttavia deve riconoscergli che ha avuto il coraggio di affrontare la situazione dal lato politicamente più complesso, andando contro  le vocazioni della maggioranza di governo, dai 5Stelle ai quali scoppia l’orticaria sentendo parlare di Europa al PD privato del ruolo della mosca cocchiera, ed in opposizione all’opposizione di Lega e Fratelli d’Italia che, perdendo l’occasione storica per ricollocarsi al centro dove si assumono le scelte della vita nazionale, si sono poste ai margini con un negazionismo inconcludente.

L’esito di questi “Stati Generali” è relativamente scontato, sarà una sorta di enciclopedia delle cose da fare per rilanciare l’Italia, la gran parte delle quali è nota da tempo e sempre declamata senza essere mai concretamente affrontata, dalle riforme di sistema al rilancio degli investimenti produttivi, dallo sgrossamento della pubblica amministrazione al recupero di una giustizia degna del nome, dall’impiego delle risorse per la ricerca la scuola e l’occupazione. Parole con le quali ci si sciacqua la bocca da decenni senza venirne mai a capo. 

La novità è importante, poiché questa volta, dopo aver declinato tutti i problemi, aver suscitato l’attenzione europea, l’aver  messo a nudo le capacità e le incapacità di agire, si avrà davanti un pacchetto di miliardi di euro che potrà essere incassato solo a condizione di progetti e la realizzazione di riforme e innovazione. Una politica keynesiana di investimenti e sviluppo, come la concepirono e la praticarono gli Stati Uniti nell’età roosveltiana.

Qui è il vero problema. Finisce il tempo delle mance, caro ai 5Stelle e alla Lega, alla gestione clientelare di larga parte del Pd, alla visione antistorica del mondo economico e produttivo dell’estrema sinistra e frange del sindacalismo. Non ci sarà più scampo, o fai e vai in una direzione chiara o annaspi in un pantano senza uscita.  

Questi “Stati Generali”, piaccia o no, segnano la fine del provincialismo che è padre naturale del sovranismo. D’ora in avanti non ci saranno più appigli e scusanti. Questo vale per l’Italia.

Ma, c’è un aspetto più largo che riguarda l’Europa, l’Unione Europea, che – in attesa di conferma – sembra  aver preso finalmente atto che la costruzione continentale regge se c’è coesione nei comportamenti, al di là dei principi e delle belle parole. E’ ritrovare lo spirito che animò quel nucleo fondante dell’Unione, e che non può lasciare spazio agli egoismi nazionali di “frugali” e “sovranisti”.

Comunque finisca, nel bene o nel male  si capirà e si volterà pagina.

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Gianfranco Salomone

Giornalista - Già Direttore Generale Ministero del Lavoro

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