Brava gente

Coronavirus e Parlamento assente: chi converte i Decreti in Legge?

Il “Corriere della Sera” del 18 marzo scorso ha pubblicato un preoccupante intervento del Prof. Sabino Cassese, uno dei maggiori giuristi italiani, a proposito della necessità di garantire strumenti adatti contro il Coronavirus ma anche la continuità della vita dello Stato nella molteplicità delle sue espressioni, dai servizi pubblici essenziali alle istituzioni.

Sono stati molti a cogliere nell’intervento del Professor Cassese una sottile polemica contro la interruzione dei lavori nel Parlamento proprio nel momento in cui sarebbe stato necessario un rapporto dialettico tra tutte le forze politiche, non a caso sollecitate nel giorno successivo dal Capo dello Stato, al fine di uscire nel modo migliore dalla pesante situazione sociale economica, oltre che sanitaria, che la pandemia sta determinando nel nostro paese.

Governo e forze politiche, ciascuno per la sua parte, sembrano non rendersene adeguatamente conto: un caso limite è quello dei Decreti Legge emanati per far fronte alla grave situazione di emergenza. E’ già stato presentato al Senato (stampato n.1766) quello del 17 marzo scorso, redatto tecnicamente malissimo, con una relazione confusa, malgrado gli sforzi compiuti dagli ufficio del Quirinale per dargli una parvenza di Legge.

Altri Decreti Legge sono preannunciati: nessuno sembra preoccuparsi di quando e se sarà possibile convertirli in Legge, secondo il disposto dell’articolo 77 n. 33, in base al quale la conversione deve avvenire entro 60 giorni pena la perdita di efficacia.

Un Parlamento inattivo per il timore delle sedute dell’uno e dell’altra Camera costituiscono occasione di contagio, difficoltà dei loro componenti di recarsi a Roma in seguito alle limitazioni imposte allo spostamento del territorio (esentarli dalla osservanza di essi potrebbe apparire un immotivato privilegio) costituiscono altrettanti problemi oggettivi.

Tuttavia una soluzione c’è, come ben sanno gli addetti ai lavori, compresi quelli particolarmente vicini al Presidente del Consiglio ed ai Presidenti dell’una e dell’altra Camera.

Il regolamento della Camera dei Deputati articolo 92 e quello del Senato articolo 22 rendono possibile la costituzione nell’una e nell’altra camera di una commissione speciale (una ventina di componenti alla Camera ed una decina al Senato) rispettando la consistenza numerica di tutti i gruppi parlamentari, con eventuale nomina di un componente supplente per ciascuno effettivo, cui attribuire il potere di procedere all’esame ed alla (eventuale) approvazione in sede legislativa del disegno di legge di conversione. E’ chiaro che resterebbe aperta la possibilità, sancita dall’articolo 72 della Costituzione, che un decimo dei componenti dell’assemblea richieda l’ammissione del provvedimento all’assemblea stessa, ma è anche vero che in tal caso il Governo potrebbe imporre nella discussione in aula la questione di fiducia, bloccando cosi la presentazione di emendamenti da parte dell’opposizione, ma con il rischio di non ottenere la fiducia richiesta.

Istituire 2 commissioni speciali, una alla Camera dei deputati e l’altra al Senato della Repubblica per convertire i Decreti in Legge?

E’ escluso invece che si possa lasciar decorrere il termine di 60 giorni per reiterare lo stesso Decreto chiedendo alle Camere la conversione di esso entro ulteriori 60 giorni. E’ una prassi largamente in passato ma dichiarata dalla Corte Costituzionale chiaramente in contrasto come disposto costituzionale.

La strada per uscire dalla strettoia esiste dunque ed è ben nota: è probabile che si tenda a non usarla perché il dibattito in una commissione speciale si ritiene non possa offrire sufficiente risonanza presso l’opinione pubblica alle posizioni espresse dalla forze politiche di maggioranza e di opposizione sulle soluzioni legislative adottate: se così fosse ci sarebbe veramente da pensare ad una classe politica che mostra di scambiare le camere del Parlamento per il teatrino della politica.

Non resta che sperare che così non sia.

Questo il pensiero di Bruno Vespa sull’inoperatività del Parlamento.

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Mario Pacelli

Mario Pacelli è stato docente di Diritto pubblico nell'Università di Roma La Sapienza, per lunghi anni funzionario della Camera dei deputati. Ha scritto numerosi studi di storia parlamentare, tra cui Le radici di Montecitorio (1984), Bella gente (1992), Interno Montecitorio (2000), Il colle più alto (2017). Ha collaborato con il «Corriere della Sera» e «Il Messaggero».

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