Quando vado in farmacia, prima di imbattermi in un farmaco, percorro spazi colmi di creme, prodotti di bellezza e per l’igiene personale. A seguire calzature da riposo o per una corretta camminata. Ci sono poi trionfi di dolci, biscotti e caramelle giustamente seguiti da alimenti dietetici.
Durante il lockdown, prima verificavo la coda davanti al supermercato ed eventualmente facevo la spesa in farmacia (a cominciare dalla pasta). Niente di scandaloso, sono tutte merci che hanno a che fare con il benessere delle persone ma le trovi, magari con altre marche, proprio in qualsiasi supermercato.
Mentre chiediamo prestiti miliardari alla Unione Europea e, inopinatamente, l’Unione ce li concede, chiediamoci anche se, nel medesimo tempo, stiamo ottimizzando quello che già c’è e che già paghiamo.
Le farmacie sono un presidio sicuro, diffuso, facilmente riconoscibile e aperto anche la notte. Il personale ha studiato anni e conseguito una laurea impegnativa.
Nel momento in cui la pandemia ci ha dimostrato come la principale debolezza del sistema sanitario italiano sia la scarsa presenza e l’insufficiente efficienza dell’assistenza territoriale non ospedaliera (che sia preventiva, domiciliare, lungo degente o di laboratorio), non è venuto il momento di ripensare il ruolo delle farmacie?
Ovviamente non sottovaluto quanto esse già fanno. Non solo hanno la responsabilità della corretta distribuzione e migliore offerta economica (equipollenza dello stesso principio attivo) delle medicine che sono ormai infinite e complicate, ma svolgono anche un prezioso ruolo di primo consulto. Tantissimi si presentano loro descrivendo i sintomi e chiedendo una cura.
Cessata la preparazione dei trattamenti curativi che era la ragione del tanto studiare, ora gli “speziali” devono dedicare sempre più tempo alla attività amministrativa necessaria ai rimborsi di uno Stato notoriamente pessimo pagatore.
Possibile che nell’apocalisse epidemica che abbiamo vissuto (e tuttora viviamo), l’unico ruolo loro riconosciuto sia stato quello certamente ingrato di distributore di mascherine (che oggi troviamo anche nelle mercerie e profumerie)?
Le farmacie sono tecnologicamente all’avanguardia e hanno le migliori forme di connessione oggi sul mercato. Potrebbero aspirare ad un maggiore coinvolgimento e assolvere un ruolo più determinante.
Capisco che i test sierologici e i tamponi siano analisi delicate e decisive e che le autorità vogliano tenerli sotto stretto controllo onde evitare che la confusione negativi/positivi/negativi (già molto diffusa) aumenti ancora di più.
Tuttavia bisognerà approntare, per il futuro, una rete più diffusa -scientificamente garantita- che sappia dare risposte più rapide e uniformi.
Infatti si è ormai capito che se avessimo aggredito da subito la malattia con un utilizzo di massa di tamponi affidabili, l’epidemia avrebbe avuto un altro esito.
Perché non si riesce a fare della sanità un sistema unico e integrato, dove ogni polo è in comunicazione con gli altri e con gli altri interagisce?
Leggendo le polemiche su code e tempi di prenotazione delle visite, si potrebbe pensare per le farmacie ad un possibile e organico allargamento nel settore delle analisi e delle autoanalisi (i cui apparecchi forniscono)? È un terreno che da qualche tempo già frequentano. Le analisi le fanno macchine certificate che hanno la stessa affidabilità, che siano in ospedale o in laboratorio o a casa vostra.
Alleggerire gli ospedali in fase diagnostica per lasciarli concentrare su quella terapeutica ha senso?
La interpretazione formale dei dati spetta al medico specialistico ma, alla fin fine, quella sostanziale tocca al tuo medico di base, l’unico che conosce davvero il tuo profilo sanitario, fisiologico e psicologico.
Tuttavia la loro è la categoria più negletta e sottovalutata in circolazione. E il Covid ha dimostrato quanto essi siano preziosi al momento del bisogno e quanto poco incardinati siano nel sistema emergenziale.
A proposito di non riuscire a fare sistema!
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