Per quanto possa sembrare incredibile, sono non pochi tra deputati e senatori quelli che cominciano a pensare che la terribile epidemia del coronavirus possa toglierli da un grosso pasticcio in cui si sono cacciati senza sapere nemmeno esattamente perché: la legge costituzionale che dovrebbe tagliare drasticamente il numero dei deputati e dei senatori. Il referendum conservativo, necessario in base all’articolo 138 della Costituzione, in quanto la legge non è stata approvata con la maggioranza assoluta dei componenti dell’una e dell’altra camera, dovrebbe tenersi il 28 marzo prossimo ma l’epidemia in corso rende sempre più consistenti le voci a proposito di un rinvio: nessuno è stato ancora in grado di precisarlo.
D’altra parte far svolgere il referendum con l’epidemia in piena evoluzione renderebbe molto dubbia la partecipazione degli elettori nella percentuale necessaria (il 50%) perché esso sia valido, meglio rinviare e meglio ancora rinviare ad una data abbastanza lontana nella speranza che ci si renda intanto conto dell’errore commesso e che si tratterebbe ora di confermare.
Il numero dei deputati e dei senatori (rispettivamente 630 e 315 oltre ai 5 senatori a vita e agli ex presidenti della Repubblica) è veramente eccessivo per un Paese che conta circa 60 milioni di abitanti? Nessuno può essere in grado di rispondere ad una simile domanda: non esiste nessuna teoria, nessuna elaborazione scientifica, nessuna esperienza concreta che consenta di individuare il rapporto ottimale che deve esserci tra il numero degli elettori e quello degli eletti. Ciò spiega il motivo per il quale il rapporto varia tra Paese e Paese: esso dipende infatti da una molteplicità di fattori (poteri locali forti e deboli, esistenza o meno sul territorio di interessi differenziati, condivisione larga o ristretta dei fini pubblici da perseguire, trasmissioni storiche, diffusione dell’associazionismo e così via). La situazione italiana è molto semplice: interessi territoriali fortemente differenziati, pulviscolo di gruppi sociali portatori di interessi differenziati, partiti politici deboli, forti spinte tra gli elettori di movimenti antisistema le cui radici andrebbero probabilmente ricercate nella storia recente di questo Paese, frutti avvelenati in quella che Gobetti chiamò “eroico sopruso”, abbastanza insomma per individuare nel parlamento il collettore indispensabile per rinviare il più tardi possibile fra tutte le presenze politiche e sociali nel paese.
Tagliare il numero degli eletti significa circoscrivere il dibattito, ridurre gli interlocutori per ridurre le spinte ad una democrazia partecipata che abbia come meta l’aggregazione del consenso e non la primazia degli eletti che diverrebbero presto una casta, come lo sono ad esempio i senatori negli Stati Uniti d’America in forza del loro numero limitato.
Il gioco può anche funzionare ma non dura a lungo: gli interessi politici e territoriali non rappresentati senza nemmeno un diritto di tribuna finirebbero per distruggere il sistema premendo ai margini di esso fino ad infrangerne i confini.
E’ questo che si vuole o è stata un’ubriacatura antisistema di un momento a far scattare il trappolone in cui rischiano di cadere 60 milioni di italiani, o almeno quelli intenzionati a votare per una protesta che rischia di avere effetti letali per la giovane democrazia Italiana?
Il rinvio del referendum a tempi lunghi può consentire una pausa di riflessione: è un’occasione da non perdere per salvare almeno temporaneamente la faccia. Il Presidente del Consiglio Conte, preoccupato per le sorti del suo governo, non pensa al rinvio in quanto vede nel referendum una polizza d’assicurazione per il suo governo per il conseguente necessario differimento delle elezioni politiche: sembra molto difficile che riesca nel suo intento.
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